L’Isola dei Cannibali Sovietica: l’Agghiacciante storia dell’Affare Nazino

C’è un piccolo lembo di terra, una minuscola isola imprigionata dalle acque ghiacciate dei fiumi Ob e Nazina durante il lungo inverno siberiano, che nel maggio del 1933 si trasformò in un luogo infernale, dove morirono all’incirca quattromila persone nel giro di tredici settimane. Morirono di una morte orribile:

Di stenti, di freddo, oppure uccisi come carne da macello dai loro stessi compagni

Da allora, l’Isola di Nazino è tristemente nota come Isola dei cannibali. Ma la sua terribile storia divenne nota solo alla fine degli anni ’80, dopo la dissoluzione del regime comunista, quando gli archivi segreti del governo sovietico furono resi disponibili a storici e studiosi.

Tra il 1932 e il 1933, in Unione Sovietica imperversava una terribile carestia, dovuta alla mancata accettazione da parte dei contadini della collettivizzazione delle terre, e allo sterminio di una classe malvista da alcuni dirigenti sovietici, quella dei kulaki, che altro non erano se non i proprietari di piccoli appezzamenti, magari in possesso di qualche macchinario, e in grado di prendere a giornata qualche contadino nullatenente.

Agli inizi del 1933, il capo della polizia segreta e quello responsabile di tutto il sistema dei gulag, presentarono a Stalin un “grandioso progetto”: due milioni di persone (poi ridotte a un milione) dovevano essere forzatamente trasferite nei territori della Siberia e del Kazakistan, per sfruttare quelle sterminate distese di terra ancora incolte. I coloni avrebbero dato vita a nuove comunità che sarebbero state autosufficienti all’incirca in due anni, mandate al confino sotto la direzione della terribile polizia sovietica deputata ai campi: la Gulag – Glavnoe upravlenie lagerej (Direzione generale dei lager).

Ma chi erano le persone che dovevano trasformare in realtà il “grandioso progetto”?

Ovviamente contadini e kulaki, ma anche oppositori politici, criminali comuni, e migliaia di persone sgradite, “elementi declassati” che vivevano in città senza il necessario “passaporto interno”. Solo nel maggio del 1933, Stalin negò l’autorizzazione a portare avanti il “grandioso progetto”, ma era troppo tardi: migliaia di persone erano ormai state deportate in Siberia.

Fonte immagine: NordNordWest via Wikipedia – licenza CC BY-SA 3.0 de

In quei primi mesi del ’33, il campo d’internamento di Tomsk era praticamente al collasso: ospitava 25.000 prigionieri invece dei 15.000 previsti, perché le destinazioni finali, più a nord, erano irraggiungibili fino a quando il ghiaccio non si fosse sciolto. Poi, il 10 maggio arrivarono altre 6.000 persone, rastrellate a Mosca e a Leningrado, che durante il viaggio avevano avuto a disposizione, come razione giornaliera, 300 grammi di pane ciascuno. Ma non tutti erano riusciti a mangiare quel misero pasto, perché i più prepotenti rubavano cibo e vestiti agli altri disgraziati.

Al campo di lavoro di Tomsk non c’erano né razioni alimentari per i nuovi arrivati, né abiti adatti a un clima così freddo. Il 14 maggio, 5.000 persone (un terzo delle quali era costituito da criminali) furono imbarcate su delle chiatte, con destinazione l’Isola di Nazino. A quale scopo non si sa: non disponevano di nessun tipo di attrezzatura, e non avevano altri vestiti se non quelli con i quali erano arrivati. In compenso, la razione di pane era scesa a 200 grammi giornalieri a testa. Il 16 maggio arrivarono sull’isola i deportati, 27 dei quali erano già cadaveri, mentre più di 250 morirono nel corso della prima notte all’addiaccio. La distribuzione delle venti tonnellate di farina mandate con le stesse chiatte, senza nessuno strumento per cucinare, iniziò solo quattro giorni dopo lo sbarco e provocò numerose risse tra i coloni, che finirono con l’esecuzione dei più facinorosi. I deportati erano costretti a impastare la farina con l’acqua del fiume, mangiandola così, a crudo. Si sviluppò subito un’epidemia di dissenteria, ma nonostante le malattie e la mancanza di cibo, il 27 maggio furono mandati sull’isola altri 1200 prigionieri.

