L’enigma Maria Cappa: fu Suicidio o Uxoricidio?

Il 20 ottobre 1945 è un sabato. La guerra è appena conclusa, i disastri e le tragedie sono un ricordo fresco nella memoria degli italiani e in ampie fette del paese ancora sono visibili i segni del conflitto. A Roma, la famiglia Graziosi, una famiglia della media borghesia romana, si avvia alla volta di Fiuggi per trascorrere il fine settimana. Arnaldo Graziosi ha 32 anni ed è un pianista e compositore che collabora con la Rai; sua moglie, Maria Cappa, è più giovane, ha 24 anni. Insieme a loro c’è la figlia, Andreina, che di anni ne ha 3.

I Graziosi alloggiano in un appartamento nella pensione “Villa Igea” di Fiuggi nel pomeriggio di sabato. Dopo cena, madre, padre e figliola si recano al cinema, e fanno ritorno alla pensione intorno a mezzanotte. Un sabato sera sereno e di svago, come tante famiglie italiane che vogliono dimenticare in fretta i drammi della guerra.

L’alba sorge lenta su Fiuggi; il cielo non si è ancora liberato dai colori lividi della notte, ma poco prima delle sette di domenica 21 ottobre la pensione “Villa Igea” è scossa da un colpo. Il portiere della struttura non fa in tempo a decifrare da dove provenga quel rumore e cosa possa essere che vede venirgli incontro Arnaldo Graziosi.

L’uomo è trafelato e urla che sua moglie Maria si è sparata

Una notizia terribile che però, in quei concitati secondi, sembra cozzare con il suo abbigliamento: il compositore è infatti già vestito di tutto punto, con camicia, giacca e cravatta. Graziosi e il portiere corrono nella camera dell’uomo e trovano la moglie Maria stesa a letto. Del sangue le scorre dalla tempia e finisce sulle candide lenzuola. Nei pressi della mano sinistra c’è una piccola pistola automatica. La donna è morta, sembra suicidata. Andreina, la bimba della coppia, è vicina alla madre morta e dorme ancora.

Arnaldo Graziosi stringe in mano una lettera.

È scritta da Maria:

Quando leggerete queste righe il mio martirio sarà finito. Troppo a caro prezzo sto pagando l’unica leggerezza della mia vita, per il bene di mia figlia, per quello delle persone che mi sono care, è necessario che io sparisca. Ora sono stanca, mortalmente. Desidero che queste persone non sappiano della mia fine e serbino di me un buon ricordo. Maria”.

La pistola vicino la mano, la lettera d’addio, sembra un chiaro suicidio. Forse troppo chiaro.

Le indagini dei carabinieri partono lente, non lasciando inesplorata alcuna via. Si scopre che tra i coniugi Graziosi il clima non era dei più sereni: Maria Cappa era depressa e Arnaldo aveva pensato di portarla al centro termale di Fiuggi per tentare di riacquistare quella serenità che appariva ormai compromessa.

Contro Arnaldo Graziosi interviene però la madre di Maria Cappa: la donna sostiene che il genero frequentasse dei giri poco puliti, e trova inverosimile che la figlia abbia deciso di uccidersi in questo modo. Inoltre si viene a scoprire che il Graziosi ha una relazione, solo platonica o forse no, con una collega, Anna Maria Quadrini. Da un caso di suicidio si inizia a elaborare l’ipotesi di un omicidio, e l’uomo viene così rinviato a giudizio per uxoricidio.

Ma a cosa allude Maria nella sua estrema lettera quando parla dell’”unica leggerezza della mia vita”?

Si scopre presto. Maria Cappa è affetta da sifilide. L’ha contratta durante un rapporto avuto prima del matrimonio e ha infettato sia il marito sia la figlioletta. Che ci sia questo senso di colpa alla base del gesto suicida?

Gli inquirenti si concentrano però sulla scena del delitto: i rilievi attestano che la pistola con la quale è stato sparato il colpo è un po’ troppo distante dalla mano sinistra di Maria; difficile che possa essere balzata a quella distanza dopo lo sparo fatale. Di più: il foro alla tempia, dov’è passato il proiettile che ha ucciso la donna, non presenta il tipico alone che lascia un colpo sparato a distanza ravvicinata. Che il grilletto sia stato premuto volutamente da Maria Cappa a decine di centimetri di distanza dalla testa? Strano come suicidio.

Si aggiungono le voci che mettono in dubbio – nonostante le conferme calligrafriche – che la lettera non sia scritta dalla vittima. Elementi molto strani che accompagnano la vigilia del processo per omicidio a carico di Arnaldo Graziosi. Il dibattimento è complicato, gli elementi sembrano favorire ora l’ipotesi dell’omicidio, ora quello del suicidio.

Il fattore determinante pare essere quello della malattia venerea della donna. Secondo l’accusa la donna ha contratto la sifilide a causa di un rapporto extra coniugale e Arnaldo Graziosi, ferito nell’orgoglio e furioso, avrebbe deciso di punire l’infedeltà della consorte. Ad avvalorare questa ipotesi, paradossalmente, interviene la presunta amante del Graziosi, Anna Maria Quadrini, che conferma l’inconsistenza della relazione tra lei e l’uomo.

A novembre 1947 Arnaldo Graziosi viene dunque condannato per l’uccisione di sua moglie a 24 anni di galera. La Cassazione – all’epoca il secondo grado non esisteva – conferma la sentenza.

L’ex compositore non ci sta a un giudizio a suo dire assurdo e nel 1948 riesce a evadere rocambolescamente dal carcere di Frosinone, ma viene ritrovato qualche giorno dopo la fuga ad Alatri, una delle cosiddette città saturnie, poco distante dal penitenziario.

Graziosi si dichiara desolato per l’evasione, ma sostiene di aver attuato la fuga soltanto perché vittima di un clamoroso errore giudiziario.

La libertà per l’uomo arriverà soltanto nel 1959, dopo 14 anni di detenzione, grazie alla richiesta di grazia presentata, dopo varie vicissitudini legate alla mancanza delle firme di alcuni famigliari, al Presidente della Repubblica dalla famiglia della defunta moglie e dalla figlia Andreina, ormai diciassettenne. Il Capo di Stato Giovanni Gronchi concederà la grazia.

Riacquisita la libertà Graziosi si risposerà e tornerà alla sua vecchia professione, collaborando anche alla colonna sonora di Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini del 1975.

Arnaldo Graziosi si toglie la vita il 6 marzo 1997, all’età di 83 anni, gettandosi dalla finestra della propria abitazione di Grottaferrata. Con il suo suicidio va via probabilmente la possibilità di scoprire la verità su quel mattino di domenica 21 ottobre 1945.

La pistola automatica Beretta, calibro 9, che ha causato la morte di Maria Cappa è oggi custodita al Museo Criminologico di Roma.

Antonio Pagliuso

Appassionato di viaggi, libri e cucina, si occupa di editoria e giornalismo. È vicepresidente di Glicine associazione e rivista, autore del noir "Gli occhi neri che non guardo più" e ideatore della rassegna culturale "Suicidi letterari".