L’Antenato rinnegato di Hawthorne che sentenziò al Processo delle Streghe di Salem

Grazie a diverse opere artistiche ben conosciute, come il dramma “Il crogiuolo” di Arthur Miller e il film tratto da questo, “La seduzione del male”, interpretato da Daniel Day Lewis, anche molti che sono a digiuno di Storia americana conoscono la vicenda del processo alle streghe tenutosi a Salem, Massachusetts, nel 1692.

Inoltre, varie versioni televisive e cinematografiche (la più famosa, con Demi Moore) hanno fatto conoscere anche al pubblico che non frequenta i classici della letteratura uno dei maggiori romanzi americani del XIX secolo, “La lettera scarlatta” (1851), di Nathaniel Hawthorne, originario della stessa Salem e vissuto dal 1804 al 1864.

Sono in pochi, però, a sapere che il processo alle streghe di Salem e l’opera di Hawthorne, che non ne tratta essendo ambientata a Boston in un periodo precedente, sono strettamente legati tra loro.

La chiave di questo legame è esposta nel non breve scritto con cui Hawthorne introduce al romanzo, intitolato “La dogana” (la città di Salem era sede di un ufficio doganale e Hawthorne vi aveva anche lavorato come funzionario civile). In questo saggio-confessione, Hawthorne tratta della Storia e delle tradizioni del New England e, con ammirevole onestà, non omette i dovuti riferimenti al ruolo dei suoi antenati nel processo alle streghe, assumendosi ogni responsabilità per conto loro.

Infatti, Hawthorne era convinto che la sua famiglia fosse oppressa da una oscura e terribile maledizione, triste eredità lasciata dalla malvagità di due suoi antenati del XVII secolo, William e John Hathorne, padre e figlio. Sembra, anzi, che la sua decisione di cambiare il proprio cognome da Hathorne a Hawthorne nascesse proprio dall’esigenza di mettere la massima distanza possibile tra se stesso e questi due avi.

John Hathorne, in questo quadro, è l’uomo in piedi sullo scranno, a sinistra in alto:

William Hathorne era nato in Inghilterra e giunse negli Usa nel 1630 a bordo della nave “Arabella”. Di confessione puritana e piuttosto incline al fanatismo, riuscì a farsi eleggere magistrato e si dedicò quasi esclusivamente alla persecuzione di chiunque praticasse altre forme di cristianesimo, in particolare dei quaccheri, colpevoli ai suoi occhi di praticare empietà come la massima tolleranza religiosa e l’uguaglianza tra uomini e donne. Incidentalmente, questa sua attività lo mise anche in condizioni di confiscare e successivamente acquisire a un prezzo minimo qualsiasi tipo di proprietà appartenente a coloro che perseguitava. In questo modo, finì per diventare un ricco possidente fondiario.

Suo figlio John, nato nel 1641, seguì le sue stesse orme, dandosi da fare in modo ancora più spregiudicato: basti pensare che, a 33 anni, sposò una ragazzina di 14, tolta con la forza a una famiglia di quaccheri che era stata costretta a fuggire da Salem per sottrarsi alle persecuzioni. Da questo matrimonio nacquero 6 figli, di cui 5 maschi, destinati a diventare capitani di marina mercantile. Hathorne investì infatti una parte della sua ricchezza in una piccola flotta di navi mercantili e in una distilleria di liquori, che vendette per tutto il New England realizzando enormi profitti.

Sotto, raffigurazione di Tituba, una schiava che fu il fulcro del processo alle streghe di Salem:

Nel 1692, John Hathorne era magistrato così come lo era stato il padre. Inizialmente, non fu coinvolto nel processo alle streghe: ma, appena si rese conto dell’identità delle persone coinvolte, molte delle quali benestanti, cominciò a brigare per entrare a far parte del collegio giudicante, che a quel tempo si occupava anche delle indagini, finché ci riuscì.

La storia del processo alle streghe di Salem è fin troppo nota e si può anche riassumere in poche righe: sulla sola base di dichiarazioni rilasciate da alcune bambine e adolescenti in preda all’isterismo (che si ritiene dovuto soprattutto allo stato di repressione sessuale in cui venivano cresciute), 20 persone senza alcun precedente penale o altra macchia nel comportamento furono messe a morte: in gran parte donne, tutte mogli e madri di famiglia, con l’accusa di aver praticato riti satanici; ma anche uomini delle loro famiglie, rei di averle difese e di aver espresso senza mezzi termini il proprio dissenso per i metodi della corte.

Sono ancora conservate negli archivi le trascrizioni degli interrogatori, dai quali emerge chiaramente la malafede dei magistrati, che partivano dal presupposto che chiunque fosse stato sottoposto a denuncia dovesse essere considerato colpevole e che spesso insistevano in modo ossessivo anche su punti di nessuna importanza pur di indurre gli imputati a contraddirsi, per poi screditare sulla base di queste contraddizioni tutte le altre loro dichiarazioni.

