L’imperatore Dario contro gli Sciti: la lezione che non hanno colto Napoleone e Hitler

La storia, diceva il filosofo Giambattista Vico, si ripete ciclicamente (in verità non alludendo a un ripetersi degli eventi ma piuttosto a un perpetuo rincorrersi di età degli dei, degli eroi e degli uomini) e, a quanto pare, inutilmente.

Adolf Hitler, ad esempio, non trae vantaggio dalla disastrosa esperienza di Napoleone Bonaparte in Russia, e finirà come lui, con le ossa rotte e costretto ad arrendersi al Generale Inverno. Per tutti e due, che al momento dell’invasione erano all’apice della loro potenza, la disastrosa campagna di Russia sarà l’inizio della fine.

Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:

Soldati tedeschi tentano di sbloccare dalla neve un panzer IV D, slittato a lato della carreggiata

Immagine di Bundesarchiv, Bild 101I-215-0354-14 / Gebauer / CC-BY-SA 3.0

I due tentativi di invasione sono separati da un tempo che, nell’insieme della visone storica, è davvero minimo, appena 130 anni. Hitler avrebbe potuto davvero fare tesoro dell’esperienza di Napoleone, ma probabilmente la grande fiducia nel proprio apparato bellico lo ha condotto sulla strada sbagliata.

Il bivacco notturno dell’esercito di Napoleone durante la ritirata dalla Russia

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Il generale Bonaparte invece non era probabilmente a conoscenza di una storia molto antica, che avrebbe forse potuto farlo riflettere sul pericolo al quale andava incontro (come scherzosamente dice lo storico Alessandro Barbero, c’è giusto un insegnamento della storia “che vale per sempre: non bisogna invadere la Russia”), anche se certamente, visto il personaggio, non ne avrebbe tratto vantaggio.

Bisogna davvero tornare molto indietro nei secoli, quando tempo e spazio non erano concetti assoluti: c’era chi viveva in spazi definiti e rassicuranti – case, palazzi, città, regni – dove il tempo scandiva il lavoro e il riposo, e poi c’era chi viveva nella libertà di spazi senza confini, dove il tempo era solo il continuo rincorrersi di luce e buio, di vita e morte.

Nel 513 a.C. il “Gran Re, Re dei Re, Re dei paesi dell’universo”, Dario I, sovrano dell’impero persiano – achemenide per la precisione – decide di invadere la Russia (per modo di dire).

Ovviamente non la Russia dei tempi di Napoleone e Hitler, che ovviamente non esisteva, ma un territorio che si stendeva tra l’Ucraina del sud e la Russia, compreso tra Mar Nero e i fiumi Danubio e Don.

Mappa della Scizia, con indicati anche i popoli limitrofi e quelli assimilabili agli Sciti

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Lì ci abitano popoli iranici, come iranici sono d’altronde i Persiani, che hanno abbandonato secoli prima le inospitali steppe del nord per trasferirsi più a sud, dove hanno cambiato radicalmente stile di vita: là dove hanno scelto di fermarsi costruiscono case e templi, coltivano la terra e organizzano il “tempo”.

A dominare le steppe euroasiatiche ci sono invece i fieri Sciti, pastori nomadi che non costruiscono città né coltivano la terra, però forgiano magnifici gioielli in oro e seppelliscono i loro morti in tombe ricchissime.

Fibbia scita per cintura – VII secolo a.C.

Immagine di Urek Meniashvili via Wikipedia – licenza CC BY-SA 3.0

Più avanti nel tempo, gli Sciti incrociano la civiltà greca nelle colonie fondate sul Mar Nero, e qualcuno di loro si fa sedurre da quella cultura e da nuovi modi di vivere, ma questo avviene molto dopo.

In quel 513 a.C, Dario decide di muovere guerra contro gli Sciti “europei”, colpevoli non solo di aver invaso la Media un centinaio d’anni prima, ma anche di non riconoscere la sua autorità, e soprattutto di mettere in pericolo l’attività commerciale tra Asia e paesi sulle rive del Mar Nero.

