Giugno 67 d. C.- La cittadina fortificata di Iotapata, dopo un estenuante assedio, era finalmente caduta sotto i colpi delle truppe guidate dal generale Vespasiano. L’ostinata difesa degli assediati non era bastata a salvar loro la vita, ma si sarebbe anzi rivelata nefasta per la loro sorte. I Romani si sarebbero infatti vendicati con durezza: secondo le fonti 40 mila persone furono passate per le armi e 1.200 fatte prigioniere; tutti i maschi adulti uccisi mentre le donne e i bambini venduti come schiavi.
Il campo trincerato della legio X Fretensis fu posto dove le pareti a strapiombo della fortezza risultano più prossime alla vicina montagna. Fotografia di Ester Inban condivisa con licenza Creative Commons via Wikipedia:
L’unico a sfuggire a questo orribile destino fu Yosef Ben Matityahu, ovvero il comandante della guarnigione preposta alla difesa delle mura. Quest’ultimo, stanato dai nemici nel suo nascondiglio, venne condotto da Vespasiano, il quale decise di risparmiargli la vita dopo essersi sentito profetizzare dal prigioniero la sua futura incoronazione ad imperatore. In seguito Yosef Ben Matityahu, grecizzando il proprio nome e adottando il cognomen di chi lo aveva sconfitto, si sarebbe chiamato Giuseppe Flavio e avrebbe dedicato la propria vita al mestiere di storico. L’ex generale sopravvissuto si sarebbe rivelato un prezioso cronista delle vicende future.
Sotto, vista aerea di Masada, fotografia di Andrew Shiva condivisa con licenza Creative Commons via Wikipedia:
La rivolta giudaica si sarebbe di fatto conclusa con la caduta di Gerusalemme nel 71 d.C., tuttavia tre fortezze fatte costruire da Erode il Grande in quel momento rimanevano ancora in mano ai ribelli: Herodion, Macheronte e soprattutto Masada. I Romani naturalmente non erano affatto disposti a tollerare lo stato delle cose, e per tale ragione si operarono per scacciare i ribelli anche dagli ultimi avamposti, cosa che per Herodion e Macheronte non si rivelò particolarmente difficile. Restava quindi solo Masada, la quale si sarebbe rivelata la sfida più difficile.
Il campo romano “F”, ovvero quello della legio X Fretensis. Fotografia di Ted Chi condivisa con licenza Creative Commons via Wikipedia:
Ai legionari della X Fretensis giunti a destinazione sotto la guida di Lucio Flavio Silva, governatore della Giudea, si presentò uno scenario estremo:
Il forte era costruito su uno sperone di roccia quasi completamente circondato da burroni situato nel bel mezzo del deserto
Le sole vie per raggiungere la rocca erano costituite da “il Serpente”, un tortuoso sentiero a precipizio, e “la Bianca”, una gobba calcarea percorribile sul lato ovest. Una cinta muraria alta cinque metri e rinforzata con due torri completava la difesa del luogo, rendendo Masada apparentemente imprendibile. Come se non bastasse la cittadella al suo interno era provvista di magazzini, cisterne e di tutto il necessario per permettere ai suoi abitanti di sopravvivere isolati per un periodo assai lungo. Queste straordinarie difese si sarebbero tuttavia rivelate insufficienti contro un esercito come quello romano, il cui principale vanto constava nella propria forza ingegneristica.
Il campo romano “C”. Fotografia di Ted Chi condivisa con licenza Creative Commons via Wikipedia:
Per prima cosa fu deviato l’acquedotto, poi si provvide alla costruzione di un anello di fortificazioni intorno alla rocca, infine alla progettazione dell’opera più impegnativa: un colossale terrapieno inclinato da porre sopra alla “Bianca” al fine di permettere ad un ariete di attaccare la cinta muraria. A questo proposito Giuseppe Flavio scrive che:
“Silva salì sulla Bianca, ne prese possesso e ordinò di costruirvi sopra una rampa. I soldati si misero all’opera con grande slancio e in gran numero, innalzando un solido terrapieno alto duecento cubiti (89 metri). Questo però non parve né abbastanza stabile né abbastanza alto per collocarvi sopra le macchine d’assedio, e venne quindi completato con una piattaforma fatta di grosse pietre connesse insieme, ampia e lunga cinquanta cubiti (22 metri circa). Vennero quindi fabbricate macchine a imitazione di quelle realizzate da Vespasiano e Tito per i loro assedi; inoltre fu costruita una torre di ferro alta sessanta cubiti (circa 27 metri) , dalla cui sommità i Romani, tirando con un gran numero di catapulte e balliste, spazzarono via i difensori dalle mura, impedendo poi a chiunque di affacciarvisi ancora“.
