L’Emigrazione fu la linfa vitale dell’Europa del XVI secolo

Fernand Braudel, storico francese, scriveva a metà ‘900: “Una civiltà che non esporta uomini, modi di pensare o di vivere è inimmaginabile”, e proprio nel XVI secolo l’Europa sarà il palcoscenico di intensi scambi tra Stati e città. Molto si parla delle migrazioni verso le Americhe e l’India a opera di Spagnoli e Portoghesi, che portavano con sé gli schiavi africani acquistati dai mercanti arabi; ma troppo poco si mettono in luce gli importanti spostamenti avvenuti all’interno del nostro continente, migrazioni che hanno dato un contributo fondamentale all’innovazione e alla crescita europea, nonostante le frequenti crisi dell’epoca.

L’Europa, a dispetto delle più disparate suddivisioni territoriali, è vita e movimento, un misto di culture, di persone, viaggiatori provenienti da tutte le parti del continente e del mondo stesso, che con il loro misero bagaglio provano a costruirsi un futuro, mettendo a disposizione della nuova comunità le proprie doti.

Gli Italiani sono migranti per eccellenza; vanno ovunque, non importa la distanza, i disagi del viaggio, confluiscono a Nord, a Londra, Bruges, Anversa, a est nei paesi musulmani, dalle isole greche a Costantinopoli e Antiochia. Sono artisti, artigiani, mercanti e finanzieri, che cercano di mettersi in gioco e di trovare un posto che apprezzi e possa fare buon uso del loro talento.

Sotto, Londra nel XVI secolo:

Operai di Como vanno in Germania, altri partono da Tremezzo, come faranno i Mainoni e i Brentano, banchieri e commercianti a Francoforte; braccianti liguri in Corsica; tecnici, artigiani, venditori ambulanti della Val Vigezzo, in Francia (così i Mellerio si insedieranno a Parigi, fondando la loro celebre gioielleria), Paese particolarmente popolato, che a sua volta spingerà flussi di artigiani, portantini, venditori ambulanti e contadini di Rouergue, Auvergne, Gevaudane e Guascogna nei territori spagnoli, oltre i Pirenei o direttamente nei porti catalani o nell’entroterra castigliano, attirati dagli alti salari. Così troveremo città come la Perpignano del 1536 (al tempo Spagnola) con una popolazione in maggioranza francese, mentre nei Paesi Bassi, la Spagna, riceverà soldati dal Ducato di Urbino. Gli Ebrei, dal canto loro, cacciati dalla Penisola Iberica si rifugeranno, invece, a Salonicco, a Costantinopoli o in Turchia.

Sotto, veduta di Istanbul nel XVI secolo da parte di un visitatore inglese:

Mentre garzoni desiderosi di trovar impiego in una taverna, in una locanda, o presso la bottega di un qualsiasi maestro artigiano, l’Università di Padova riceve studenti dalla Germania e Venezia numerosi apprendisti mercanti, che hanno finalmente raggiunto la tanto agognata città dopo un arduo viaggio attraverso la catena alpina, mettendosi in concorrenza con gli altri migranti venuti da ogni dove. I protestanti fuggiti dall’Italia portano a Norimberga l’industria dei velluti di seta. La città è assalita dagli uomini d’affare italiani: i Torrigiani vi si erano insediati già da tempo.

Norimberga, soprannominata la città dei “grattacieli” del XVI secolo:

I mercanti italiani invasero la Germania. Bartolomeo Viatis, bergamasco, giunto a Norimberga a dodici anni, nel 1550, a forza di braccia, conquista il primo posto accanto ai Koch. Egli commercia tele, prodotti del Levante, piume di struzzo, pelli di camoscio. Quando muore lascia una fortuna valutata oltre un milione di fiorini”.

Viatis diverrà addirittura leader del mercato della borsa di Norimberga. Gli architetti italiani arriveranno sino in Polonia e a Mosca. A Cracovia verranno fondate tre fabbriche di mattonelle italiane. La Polonia ospiterà da quindici a venti botteghe italiane, fra cui quelle dei Soderini, ricca famiglia fiorentina, e dei Montelupi. I mercanti italiani si insedieranno anche a Leopoli, Lublino e Varsavia, poi passeranno in Transilvania, dove gli italiani troveranno lavoro come soldati, scalpellini, operai, muratori e mercanti, portando tecniche e processi nuovi, che permetteranno di lavorare a costi minori, come il lavoro su commissione. Solo l’incapacità in materia di politica economica e di sviluppo del governo polacco porterà lo Stato al decadimento, tanto che per coprire le spese di riconciliazione con i Turchi dovranno imporre una tassa a tutti gli ebrei del regno.

