Partiamo dal film. Si tratta di un biopic molto particolare, non per niente il regista è il geniale ed eccentrico Ken Russell. Il protagonista è un uomo bellissimo, adorato dal pubblico femminile di tutto il mondo dopo essere stato la star di una serie di telefilm di successo, in cui interpretava un giovane e coraggioso dottore che sfidava, insieme alle malattie, anche i pregiudizi di una piccola comunità rurale americana. Si chiama Richard Chamberlain e tutti lo conoscono come il dottor Kildare. Ma il ruolo che gli è toccato in questo film, il suo primo ruolo importante sul grande schermo, è un po’ diverso da quello del medico che faceva sognare le ragazzine. Ora è un artista tormentato, fin troppo, del quale a un certo punto si scopre addirittura qualcosa che per gran parte del pubblico del tempo è ancora un tabù.
È un omosessuale
Casualmente, anche il bellissimo Richard Chamberlain è omosessuale, ma questo si verrà a sapere solo molti anni dopo, quando finalmente farà coming out. Stiamo parlando di “L’altra faccia dell’amore” (1970), un titolo italiano abbastanza esplicito perché forse l’originale inglese “The music lovers” lasciava ancora spazio a qualche dubbio. Un film indimenticabile, appassionante e affascinante, brillantissimo nella sua continua esplosione di colori e chiaroscuri, di dialoghi serrati e silenzi ancora più espliciti, di scene eleganti come quadri alternate a sequenze inquietanti nel loro ermetismo, tutto condito dalla meravigliosa musica composta dal soggetto di cui tratta, il compositore russo Piotr Ilic Ciajkovskij.
Sotto, la famiglia del musicista. Il futuro compositore è all’estrema sinistra accanto alla madre, alla quale stanno vicino, in piedi, la sorellastra Zinaida e Nikolaj. La sorella Aleksandra è al centro, mentre Ippolit in braccio al padre:
E ora veniamo alla storia reale, che il film racconta in modo un po’ romanzato ma sostanzialmente fedele: anche se, come vedremo, delle varie ipotesi relative al finale, sceglie la meno compromettente.
Ciajkovskij nasce nel maggio del 1840 in Udmurtia, 1000 km a Est di Mosca e quindi in Asia (situazione paradossale per uno che passerà alla storia con il soprannome di “russo europeo”) da una famiglia alto-borghese che sogna per lui una carriera da funzionario statale. Ma l’amatissima madre, morta davanti ai suoi occhi di colera quando lui aveva 14 anni, gli ha trasmesso una irresistibile passione per l’Arte e soprattutto per la Musica. Quindi, parallelamente agli studi di Giurisprudenza, ne ha condotti anche di Musica, sebbene discontinui e sostanzialmente incompleti. A livello teorico, difficilmente può rivaleggiare con i musicisti con una formazione più solida della sua. Ma a livello di talento creativo, come emergerà presto, li supera tutti. E non stiamo parlando di figure mediocri: Rimskij-Korsakov, Mussorgskij e Borodin, giusto per citare i 3 più conosciuti, sono tutti grandi musicisti. Eppure la loro fama è stata sempre oscurata (e lo è ancora) da quella molto superiore di Ciajkovskij.
La madre del musicista Aleksandra Andreevna nata d’Assier (1812–1854):
I suoi esordi sono tardivi e pochissimo apprezzati dalla critica, che coglie ogni occasione possibile per farlo a pezzi. Quando si ispira alla tradizione romantica europea, viene accusato di tradire l’originale spirito russo (e da qui il soprannome); quando si ispira alle tradizioni del suo popolo, viene accusato di fare musica di basso livello. Insomma, a questi critici, qualunque cosa faccia, non va mai bene. In compenso, il pubblico prende ad amarlo quasi da subito e, presto, questo amore si trasforma in una vera e propria adorazione. Ciajkovskij, sempre continuando a scrivere della musica eccezionalmente bella (che, poi, alla fine, non era né “europea” né “tradizionale” ma solo originale, pur prendendo qualcosa da entrambe le fonti), ha saputo venire incontro ai gusti sia dell’aristocrazia colta sia della borghesia mercantile e professionale, tutte affamate di spettacoli grandiosi che esaltassero le enormi dimensioni e le perfette acustiche dei teatri russi del tempo, i maggiori del mondo.
