L’oscuro mistero dei “Beati Paoli”: la Società segreta della Palermo Sotterranea

Palermo, città dell’arte, della cultura, della grande impenetrabile bellezza. Questo luogo, fulcro dell’incontro tra culture e popoli diversi, racchiude nei suoi vicoli e nelle voci del suo popolo un’eredità storica intrisa di leggende e di misteri. Di questi misteri uno in particolare è capace di sopravvivere al tempo e di rinascere di secolo in secolo rinnovandosi in sfumature sempre più sorprendenti e ammalianti.

In copertina: Quadro del maestro Matteo Puccio.

Nell’oscuro dedalo di cunicoli che avvolge la Palermo sotterranea avrebbe avuto sede difatti una delle società segrete più controverse e famose della Sicilia: quella dei Beati Paoli.

Protagonisti di una moltitudine di ricostruzioni romanzate, la reale esistenza dei Beati Paoli resta ancora oggi un mistero. Chi furono questi uomini incappucciati operanti nel cuore della notte, nel segreto di cripte inaccessibili e nel mistero di una Palermo antica, abitata da regnanti spesso ingiusti e da uomini di potere pronti ad ogni scelleratezza?

La leggenda si mescola ad una ricostruzione più o meno storica degli eventi, dove la storia si intreccia inevitabilmente con la leggenda. Siamo al “Capo”, dall’arabo Sari-Al-Qadi, uno dei mercati più famosi e variopinti di Palermo. Qui una lastra marmorea reca tutt’oggi la scritta “Antica sede dei Beati Paoli”, ed è sempre qui, in un ipogeo sotterraneo, che secondo la leggenda si tenevano gli incontri dei Beati Paoli.

Attivi tra la fine del XV e la prima metà del XVI secolo, destinatari della loro missione punitiva sarebbero stati i crudeli, ovvero coloro che nascosti dall’appartenenza a una classe nobile o abbiente avrebbero perpetrato ogni sorta di sopruso o vessazione nei confronti dei più deboli. Chiunque rientrasse nei loro obiettivi non aveva scampo. Tramite una fitta rete di cunicoli segreti, propri di un’antica necropoli cristiana, essi avrebbero avuto modo di apparire in qualsiasi ora e luogo della città.

Secondo alcune fonti, “progenitori” di questa congregazione furono già molto tempo addietro (nel XII secolo all’epoca di Guglielmo II della dinastia degli Altavilla), i “Vendicosi” ovvero Vendicatori; un gruppo agente sotto medesime spoglie e con gli stessi nobili propositi dei succedenti Beati Paoli. Questo nome, Beati Paoli, deriverebbe dall’insospettabile, quanto peculiare identità assunta da questi ultimi durante il giorno. Nel quotidiano essi vestivano i panni di monaci di San Francesco di Paola, avendo pieno accesso a qualsiasi struttura religiosa. In queste sedi essi potevano carpire i lamenti dei più deboli. A questi ultimi, essi dedicavano ogni notte sonora giustizia.

Il loro presidio sul territorio palermitano sarebbe stato provato da una consistente eredità orale tradotta in indefettibile credenza cittadina. Vanno citati anche gli “Opuscoli Palermitani” realizzati da Francesco Maria Emanuele, Marchese di Villabianca; manoscritti minuziosi basati però in gran parte sul racconto popolare. A dare però enorme contributo alla diffusione della leggenda dei Beati Paoli fu il celebre romanzo di William Galt alias Luigi Natoli “I Beati Paoli” del 1909. Il successo di quest’opera superò magistralmente i limiti posti dalla carenza di fonti storiche, ponendosi come fonte fattiva e coalizzante sul tema dei Beati Paoli e rendendo per molti reale quello che probabilmente fu mera leggenda.

Pubblicato a puntate all’inizio del ’900, questo romanzo, con la sua trama intrigante e coinvolgente, divenne ben presto il testo di riferimento per molti siciliani, divulgando febbrilmente il mito di questi giustizieri del male, in tutte le dimore e strade del capoluogo. Difatti gli “eroici” Beati Paoli del romanzo calpestavano le viuzze e le atmosfere di una Palermo familiare al popolo, trovando perciò una consistenza nell’immaginario collettivo ed assumendo così i tratti di una verità storica incontestabile.

Questo fenomeno così particolare ebbe modo di verificarsi anche perché i Beati Paoli, scevri dalle limitazioni poste dalla legge vigente, si ergevano agli occhi delle persone come fedeli difensori di un popolo sottomesso a continue vessazioni ed a una giustizia impari ed inefficace. Il desiderio di una rivincita sociale era più che mai assordante. I ritenuti colpevoli erano sequestrati e giudicati innanzi ad un tribunale posto all’interno di in una cripta sotterranea. I Beati Paoli applicavano una legge severa, calibrata alla gravità dell’ingiustizia perpetrata dall’accusato nei confronti dei più deboli. Un verdetto negativo esigeva infine violente esecuzioni, spesso compiute con vibranti pugnalate.

Nel tempo la scoperta di vani sotterranei non ha fatto altro che avvalorare l’ipotesi dell’effettiva esistenza del covo dei Beati Paoli. Bisogna sapere però che spesso questi vani sotterranei erano adibiti a semplici camere dello scirocco. Nel passato era difatti costume realizzare queste cavità artificiali al di sotto delle abitazioni signorili, specialmente quando si era appurata l’eventuale presenza di acque sotterranee dalle quali attingere per ottenere refrigerio durante i periodi di stremante calore estivo.

In molti giudicano l’opera di Natoli come la polla da cui divampò quel “sentire mafioso”, parlandosi nelle definizioni più estreme, del manifestarsi di casi di fanatismo, sublimati dall’emergere di uno spirito favorevole al parastato votato all’illegale difesa e protezione del popolo. Altri affibbiano a questa congregazione il punto di origine della vera e propria Mafia, riconoscendo negli adepti di questa setta, i comuni tratti dell’associazione agente nell’oscurità secondo i canoni di omertà e fedeltà ad un comune progetto criminoso.

Ancor oggi il bisogno di giustizia è pressante e ineluttabile. Lo spettro di una società segreta votata alla giustizia ha molto a che vedere con il bisogno di rivincita sociale più che mai diffuso. In molti resta la convinzione che questi impenetrabili paladini del popolo siano realmente esistiti (il loro nome è tuttora presente nelle insegne di alcuni bar e ristoranti), ma ciò che più di ogni altra cosa resta è il timore reverenziale e a tratti la simpatia verso coloro che nell’immaginario collettivo si dedicarono alla protezione degli oppressi, lasciando spazio alla possibilità, e per alcuni alla speranza, di un loro imprevedibile ritorno.


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