Saint-Paul è una remota isola, di origine vulcanica, situata nel sud dell’oceano Indiano. Si tratta di un lembo di terra, di soli otto chilometri quadri, che sorge lontano da tutti gli insediamenti umani: oggi appartiene politicamente alla Francia, facendo parte del Territorio d’oltremare delle Terre australi e antartiche francesi (note con la sigla TAAF). Finì al centro delle cronache francesi negli anni’ 30 del ‘900, per un drammatico quanto incredibile fatto:
Sette operai, che si occupavano di pescare e lavorare l’aragosta, finirono completamente abbandonati e dimenticati
Scoperta dai portoghesi nel 1559, l’isola fino al 1843 non appartenne ad alcuna nazione. Fu il navigatore franco-polacco Adam Mierosłavsk, nel 1842, ad interessarsi di quella terra e a richiederne la sovranità per conto di Parigi. L’iniziale disinteresse francese portò Mierosłavsk a voler convincere l’allora Regno di Polonia a prenderne il possesso, ma la Francia, una volta scoperta l’intenzione britannica di vendicarne il controllo come avamposto marittimo verso l’Australia, cambiò idea e nel 1843 la dichiarò sua, assieme alla piccola isola Amsterdam, distante novanta chilometri a nord.
L’isola di St Paul:
Saint-Paul, per i navigatori, era una terra ricca di risorse. Ci andavano, prima del 1843, i pescatori delle isole Réunion; la circondavano i balenieri europei; la visitavano gli astronomi intenti ad osservare, da lì ben visibile, Venere. Ma ciò che interessava più di tutto gli europei, lì, erano le comunità di leoni marini, di cui poter sfruttare le pelli. Era un’isola, inoltre, su cui sostare negli estenuanti viaggi in mare ma fu capace, già alla fine del ‘700, di diventare maledetta: il primo sventurato si chiamava Pierre François Peron.
Capitano francese, nel 1792 approdò a Saint-Paul, assieme ad altri quattro marinai, per sfruttare e lavorare le pelli di otario: abbandonato assieme ai suoi uomini dalla nave Emilie (il motivo resta sconosciuto), fu miracolosamente tratto in salvo un anno dopo da un equipaggiamento inglese capitanato da Lord Macartney, ma tutti i suoi beni prodotti con la pelle dei leoni marini furono lasciati sull’isola, a causa dello spazio insufficiente sull’esigua imbarcazione.
La relativa ricchezza faunistica dell’isola chiamò l’attenzione, quasi un secolo e mezzo dopo, di due fratelli francesi: Henry e René Bossiére, imprenditori dell’azienda ittica La Langouste Française, con sede a Le Havre. Nel 1929, infatti, i due fratelli riuscirono, dal governo parigino, a ottenere la concessione di quella zona marittima dopo averla scoperta dai giornali inglesi. Henry acquisì il selvaggio arcipelago delle Kerguelen, 1300 chilometri a sud di Saint-Paul. René, invece, l’isola di Saint-Paul e Amsterdam.
A Saint-Paul, dopo quarantanove giorni di viaggio, sbarcarono nell’ottobre 1929 trenta operai, provenienti dalla Francia e dal Madagascar (allora colonia d’oltralpe): era l’estate australe ed era il momento migliore per pescare e lavorare le aragoste, di cui l’isola è piena. Fu un investimento importante per attrezzare una grande peschiera e uno stabilimento industriale, che fungeva anche da conservificio.
Tutto andò per il meglio, finché, nel marzo 1930, con l’inverno australe alle porte, qualcuno doveva restare sull’isola e sorvegliarla, in cambio di lauti stipendi: si offrirono in sette, di cui sei bretoni. Julien Le Huluolut, Pierre Quillivic, Louis Hérleden, Emmanuel Puloch, il malgascio François Ramamongi e i coniugi Victor e Louise Le Brunou, con la signora al nono mese di gravidanza.
I coniugi Le Brunou:
A fine marzo la bambina nacque: fu la prima nata nella storia dell’isola, e fu chiamata, non a caso, Paule. Nel frattempo, però, i mesi passavano, il freddo si intensificava e le scorte diminuivano. C’era un patto, coi fratelli Bossiére: sarebbero stati inviati, ogni due mesi, i necessari viveri col battello Austral. Ma le imbarcazioni non giunsero mai a destinazione: la prima a morire, senza una culla (fu realizzata, alla bell’e meglio, con le casse presenti nella fabbrica) e senza una dieta variegata, fu proprio la bambina, a fine maggio.