Il giovane musicista a 20 anni, autunno 1860, San Pietroburgo:
I suoi balletti, da “Il lago dei cigni” a “La bella addormentata” a “Lo schiaccianoci” sono uno spettacolo mozzafiato ancor oggi e possiamo solo immaginare cosa potevano rappresentare per il pubblico del tempo. Anche se meno note in Occidente, anche le sue undici opere liriche, in particolare quelle ispirate alle opere di Aleksandr Puskin (“Evgenij Onegin” e “La dama di picche”), sono tra le meglio riuscite del XIX secolo, un periodo in cui ne furono scritte molte e bellissime. Anche le sue opere strumentali (dalle 6 sinfonie ai concerti per violino e pianoforte: ma il suo catalogo è vastissimo e variegato) riempiono sempre le sale in cui venivano eseguite. Insomma, il pubblico ha saputo riconoscere, molto prima e molto meglio della critica, quello che è indiscutibilmente un genio assoluto.
Tuttavia, la sua vita privata non va di pari passo con quella professionale. Le dicerie sulle sue relazioni con “amici” e perfino con allievi lo perseguitano ininterrottamente. Si deve tenere presente che, nella Russia imperiale di allora, un vero e proprio regime autoritario in mano alle polizie segrete, con i cittadini esposti a qualunque tipo di abuso e una giustizia completamente asservita al potere, un’accusa di immoralità può determinare non solo una pesante condanna morale ma addirittura l’eliminazione fisica dell’accusato, pur in assenza di leggi scritte che giustifichino la sua condanna.
Una foto-ritratto del musicista, autunno del 1870, Mosca:
A un certo punto, pensa anche di condurre una vita “normale”. Un’ammiratrice gli scrive lettere piene di un seducente romanticismo e di una sensibilità che lui vuole sentire come affine alla propria. Decide allora di sposarla, confidando nella sua comprensione. Ma Antonina Miljukova, nata nel 1849, è una donna troppo fragile per reggere una situazione come quella di un amore di facciata, e dopo pochi anni comincia a mostrare segni di squilibrio (a lungo, anche per via delle dicerie diffuse dagli eredi di Ciajkovskij, si è sostenuto che fosse già in origine malata di mente. La sua figura è stata però rivalutata in tempi recenti, proprio a partire dal film di Ken Russell, in cui è interpretata dalla bella e bravissima Glenda Jackson): finisce ricoverata in un ospedale psichiatrico, dal quale non uscirà più fino alla morte, nel 1917.
Čajkovskij e la moglie Antonina Ivanovna Miljukova, 18 giorni dopo le nozze, il del 7 agosto 1877, a Mosca:
In seguito, Ciajkovskij vive uno stranissimo ma suggestivo rapporto con un’altra ammiratrice, la baronessa Nadezhda von Meck, una ricca vedova nata nel 1831, che non vuole mai incontrarlo di persona e comunica con lui solo tramite lettere o intermediari, ma gli mette a disposizione una villa nelle tenute di cui era proprietaria e un cospicuo appannaggio mensile, in modo che possa dedicarsi alla creazione della sua musica senza doversi preoccupare di nulla. Non a caso, gli anni in cui la von Meck gli fa da mecenate, sono i più fecondi della sua carriera.