I Persiani attraversano lo stretto del Bosforo grazie a un ponte di barche, poi oltrepassano il Danubio e affrontano altri popoli, alcuni dei quali si alleano con i pastori nomadi e altri preferiscono restare neutrali, addossando la colpa dell’invasione agli Sciti stessi.

Mappa della campagna di Dario I contro gli Sciti europei

Immagine di anton Gutsunaev via Wikipedia – licenza CC BY-SA 4.0

Il teatro dello scontro, che in realtà non si verifica mai, è un vasto e freddo territorio che va dai Balcani all’Ucraina e alla Russia meridionale. Gli Sciti però si fanno di vento, diventano fantasmi mai visibili per l’esercito di Dario.

Intanto però fanno terra bruciata, danno fuoco ai campi coltivati nei territori che i Persiani attraversano, interrano i pozzi, appaiono all’improvviso per bloccare i convogli di rifornimenti e poi scompaiano nel nulla “più leggeri delle pantere, più rapidi dei lupi della sera”.

Figurine in oro che raffigurano due arcieri sciti armati di arco composito – IV Secolo a.C.

Immagine di PHGCOM via Wikipedia – licenza CC BY-SA 4.0

Si fanno coinvolgere in qualche scaramuccia, solo per sconcertare il nemico, come quella volta che, con i due eserciti schierati di fronte per arrivare alla battaglia tanto desiderata dai Persiani, gli Sciti rompono le righe e si danno all’inseguimento di una lepre.

Dario non comprende quel popolo e soprattutto non si capacita di come loro non lo tengano in nessuna considerazione, lui che è il Re dei Re.

Dario attraversa il Bosforo

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Dario li insegue nel profondo nel loro territorio, che deve essergli sembrato come un deserto, fuori dal tempo e senza spazi riconoscibili: nessuna città da conquistare, nessuna traccia di campi coltivati e niente da razziare per dar da mangiare all’esercito. Insomma un luogo senza punti di riferimento e per ciò stesso angosciante.

I cavalieri nomadi ripiegano sempre e non si fanno mai trovare. Allora l’imperatore, stanco di quel continuo gioco a nascondino, manda una lettera al re degli Sciti, Idantirso, dove gli intima di combattere o di arrendersi:

“Sciagurato individuo, perché continui a fuggire? Davanti a te hai due possibilità. Se ti ritieni capace di opporti alla mia potenza, fermati, smetti di vagare qua e là e combatti; se invece ti riconosci inferiore, allora cessa comunque di correre, porta in dono al tuo signore terra e acqua e vieni a colloquio con me”. (Erodoto, Storie – libro IV)

La risposta del fiero Idantirso non si fa attendere:

“Per me, Persiano, le cose stanno così: io prima d’ora non sono mai fuggito per paura davanti a nessuno e nemmeno adesso sto scappando davanti a te. E attualmente non faccio niente di diverso da quanto faccio di solito anche in tempo di pace. E ti spiego pure per quale motivo non mi misuro subito con te: noi non possediamo città, né terre coltivate per cui correre a scontrarci in battaglia nel timore che vengano espugnate o devastate. Se proprio è necessario arrivare rapidamente a tanto, noi abbiamo le tombe dei nostri antenati. E allora trovatele, queste tombe, tentate di devastarle e saprete immediatamente se per esse ci batteremo o meno; prima, se non ci sembra il caso, rifiuteremo lo scontro. Questo valga per la battaglia; quanto ai miei padroni io credo di avere come tale soltanto Zeus, mio antenato, ed Estia, regina degli Sciti. A te, poi, invece di terra e acqua in dono, ti manderò regali che più ti si addicono; e in cambio del fatto che hai detto di essere mio padrone, io ti dico di andare in malora.” (Erodoto, Storie – libro IV)

Mappa del mondo basata sulle “Storie” di Erodoto

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La tattica degli Sciti è quella di trattenere il più a lungo possibile l’esercito persiano nel loro territorio, per logorarlo e portarlo alla fame, visto che si sta avvicinando l’inverno. Per far questo, ogni tanto lasciano dietro di loro qualche gregge da far razziare ai nemici, che così riprendono fiducia e continuano l’inseguimento.