Varsavia in un dipinto dell’emigrato Bernardo Bellotto nel XVIII secolo:

L’invasione italiana del Nord Europa verrà compensata da quella nordica del Mediterraneo. Grave problema delle marine mediterranee era la mancanza di equipaggi e rematori volontari, i buonavoglia. Gli uomini non erano più bendisposti a vendersi come prima, difatti si rivolgevano alle marine straniere che concedevano paghe più elevate. Così i mediterranei andavano ad arruolare marinai nordici. Questo creava, tuttavia, problemi agli Stati del Nord: nei Paesi Bassi ci si lamentava dei marinai che andavano a Lubecca. I marinai italiani, oltre a dirigersi a nord, puntavano ad altre città della Penisola, come i Veneziani che partivano per Pisa e Livorno, dove arrivavano anche numerosi Greci, che troviamo pure nelle Baleari, a Cadice e Madrid insieme ai Ragusani e ai Ciprioti. Questi spostamenti presi singolarmente non costituiscono un grande fenomeno, ma sommati mostrano una considerevole tendenza al trasferimento.

Dei bergamaschi, che migrano a causa del territorio montuoso, aspro, sterile e sassoso, il Bandello scrive: “degli otto i cinque se ne vanno qua e là per il mondo guadagnando con sudore e fatica grandissima ciò che ponno e risparmiando più che sia possibile nel vestir e mangiare, quando mangiano a spese loro, ché se sono in casa d’altri divorano come lupi. E certo io oserei santamente giurare che non sia nel mondo parte ove non ci sia alcuno bergamasco”.

Mentre a Ragusa arrivavano maestri della lana, preti, docenti e uomini d’affari nord-italiani, la città forniva studenti e marinai al nord. Venezia riceve migranti dalle montagne, dalla campagna, dai piccoli staterelli italici, ma anche clandestini da Grecia e Albania, che entrano attraverso i canali, minacciando i barcaioli, e che cercano di superare le prime difficoltà prostituendo le figlie. La Repubblica Veneta si arricchisce di immigrati, provenienti sia dal Vicino Oriente sia dalle Fiandre.

Sotto, il dipinto “Miracolo della Croce a Rialto”, del 1494, che svela la natura cosmopolita di Venezia, una delle principali città europee:

Roma rifiorirà, dando lavoro a numerosi architetti che giungono dal resto della penisola: Baldasarre Peruzzi di Siena, Sanmicheli di Verona, Jacopo Sansovino di Firenze, Ligorio di Napoli, Pellegrini di Napoli; Andrea Palladio di Vicenza.

Napoli, dopo essersi servita dell’esercito albanese, concederà alla popolazione balcanica la zona intorno a Catanzaro, e successivamente le terre a est di Taranto in Puglia. Quando poi i Turchi invaderanno la loro patria, emigreranno a Venezia, e nel Sud Italia dove formeranno villaggi albanesi in Calabria, Basilicata, Puglia e Sicilia. Di Albanesi ne incontriamo a Cipro, a Venezia, a Mantova, a Roma, a Napoli, in Sicilia e a Madrid. Spesso rissosi e arroganti si ritroveranno esclusi dall’Italia; volgeranno allora verso i Paesi Bassi, in Inghilterra e in Francia. Stessa storia accadrà ad Algeri e Tunisi, poi in Ucraina e Moldavia e Valacchia, dove verranno respinti fino a Costantinopoli, in queste situazioni divengono allora briganti. L’Italia cercherà di liberarsene mediante un amnistia a patto che si ritirassero altrove.

Veduta di Napoli nel XVI secolo:

Napoli riceve campagnoli e montanari da tutte le province del regno, sotto il richiamo delle arti della lana e della seta, dei lavori pubblici, del servizio nelle case nobili. Nelle città troviamo i contratti più disparati, di ogni durata, per ogni mansione, ottenevano vitto e vestiario, più la promessa di imparare il mestiere del padrone, o di ricevere un premio in monete d’oro al termine del contratto. Così, grazie a questo incessante flusso di proletari, Napoli cresce arricchendosi di nuovi cittadini e nuovi edifici, fino a divenire la più popolosa città dell’Occidente.