Madame von Meck, la mecenate del compositore:
Ma tutto il bello finisce e anche la von Meck finisce per abbandonarlo, forse perché le sono arrivate alle orecchie le dicerie che continuano a inseguirlo o, più probabilmente, perché i figli (che non hanno molto senso artistico e considerano Ciajkovskij un patetico scroccone), a forza di insistere, la convincono a ritirargli qualunque appoggio. Ciajkovskij, che ama moltissimo quella donna e la considera la sua musa ispiratrice, ne resta veramente ferito. La morte prematura dell’amata sorella minore Alexandra, poco dopo, gli infligge un altro pesante colpo. Nel 1893, è depresso e precocemente invecchiato e, nonostante i successi che la sua musica continua a mietere, si sente anche svuotato di ogni energia.
L’amatissima sorella del musicista Aleksandra (1842-1891):
Ma la fine arriverà in modo repentino e imprevedibile, nonché misterioso. Vediamo i fatti
Il 2 novembre 1893, Ciajkovskij si sveglia nel suo signorile appartamento di S. Pietroburgo. È atteso da una giornata densa di impegni professionali, ma non potrà dedicarsi a essi perché si sente male. Soffre di stomaco e di intestino. Ne ha sempre sofferto e non si preoccupa molto. Resta a letto e si limita a prendere qualche farmaco e rimedio naturale tra quelli che tiene normalmente in casa. Ma la situazione peggiora e, verso le 17, il fratello minore Modest (che vive con lui da sempre e gli fa da segretario, anch’egli gay) si accorge che non riconosce due amici che sono andati a trovarlo.
Modest si spaventa e chiama il medico di famiglia, il dottor Vasilj Bertenson
Qui il mistero si fa fitto. Bertenson ci mette 3 ore per arrivare, si presenta solo alle 20. Non solo. Perde altre ore senza concludere nulla e nemmeno arrivare a una diagnosi. Nella notte, però, si decide a chiamare il proprio fratello Lev, medico della Corte imperiale. Lev Bertenson arriva rapidamente e dopo una sommaria visita diagnostica subito il colera.
Apriamo una parentesi. Il colera, nell’Impero Russo del tempo, è un flagello endemico, per via della scarsa igiene pubblica delle città, in cui le condutture malfatte e fatiscenti permettono la continua contaminazione delle acque degli acquedotti con le acque di scarico. Di solito, infatti, si preferisce sempre far bollire l’acqua delle condutture prima di berla. Le statistiche sanitarie del tempo, ci raccontano che, comunque, tra il 1892 e il 1896, furono diagnosticati in Russia 504.000 casi di colera, con 226.000 morti (un tasso di mortalità del 44%, altissimo, evidentemente aggravato da concause come la denutrizione, il clima o la presenza di altre infezioni).
Il colera è prodotto dall’infezione da parte di un vibrione (un batterio a forma di virgola) che sopravvive solo in acqua dolce e nell’intestino umano. Nell’uomo, produce una tossina che disturba il metabolismo delle cellule intestinali inducendole a espellere enormi quantità di liquidi. I sintomi tipici sono la diarrea e la disidratazione, spesso così violente da uccidere in poche ore. Ma si può morire anche per collasso o per ipotermia, perché altri sintomi sono il calo drastico della pressione sanguigna (conseguenza della perdita di liquidi) e l’abbassamento altrettanto drastico della temperatura corporea. Al tempo di Ciajkovskij, mancando tutti gli antibiotici e i chemioterapici di cui disponiamo oggi, l’unico soccorso consisteva nel tenere il paziente al caldo e nel reidratarlo sperando che il sistema immunitario debellasse l’infezione prima della morte. Spesso però la reidratazione stessa si presentava complicata per via di un altro sintomo, il vomito, e perché se l’acqua non era pulita portava a una ulteriore reifenzione.
