L’Antropologia Criminale in Età Vittoriana veniva studiata con le Foto Segnaletiche

All’ossessione tutta vittoriana per la fotografia, non si sottrassero nell’Ottocento né i defunti, né i criminali. Piccoli malviventi, fuorilegge incalliti, ma anche anziane o bambini sorpresi a rubare un tozzo di pane, vennero meticolosamente archiviati in foto destinate, in molti casi, a costituire materia di studio per gli antropologi dell’epoca. Un esempio interessantissimo, a tal proposito, è rappresentato da quello che appare oggi l’ultimo album sopravvissuto di fotografie di criminali vittoriani di Newcastle, pubblicato online dal Tyne & Wear Archives & Museums.

Fotografia in copertina: James Scullion, condannato a 3 anni di lavori forzati per il furto di vestiti, e Mary Catherine Docherty, condannata a 7 anni di lavori forzati per il furto di acciaio.

Secondo Liz Rees, la responsabile dell’archivio di Newcastle (disponibile su Flickr), le fotografie sono state scattate non soltanto per archiviare le foto dei criminali, ma anche a fini di studio e di ricerca, data la popolarità delle teorie sull’antropologia criminale della seconda metà del XX secolo.

In quegli anni, infatti, medici britannici quali James Bruce Thomson e David Nicolson e psichiatri come il celebre Henry Maudsley, sostennero che esistessero delle vere e proprie tipologie criminali, individuabili sulla base di precisi difetti fisici o mentali e sulla scorta di particolari morfologie di alcune parti del corpo.

Sotto, lo psichiatra Henry Maudsley:

Non a caso, allora, secondo la Rees: “La maggior parte delle fotografie mostra i prigionieri con le mani ben visibili. Questo è dovuto proprio alle teorie sulla forma del cranio e delle mani dei criminali“.

L’antropologia criminale – di cui Alphonse Bertillon in Francia, Cesare Lombroso in Italia e Hans Gross in Austria furono i più famosi esponenti – è l’idea che una persona sia nata criminale e che le sue tendenze criminali possano essere identificate tramite degli indicatori fisici. Tali teorie si inscrivevano nel più generale interesse per le classificazioni antropologiche che investì l’Ottocento europeo.

Le fotografie di Newcastle, così come le 67.000 foto di prigionieri di età vittoriana pubblicate su due archivi del sito “Find My Past”, offrono un significativo spaccato su alcuni aspetti del sistema giuridico dell’Ottocento britannico.

In epoca vittoriana, per esempio, non esistevano restrizioni riguardo all’età in cui un bambino potesse essere mandato in prigione, né esisteva un’età minima di responsabilità penale. Se i riformatori giudiziari comparvero in Inghilterra già negli anni ’50 del XIX secolo, i bambini condannati per un crimine dovevano scontare in ogni caso i primi tempi in galera insieme agli adulti, con tutte le problematiche connesse ad un tal tipo di promiscuità. Sotto il profilo dell’analisi della provenienza sociale, i prigionieri fotografati al loro arrivo nelle strutture penitenziarie mostrano chiaramente la classe sociale di appartenenza che era, nel 95% dei casi, disagiata. Molti di essi appaiono sporchi, malati e malnutriti.

Penso che la maggior parte dei crimini commessi sia stata dovuta alla povertà“, ha commentato la Rees. “Ci sono alcuni prigionieri che paiono di classe media e ben vestiti. Ma la maggioranza appare in uno stato di disperazione“.

Alcuni esempi sono Rosanna Watson e Mary Catherine Docherty, ragazze rispettivamente di quattordici e tredici anni, entrambe condannate ai lavori forzati per aver rubato del metallo.

Nella foto Rosanna Watson

Sotto: Mary Catherine Docherty

Se si confrontano le foto dei criminali di Newcastle con quelli della prigione di Bedford, nella contea di Bedfordshire, il dato che emerge ad una prima analisi dei reati e delle pene comminate, è che la giustizia poteva essere veloce e brutale. Tra i crimini più comuni figurava l’accattonaggio, endemico all’epoca in Inghilterra, ma erano anche frequenti piccoli furti sanzionati con pene severe.

Catherine May, una sarta di 26 anni, condannata a 3 anni di prigione per il furto di un borsellino, morì dopo soli cinque mesi dietro le sbarre. Le condizioni di vita nelle patrie galere erano infatti durissime.

Sotto, Catherine May nella sua ultima fotografia:

La reiterazione di un reato conduceva ad un feroce inasprimento della pena: valga per tutti il caso del giovane George Bennett, condannato per bracconaggio e resistenza a pubblico ufficiale a due anni di carcere.

Jane Greene (foto sotto), a 20 anni, fu inviata invece una colonia penale in Australia per quattro anni per il furto di una cambiale e di alcune monete d’oro ai danni di una donna di nome Mary Mayne.

Negli anni della regina Vittoria circa 160.000 uomini donne e bambini, talvolta di soli 9 anni, furono deportati in Australia, pratica che continuò per lungo tempo sino a oltre la Prima Guerra Mondiale. Moltissime persone non sopravvissero, e solo una minoranza di loro riuscì a raggranellare i soldi per un ritorno nella natia Gran Bretagna.


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