A Oriente il più grande centro è Costantinopoli, addirittura più di Napoli. Esso attira, nonostante i divieti del Sultano, una manodopera clandestina dalle campagne povere o sovrappopolate, che si incontra con i ricchi bisognosi di disperati disposti a vendersi a buon mercato e occuparsi dei giardini, delle scuderie e delle case. Gli Spagnoli porteranno nelle metropoli orientali le industrie della stampa, della lana, della seta, entrando in concorrenza con Armeni e Veneziani. In modo simile la Spagna e il Baltico ricevettero le tecniche costruttive e di navigazione da parte dei Genovesi, le arti della seta da parte di Venezia e Firenze, mentre dal Nord arrivava la stampa. Le politiche mercantilistiche degli Stati incentivavano gli spostamenti dei maestri e dei tecnici, che partivano consapevoli delle condanne che ricevevano in patria. Venezia minacciava gli operai e i maestri delle sue raffinerie di zucchero che abbandonavano la città per andare a esercitare altrove.

A Marsiglia pullulano i Corsi, particolarmente inclini all’emigrazione combattono al servizio del re di Francia, di Venezia o di Genova. Questi isolani riusciranno a ottenere anche posizioni di spicco, ne sono esempi de Lecas, alias Vàsquez, ministro di Filippo II e il re di Algeri, Hassan Corso. I Corsi, non soddisfatti del governo genovese sull’isola, sciamano ovunque: a Genova stesso, a Venezia, nella Maremma toscana, a Roma, dove si insediarono principalmente come mercanti di bestiame, ad Algeri, a Costantinopoli, Marsiglia, Siviglia e Valencia.

Il destino del migrante, tuttavia, non è sempre idilliaco. Capita che esso non trovi fortuna e diventi un mendicante o un vagabondo. Le strade e le piazze delle città ne sono piene, per questo a volte l’intransigenza verso queste persone porta a espulsioni di massa. Li si scacciava, ma essi ritornavano, o ne venivano altri, mettendo in luce l’impotenza delle amministrazioni locali. Queste non sono le uniche difficoltà che l’immigrato si trova ad affrontare. Il Mediterraneo è povero, i suoli sono sterili e aridi, la vita precaria. La siccità provoca importanti deficit di approvvigionamento alimentare. Buoi, capre e montoni sono di scarso peso. Gli eserciti ripuliscono le provvigioni. Carestie ed epidemie colpiscono le città, che rischiano la fame. Lentezza e difficoltà dei trasporti non garantiscono un costante e sicuro approvvigionamento. Nel 1528 Firenze sbarrò le porte della città ai contadini:

Gli uomini si uccidevano per un tozzo di pane

A suon di tromba si vieta di esportare il grano dalla città, si raddoppiano le guardie, si perquisisce, si fa il censimento delle disponibilità. Se il pericolo si aggrava si cerca di diminuire il numero dei consumatori, si chiudono le porte dalla città, oppure si cacciano gli stranieri, provvedimento abituale a Venezia”.

Si fanno delle scelte e spesso sono i forestieri a farne le spese, soprattutto nei periodi più difficili, tuttavia il migrante non si scoraggia e ci riprova, o punta a un altro paese, dove proverà a fare umilmente la propria parte per concorrere alla crescita dello stesso. In fondo ogni civiltà, ogni Stato e ogni città opera delle scelte, compie delle selezioni, cerca di prendere ciò che più può arricchirlo (come successe con personaggi del calibro di Leonardo). A volte accoglie, a volte respinge, altre volte, per un motivo o per un altro, caccia via, ma non fermerà mai questo complesso fenomeno che a poco a poco, a volte fragorosamente, altre volte silenzioso, cambia i destini dei paesi che investe, trovando un posto centrale nella storia stessa dell’umanità.

Fonti:

Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II (vol. I – II), Fernand Braudel.

Alessandro Licheri

Studente di Storia, natio dell'isola più bella del mondo viaggio da un libro all'altro, traversando cronache e romanzi, dedicandomi particolarmente alla storia delle esplorazioni e spaziando sugli innumerevoli campi che questa lambisce, cercando di ripercorrere attraverso racconti d'ogni epoca quei sentieri avventurosi tracciati dall'audacia degli uomini.