Non vi era neppure la più lontana prova a sostegno delle accuse, eppure i magistrati andavano avanti. Perfino il celebre medico e predicatore Cotton Mather, che aveva diffuso la paranoia delle streghe in tutto il New England con i suoi scritti (negli anni precedenti, solo a Salem, c’erano state altre 17 condanne a morte per stregoneria), chiamato a partecipare al processo in qualità di consulente, finì per abbandonare l’incarico, disgustato dalle innumerevoli irregolarità commesse dalla corte a danno degli imputati.

Cotton Mather (1663-1728)

Tra tutti i giudici, per opinione unanime, John Hathorne si rivelò il più crudele e sanguinario. Non solo: negli anni successivi al processo, tutti gli altri magistrati rividero le proprie posizioni, ammettendo di aver commesso gravi errori e cercando di fare ammenda in ogni modo; Hathorne, invece, non mostrò mai il minimo segno di pentimento fino alla morte, giunta nel 1717.

A questo riguardo, c’è da dire che, secondo alcuni storici, nel tempo, la figura di Hathorne ha finito per diventare quella di un perfetto capro espiatorio, proprio per via del suo mancato pentimento. Ma c’è anche da aggiungere che ogni evidenza mostra come si trattasse comunque di un uomo veramente spregevole che, come il padre, approfittò di quell’occasione per disporre ogni sorta di sequestri di beni agli imputati, beni che poi ricomprò a prezzi bassissimi dopo le esecuzioni. Un uomo già ricchissimo che mandò a morte degli innocenti solo per arricchirsi ulteriormente alle loro spalle.

Sembrava che da lui dovesse prendere origine una dinastia di uomini di successo. Invece, insieme a lui, se ne andò anche la fortuna degli Hathorne. Il destino si accanì sui suoi discendenti nello stesso modo in cui lui si era accanito contro gli imputati al processo: tra morti premature, terribili malattie, lunghissime invalidità, affari sbagliati e proprietà perdute, dopo meno di un secolo, agli Hatorne restava ben poco.

L’ultima vittima della maledizione fu il padre dello scrittore, il capitano di marina Nathaniel Hathorne, che morì giovanissimo di febbre gialla durante un viaggio commerciale in Suriname, nel 1808.

A quel tempo, Nathaniel figlio aveva 4 anni. Successivamente si laureò in Letteratura al Bowdoin College di Brunswick e, come detto, lavorò per una decina di anni alla Dogana di Salem. Finì poi per perdere il posto in seguito allo “spoil system” (licenziamento dei dirigenti da parte del nuovo governo) dopo le elezioni presidenziali del 1848. All’epoca, però, godeva già di una certa notorietà come scrittore, grazie ai “Racconti narrati due volte”, dedicati alle storie tradizionali del New England.

 

Nel 1850, pubblicò “La lettera scarlatta”, in cui narra la vicenda di una ragazza madre nella Boston ottusamente puritana del 1642; nel 1852, seguì “La casa dai sette abbaini”, al centro del quale c’è una famiglia sulla quale pesa un’antica maledizione dovuta a un antenato che ha fatto condannare a morte un innocente per appropriarsi dei suoi beni.

Hawthorne non avrebbe potuto essere più chiaro di così

Va comunque ricordato che, al di là del loro significato apparente, i romanzi di Hawthorne sono opere estremamente complesse, piene di allegorie e simboli che l’autore utilizza per sondare gli strati più profondi della personalità dell’uomo.

Nathaniel Hawthorne in età avanzata:

Di certo, Hawthorne abbandonò presto la religione dei suoi antenati. Nel 1842 sposò la pittrice Sophia Peabody, che apparteneva alla confessione unitariana, una delle forme di protestantesimo più aperte e tolleranti. Benché il matrimonio fosse molto felice, non è dato sapere se Hawthorne seguisse gli stessi precetti religiosi della moglie, tant’è che gran parte dei biografi tende a considerarlo una sorta di agnostico (anche se il termine “agnostico” è stato coniato da Thomas Henry Huxley solo qualche anno dopo la morte di Hawthorne). Invece, i suoi tre figli, dopo la scomparsa dei genitori (Nathaniel morì nel 1864, Sophia nel 1871), si convertirono al cattolicesimo: le due femmine entrarono addirittura in convento.

Sophia Peabody Hawthorne (1809-71):

Oggi Nathaniel Hawthorne è considerato uno dei padri della letteratura americana.

Sotto, Una (1844-77), Julian (1846-1934) e Rose (1851-1926) Hawthorne da ragazzi:

Per quanto possa sembrare strano, negli oltre tre secoli intercorsi tra il processo alle streghe e i giorni nostri, a Salem si sono celebrati molti matrimoni tra discendenti delle vittime e discendenti dei giudici che le condannarono.


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