Mentre il cuore dell’inverno si avvicinava e le navi non arrivavano, le uniche fonti di sostentamento furono le aragoste e il pesce fresco pescato grazie alle esche prodotte dai pinguini, di cui si consumavano anche le loro uova, pur di sfamarsi. Dal magazzino, inoltre, dopo due mesi erano rimaste solo le carni di manzo in gelatina. Queste ultime, furono fatali: Emanuel Puloch, a luglio, iniziò ad accusare dolori alle gambe, che divennero in poco tempo gonfie e violacee. Erano i segni dello scorbuto, che lo uccise il 30 luglio. Successivamente, fu la volta, per gli stessi motivi, di Ramamongi e del padre della piccola Paule, Victor Le Brunou.
Il destino era ormai segnato, l’umido inverno oceanico sarebbe stato troppo duro per i sopravvissuti e solo il riparo nello stabilimento li proteggeva dalle impervie del maltempo: in preda alla disperazione, fu costruita una zattera e per il viaggio della speranza si offrì Pierre Quivillic. Lasciata l’isola, Quivillic scomparve in mare e non fece più ritorno. Il miracolo, per gli ormai tre sopravvissuti rimasti, avvenne nel dicembre del 1930: il battello Île Saint-Paul approdò sulla costa e trasse in salvo i sopravvissuti: Julien Le Huluolut, Louis Herléden e Luoise Le Brunou.
Fotografia di B.Navez condivisa con licenza Creative Commons via Wikipedia:
Louise, ormai rimasta sola, per evitare la disoccupazione (fenomeno facile, all’epoca, per una donna) scelse di tornare a lavorare sull’isola per l’estate successiva, aiutando gli operai a prendere confidenza col luogo. Ma in breve tempo, scoppiò un virus che uccise quaranta pescatori malgasci.
In Francia, nel frattempo, si aprì il processo. Fu depositata la denuncia, da parte dei sopravvissuti, il 24 luglio 1931: i fratelli Bossiére furono accusati di negligenza e di sfruttamento ma erano, in parte, giustificati. Al ritorno in patria, nel marzo del 1930, mentre il calvario per gli abbandonati di Saint-Paul iniziava a prendere corpo, i fratelli si ritrovarono improvvisamente senza isole: le banche francesi private ne presero il controllo e gli appelli lanciati per recuperare i volontari a Saint-Paul furono completamente ignorati.
Il processo, finito il 19 aprile 1937 con la sentenza d’appello che riconobbe la colpevolezza dei due fratelli, ebbe un’ impronta politica: l’avvocato dei superstiti fu César Campinchi (dal 1936 ministro della Marina francese sotto il governo Chautemps), quello dei due fratelli fu Alcide Demont (sotto-segretario di Stato per le colonie tra il 1929 e 1930).
La responsabilità fu, dunque, confermata alla società La Langouste Française e i due imprenditori finirono col dover pagare il risarcimento ai familiari. Terminarono la loro vita, dopo aver rincorso sin dalla fine dell‘800 il sogno australe, in semi-povertà in Normandia: René a Touffreville, Henry a Mortagne-au-perche.
Che ne fu, in seguito, dell’isola di Saint-Paul? La Francia, durante la seconda guerra mondiale, non si avvalse dell’utilità strategica delle isole Kergelen, Saint-Paul e Amsterdam e non richiamarono, quei territori, gli stessi interessi economici di prima. Lo stabilimento divenne un relitto abbandonato dopo il 1945 e fu, poi, bonificato. Fu citata, Saint-Paul, dall’avvocato Michel Aurilllac nel 1979, quando propose l’abolizione della pena di morte in Francia (raggiunta con un decreto, ufficialmente, nel 1981 sotto il governo Mitterrand), da sostituire con un carcere su una di queste isole, ma il suo invito non fu accolto.
Oggi, per proteggere la flora e la fauna locale, vige la norma del divieto di approdo, e solo i familiari degli abbandonati ci hanno messo piede negli ultimi anni. Il 30 novembre 2015, sull’isola, si è tenuta una cerimonia di commemorazione delle vittime.