Dario è sempre più indeciso sul da farsi, quando riceve dei doni da parte di Idantirso: un uccello, un topo, una rana e cinque frecce (gli Sciti sono imbattibili arcieri a cavallo). Il messaggero non sa dare spiegazioni sul significato di quei doni, anzi, la sfida, dice, è proprio quella di indovinare cosa volessero dire quei regali.

Dario subito immagina che si tratti di un segno di resa: “Gli Sciti in tal modo mettevano nelle sue mani se stessi, la terra e l’acqua, basandosi sul fatto che il topo vive sulla terra, nutrendosi come l’uomo, e la rana nell’acqua, e che l’uccello somiglia molto al cavallo; quanto alle frecce, le interpretava come una resa dell’esercito” (Erodoto, op.cit.)

Di diverso parere è uno dei suoi consiglieri, Gobria, secondo il quale, quei doni volevano dire: “Persiani, se trasformati in uccelli non cercherete protezione in cielo, o trasformati in topi non vi sprofonderete sotto terra, o trasformati in rane non andrete a tuffarvi negli stagni, trafitti da queste frecce non potrete più tornare nel vostro paese”.

Dario si convince di quest’interpretazione, e ancor di più dopo l’episodio della lepre, che avviene subito dopo.

Il grande imperatore, il Re dei Re, decide di ritirarsi in tutta sicurezza, e per far questo trae in inganno gli Sciti, lasciando un accampamento con i suoi uomini più deboli, ignari del piano, e tutti gli asini, che fanno un gran rumore con il loro ragliare.

Non appena gli Sciti si accorgono di quello stratagemma, le parti si rovesciano: adesso sono loro, insieme a tribù alleate, ad inseguire i Persiani. I due popoli nemici invece non si incontreranno mai più e Dario riesce a riattraversare il Danubio attraverso un ponte custodito dagli alleati Ioni (che fingono di assecondare gli Sciti), per tornarsene in Asia.

I Greci alleati di Dario custodiscono il ponte sul Danubio

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Il Gran Re lascia in Europa il più fidato dei suoi generali, Megabazio, ma non tenterà mai più di sottomettere gli Sciti, né tantomeno di avventurarsi nel loro territorio.

Malgrado gli “Sciti al di là del mare” siano menzionati in un rilievo rupestre come uno tra i popoli assoggettati da Dario, in realtà l’unico risultato ottenuto dal re persiano fu quello di infliggere parecchi danni sia a loro sia ai loro alleati, senza però ottenere una contropartita in termini di territori conquistati.

Sciti al di là del mare, rilievo della tomba di Serse I

Immagine di A.Davey via Wikipedia – licenza CC BY-SA 2.0

Quelle tribù nomadi che certo non avevano nella loro cultura il concetto di “Stato”, seppero unire le loro forze – fare fronte comune – e contrastare un nemico ritenuto invincibile, assai più di quanto sapranno fare, qualche anno dopo, le città-stato greche durante le guerre greco-persiane.

Soldati achemenidi che combattono contro Sciti (o Sogdiani)

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Ma non bisogna stupirsi: evidentemente Cicerone si sbagliava – sia riguardo al passato sia alla luce di quanto avverrà in futuro – quando diceva

La storia in verità è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di vita, messaggera dell’antichità

Se la storia fosse “maestra di vita”, forse non ci sarebbero stati, e non continuerebbero ad esserci, tanti orrori sui quali poi si piange, ormai a latte versato…


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