Sotto, l’isola di Nazino evidenziata in giallo:

Dopo appena tre giorni di permanenza, furono trovati nei cadaveri segni di cannibalismo, ma la situazione continuò a peggiorare. L’isola si era ormai trasformata in una bolgia infernale, dove le persone venivano uccise per la loro razione di cibo, o per estrarre loro otturazioni dentarie in oro. Le guardie vessavano i più deboli, ma nulla facevano contro le bande dei più violenti che, già verso la fine del mese di maggio, uccidevano persone inermi al solo scopo di mangiarle. Chi tentava di fuggire a bordo di zattere improvvisate veniva inesorabilmente inseguito dai sorveglianti, e ucciso alla stregua di selvaggina. I pochi che riuscivano a scampare, erano comunque dati per morti:

Chi poteva sopravvivere nella gelida taiga siberiana?

All’inizio di giugno, a Nazino erano rimaste vive 2856 persone, che furono trasferite in altri campi di lavoro, anche se molti di loro morirono durante il viaggio. Nell’arco di tredici settimane, dei circa 6000 coloni trasferiti a Nazino, 2000 erano scomparsi (quindi presumibilmente deceduti), altri 1500/2000 erano morti di fame, malattia, o uccisi deliberatamente.

Un campo di lavoro sovietico

Immagine di pubblico dominio

Ad agosto, dei deportati di Nazino ne erano sopravvissuti all’incirca 2000, metà dei quali risultarono gravemente malati, e comunque, tra gli altri, solo 200/300 erano effettivamente in grado di lavorare.

Questi tragici numeri risultano dal rapporto inviato a Mosca, appunto nel mese di agosto, dal capo del Partito Comunista del distretto, che portò a un’inchiesta e alla fine anche a condanne per i funzionari locali e le guardie che avevano prestato servizio sull’isola.

Poi, tutto cadde nell’oblio: il rapporto fu archiviato e mai reso pubblico; solo i pochi sopravvissuti e qualche funzionario ricordavano gli orrori dell’Isola dei Cannibali. Finché, nel 1988, grazie alla glasnost, molti segreti dell’Unione Sovietica furono svelati, ma il rapporto su Nazino fu pubblicato solo nel 2002.

Agghiacciante il racconto di un testimone oculare, un membro della popolazione nativa siberiana (Ostiak):

“Stavano cercando di scappare. Ci hanno chiesto “Dov’è la ferrovia?” Non avevamo mai visto una ferrovia. Hanno chiesto “Dov’è Mosca, Leningrado?” Stavano chiedendo alle persone sbagliate: non avevamo mai sentito parlare di quei posti. Siamo Ostiak. La gente stava scappando dalla fame. Hanno ricevuto una manciata di farina. La mischiarono con l’acqua e la mangiarono e poi immediatamente ebbero la diarrea. Le cose che abbiamo visto! Le persone morivano ovunque; si stavano uccidendo a vicenda… Sull’isola c’era una guardia di nome Kostia Venikov, un giovane ragazzo. Si era innamorato di una ragazza che era stata mandata lì e la corteggiava. Lui la proteggeva. Un giorno dovette andare via per un po’ e disse a uno dei suoi compagni: “Abbi cura di lei”, ma con tutte quelle persone lì, il compagno non poteva fare molto… La gente catturò la ragazza, la legò a un albero di pioppo, le tagliò i seni, i muscoli, tutto quello che potevano mangiare, tutto, tutto… Erano affamati, dovevano mangiare. Quando Kostia tornò, era ancora viva. Ha cercato di salvarla, ma aveva perso troppo sangue.”

Oggi, l’Isola di Nazino è conosciuta in Russia come Isola dei Cannibali, ma anche come Isola della morte: un lembo di terra sperduto trasformato in una succursale dell’inferno.


da