Questa è la storia di un italiano, Raffaele Minichiello, nato il primo novembre del 1949 in un piccolo comune in provincia di Avellino “Melito Irpino”. Raffaele fu costretto ad emigrare negli Stati Uniti con la famiglia d’origine dopo i drammatici eventi seguenti al terremoto del 1962. Arrivato negli USA si stabilì a Seattle dove frequentò con alterne fortune la “Foster High school”.
Minichiello abbandona presto gli studi per arruolarsi nel prestigioso corpo dei Marine nel 1967. Partito per la guerra del Vietnam, torna molto provato, e accortosi che mancavano 200 dollari dalla sua paga si reca in uno spaccio militare dove sottrae alimenti e prodotti vari come una sorta di risarcimento.
Raffaele si addormenta all’interno dello “store”, e viene colto in flagrante e arrestato il giorno dopo, ma viene poi reintegrato nell’ottobre 1969 nei marines, dove diserta quasi subito. Decide di ritornare in Italia per evitare la corte marziale, ma studia un modo davvero poco ortodosso:
Intende dirottare un volo diretto a New York
Per fare ciò acquista un fucile, riuscendo a passare i controlli dell’aeroporto, corrompe molto probabilmente una Hostess e si introduce in un Boeing 707 dell’azienda TWA (Trans World Airlines) in partenza per San Francisco.
Dopo pochi minuti dal decollo Minichiello tira fuori l’arma e intima al comandante di far rotta verso New York, dove l’apparecchio farà rifornimento per affrontare il lungo viaggio verso l’Italia.
L’obiettivo è arrivare all’aeroporto “Leonardo Da Vinci” di Roma
L’aereo ci arriverà il giorno dopo, non prima di aver fatto scalo in altri due aeroporti statunitensi, sempre a scopo di rifornimento, e poi in quello di Shannon, in Irlanda.
Gli altri passeggeri erano tutti stati fatti scendere allo scalo di Denver
Sulla pista d’atterraggio romana Minichiello fa delle richieste ben precise alle autorità italiane. Vuole recarsi a Napoli e per fare ciò ha bisogno di un’automobile.
Gli viene fornita una “Giulietta” dell’Alfa Romeo e a guidarla c’è il vice-questore Pietro Gulì, che sotto il tiro dell’arma del dirottatore imbocca l’Autostrada in direzione della città partenopea.
Sotto, un’intervista recente:
Dopo pochi chilometri però Minichiello decide di abbandonare l’auto e darsi alla fuga nei campi ai lati dell’Ardeatina. Viene scovato dagli agenti della squadra mobile di Roma nella chiesa del “Divino Amore” dopo che un parroco lo ha riconosciuto. Agli agenti dice in dialetto irpino:
N’aggio fatto niente – Non ho fatto nulla
Raph, come veniva chiamato in America, viene condannato a sette anni di reclusione, ma sconterà solo diciotto mesi presso il carcere “Regina Coeli” di Roma. La storia di Raffaele Minichiello non finisce qua. Si sposa con Cinzia e con lei ha un figlio, ma la donna, alla seconda gravidanza, viene abbandonata in sala travaglio e muore insieme al feto. Impazzito dal dolore, tenta di organizzare un attentato in un convegno medico di Fiuggi, fortunatamente sventato prima di qualsiasi messa in atto.
Raffaele si converte, grazie a un collega della stazione di servizio dove lavora, alla fede evangelica rimanendo folgorato dalla famosa frase che Gesù pronuncia sulla croce in punto di morte: “Padre perdona loro perché non sanno quel che fanno”. Dopo la tragica morte della moglie si risposa, riuscendo a regolare la propria posizione legale negli Stati Uniti dopo la grazia che il Governo gli ha concesso.
La storia del Minichiello ha dell’incredibile, è a metà strada tra un film d’azione e la candida marachella di un giovane ragazzo sentitosi tradito dal sogno americano. Il dirottamento di Minichiello è a tutt’oggi è il più lungo della storia dell’aviazione e il primo in assoluto intercontinentale. Ha ispirato il libro di Luigi Vercesi “Il marine”, e per molti (anche se in questo caso le opinioni sono discordanti) avrebbe ispirato il personaggio di Rambo.