L’Eroe del ponte di Stamford: il leggendario “Figlio senza Nome” di Odino

Nel 1066, a Stamford Bridge nell’Inghilterra del Nord, l’armata norvegese di Harald III “Hardrada” Lo Spietato combatté contro i sassoni di Aroldo II Godwinson. Durante lo scontro, come attestano con stupore le cronache del tempo, si verificò qualcosa che aveva del soprannaturale ma che, in verità, accadde. Un guerriero vichingo, il cui nome si è perso nelle nebbie dei tempi:

Sbarrò da solo la strada ai Sassoni

Alla testa di una poderosa flotta, Re Harald di Norvegia salpò per reclamare sul campo il trono d’Inghilterra (su sollecitazione del traditore Tostig, fratello del sassone Aroldo, spodestato dalla sua carica e desideroso di vendetta). La campagna iniziò nel migliore dei modi per Harald, riuscendo a sconfiggere le schiere dei conti Edwin e Morcar nella battaglia di Fulford. Poco dopo, risparmiando dal saccheggio la ricca città di York, decise di far accampare i suoi uomini sulle rive del fiume Derwent. Così, il 25 settembre, i suoi guerrieri si trovavano intenti a godersi, in tutta calma e relax, un meritato riposo sulle dolci sponde di un fiume.

Aroldo II d’Inghilterra sull’Arazzo di Bayeux:

C’era chi si allenava al combattimento, chi riparava l’armamento danneggiato, chi si faceva il bagno, chi si sfidava a Hnefatafl (un complesso gioco vichingo molto simile agli scacchi), chi si sistemava in trecce e code le lunghe chiome e barbe, chi si godeva la compagnia femminile locale e chi, semplicemente, se ne stava disteso sull’erba a ritemprarsi e a fantasticare sul futuro dell’avventura inglese. In pratica, nessuno era lontanamente preparato alla tempesta che si stava addensando. I norvegesi erano sì al corrente che l’esercito comandato da Re Aroldo in persona era in marcia dal sud dell’Inghilterra per affrontarli, ma avevano calcolato che avrebbe impiegato molto più tempo. Oltre a ciò si verificò un secondo errore, perché il polverone sollevato dai sassoni avanzanti venne scambiato per quello di un contingente di rinforzo proveniente dalla base di Riccall. Pertanto, solo a poco meno di due chilometri di distanza i vichinghi realizzarono la sconcertante verità.

I sassoni erano già arrivati

Si trovavano nella peggiore disposizione tattica immaginabile, essendo sparpagliati e divisi tra due sponde. Di conseguenza, le unità sul lato ovest si videro piombare addosso tutto il peso dell’armata nemica. Allora Hardrada diede l’ordine di contrastare i sassoni, pur cercando allo stesso tempo di ripiegare gradualmente verso est per riunire in sol corpo ogni guerriero. Gli scandinavi accolsero la carica con il muro di scudi (skjaldborg), serrati a mò di barriera, e così si accese una dura lotta a colpi d’ascia, arma tipica dei vichinghi ma anche dalle truppe scelte della guardia reale di Aroldo (housecarls). In un primo tempo riuscirono a frenare l’impeto degli attaccanti ma, poi, la mancanza di armatura (la maggioranza non ebbe il tempo di mettersi la cotta di maglia protettiva) si fece sentire, e finirono per ritirarsi precipitosamente al di là del ponte. In questi cruciali minuti sarebbe stato molto vantaggioso che una forza di retroguardia bloccasse il più tempo possibile gli assalitori, per concedere al grosso dell’armata di riorganizzarsi al meglio sull’altra riva del fiume.

Entrò così in scena il Guerriero Senza Nome

Sotto, la battaglia in un dipinto del XII secolo di Matthew Paris all’interno del volume “The Life of King Edward the Confessor”:

Forse non era un semplice combattente, dal momento che alcuni cronachisti dell’epoca lo accreditano come berserker. Questi erano sacri guerrieri votati a Odino che, in cambio, concedeva loro l’agghiacciante berserkergang

La furia da combattimento

che li rendeva impermeabili alla paura, alle ferite e li faceva urlare come bestie selvagge. Sembrava proprio che il Padre degli Dei gli avesse infuso nelle vene un soprannaturale coraggio, spronandolo a compiere l’impossibile. E ciò, secondo la religione norrena, gli avrebbe spalancato i cancelli della monumentale porta di Valgrind, entrando così, sotto la torva ombra di un lupo e di un’aquila, nel mitico e agognato Valhalla:

Il Paradiso degli Eroi

La retroguardia, di cui questo guerriero faceva parte, a un tratto, ruppe i ranghi e fuggì lungo il ponte. Lui seguì i compagni fino a un certo punto e, all’improvviso, si fermò e poi si girò per arrestare da solo il passo all’intero esercito sassone (va sottolineato che il ponte consentiva il passaggio di due soli uomini alla volta, rendendo possibile l’impresa). La battaglia subì una pausa e il tempo parve arrestarsi. Tutti, come ipnotizzati, rimasero attoniti a fissare il gigante norvegese. Costui, roteando una pesante ascia a due mani, faceva calare devastanti colpi sui temerari che osavano farsi sotto. Si accese così una serie di sanguinosi duelli.

Si tramanda che nel ristretto spazio di lotta rimanessero a terra, dilaniati da orrende ferite, ben 40 avversari

Solo grazie a uno stratagemma, infine, potè essere eliminato. Un sassone, prendendo una barca, furtivamente si fece trascinare dalla corrente sotto al ponte. Non scorto, rilasciò attraverso la spalliera un affondo di lancia che ferì gravemente a una gamba il norvegese. La ferita gli “fece scivolar via” la forza e compromise la sua granitica saldezza: la diga aveva mostrato una crepa e ora la potenza dell’acqua sarebbe esplosa.

Così, come iniziò a vacillare, venne travolto e fatto a pezzi dalla massa nemica

Altre fonti narrano che gli uomini di Aroldo, profondamente colpiti dal coraggio di un simile campione, che aveva già vinto numerosi duelli e bloccato da solo l’accesso del ponte, non volessero ucciderlo subito. In ogni modo un leggendario “Guerriero senza Nome”, che non sfigurerebbe nelle saghe norrene a fianco di grandi capi come Harald Bellachioma o Erik Ascia Insanguinata.

La battaglia di Stamford Bridge si concluse con la morte di Harald Hardråde, colpito al collo da una freccia. Due settimane dopo Aroldo II venne sconfitto da Guglielmo il Conquistatore nella Battaglia di Hastings.

Sotto, Aroldo viene colpito a morte da una freccia, dipinto di Peter Nicolai Arbo del 1870:


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