I forti romani “A”, “B” e “C”. Fotografia di Kat Sniffen condivisa con licenza Creative Commons via Wikipedia:
Senza l’intralcio dei difensori l’ariete romano poté quindi appoggiarsi alle mura nemiche cominciando l’inesorabile opera di distruzione. La breccia aperta svelò quindi una seconda cinta costruita in terra e travi, la quale tuttavia non impensierì particolarmente gli assedianti che, sottoponendola al fuoco delle torce, la ridussero presto in cenere. L’ultima difesa era crollata nella notte, l’atto finale dell’assedio fu quindi programmato per l’alba.
La rampa d’assedio vista di lato, dall’alto di Masada. Fotografia di Posi66 condivisa con licenza Creative Commons via Wikipedia:
L’esito dell’operazione si rivelò tuttavia ben diverso dalle attese. Infatti, alle prime luci del giorno, i legionari di Silva che entrarono a Masada furono accolti da un’ insolita quiete, del tutto incomprensibile per un’occasione come quella che si stava vivendo. Il silenzio si rivelò essere un tetro indizio di quello che era accaduto durante la notte: secondo Giuseppe Flavio 967 persone si erano uccise su ordine del loro capo Eleazar ben Yair.
Verità o leggenda?
L’episodio del suicidio di massa avvenuto a Masada sarebbe in seguito diventato motivo di orgoglio per lo Stato di Israele. Tale storia si sarebbe infatti rivelata perfetta da una parte per dimostrare l’antico legame tra il suo popolo e la Palestina, dall’altra come metafore di una ben più moderna resistenza nei confronti di Nazioni tanto vicine quanto ostili.
Ma tali eventi si sono realmente sviluppati come raccontati da Giuseppe Flavio?
Gli studi archeologici non sono stati in grado né di corroborare le tesi dello storico né di smentirle, e il fatto che Giuseppe Flavio sia stato l’unico a narrare tali fatti lascia aperto il dilemma. Ma anche ammettendo che l’episodio si sia effettivamente svolto nei termini descritti dallo storico tale evento può essere davvero letto in chiave positiva? La questione è controversa.
La fortezza di Masada: 1 – Porta del Cammino del Serpente; 2, 5 e 8 – Abitazioni dei sicarii; 4, 9, 11 – Cisterna; 6 – bagno spirituale; 7 – Porta sud; 10 – Fortezza meridionale; 12, 15, 16 – Palazzo; 17 – Bagno pubblico; da 18 a 21 – Palazzo occidentale; 25 – Sinagoga; 27 – Edificio della guarnigione; dal 28 al 39 – Palazzo settentrionale; da 37 a 39 – Residenza di Erode. Fotografia condivisa con licenza Creative Commons via Wikipedia:
Ciò che è certo è che il narratore, fervente ammiratore della romanità, non intendesse farne un modello di eroismo. Lo storico infatti dipinge i Sicari (fazione al quale appartenevano i ribelli di Masada) come criminali dediti a saccheggi e ruberie, fuggiti per viltà da Gerusalemme e suicidi in ragione della propria codardia nell’affrontare il nemico in combattimento (suicidio che peraltro nella religione ebraica risulta proibito).
Bibliografia: G. Breccia; I figli di Marte – L’arte della guerra nell’antica Roma; Arnoldo Mondadori Editore S.p.a.; Milano; 2012. E. Fonzo; Il mito di Masada nello Stato di Israele; https://www.academia.edu/18947897/Il_mito_di_Masada_in_Israele.