Il futuro musicista con la divisa della Imperiale Scuola di Giurisprudenza, San Pietroburgo 10 giugno 1859 (data calendario gregoriano):
Ciajkovskij soffre per due giorni, ma la sera del 4 novembre sembra che il sistema immunitario stia per vincere la battaglia, perché la diarrea cessa definitivamente. Purtoppo, però, lo sforzo di reggere l’impatto della malattia ha fiaccato la sua già scarsa resistenza. I reni, costretti a un superlavoro, smettono di funzionare. Il dottor Lev Bertenson capisce che il caso diventa disperato e tenta l’ultima carta, quella del bagno caldo, allo scopo di riattivare la circolazione e dare un impulso ai reni per riprendere a funzionare. Bertenson, però, ignora che la madre di Ciajkovskij è morta proprio mentre le stavano praticando quel rimedio, il 25 giugno 1854, sotto gli occhi del figlio quattordicenne. Il déjà vu di quel giorno fa cadere Ciajkovskij in uno stato di profonda prostrazione, da cui non si riprenderà più. Cade in coma e viene tenuto in vita da una maschera a ossigeno fino alle 3 del 6 novembre, quando il cuore cessa finalmente di battere.
La notizia della sua scomparsa lascia basita l’opinione pubblica. Com’è possibile ammalarsi di colera in una casa signorile di S. Pietroburgo, prossima al Circolo Polare Artico, nel freddo di novembre? Sarebbe spiegabile se si trattasse di un poveraccio (nei giorni immediatamente precedenti ci sono stati altri 8 morti di colera in città, ma tutti in miserabili slums di periferia), ma un ricco artista che abita in una casa con acqua corrente e stanza da bagno (un lusso incredibile per il tempo) come ha fatto ad ammalarsi?
La versione ufficiale (ripresa anche dal film) è che si è infettato accidentalmente bevendo acqua non bollita in un ristorante, durante un pranzo. Il fratello, che era a tavola con lui, avrebbe bevuto solo vino e per questo non si è ammalato. Ciajkovskij era un soggetto particolarmente a rischio, perché abituato a consumare grandi quantità di acque minerali alcaline per contrastare gli effetti della gastrite di cui soffriva spesso: perciò il contenuto del suo stomaco era meno acido e questo avrebbe facilitato la sopravvivenza e la diffusione dei vibrioni introdotti.
I fratelli Čajkovskij nel gennaio del 1890 a San Pietroburgo. Da sinistra: Anatolij, Nikolaj, Ippolit, il compositore e Modest:
Si fa l’ipotesi che in realtà Ciajvovskij si sia suicidato. Non era nuovo a un gesto del genere. Già nel 1877, nel pieno della sua crisi coniugale con la Miljukova, aveva tentato di affogarsi in un fiume. La sua ultima opera, la VI sinfonia, che passerà alla Storia come “Patetica”, tanto per cambiare, era stata massacrata dai critici. Pur non avendo problemi economici, sentiva la mancanza dell’appoggio della von Meck (che, già malata, si aggraverà nel ricevere la notizia e morirà appena due mesi dopo di lui). Soffriva in modo evidente per la perdita della sorella, con la quale aveva un rapporto strettissimo. Tanto ci avrebbe provato, a prendere il colera, che alla fine l’ha preso davvero.
Ma poi si parla (sottovoce, tanto la cosa appare scandalosa) della possibiltà che si sia infettato (non necessariamente di colera) andando a letto con un ragazzo che si prostituiva. Questo è uno dei casi che riabiliterebbero professionalmente il dottor Vassili Bertenson, i cui ritardi e le cui esitazioni (insieme ad altre cose poco spiegabili) apparirebbero funzionali allo sforzo coprire in ogni modo l’imbarazzante verità.
Čajkovskij ritratto a Odessa il 1º febbraio 1893 dieci mesi prima della morte:
Un’altra ipotesi messa in campo è che a determinare la morte non sia stato il colera, ma un suicidio tramite ingestione di arsenico, che pure provoca una violenta sintomatologia gastrica e intestinale. Anche in questo caso, i fratelli Bertenson si sarebbero impegnati a nascondere la verità, d’accordo con i parenti di Ciajkovskij, per evitare lo scandalo di una sepoltura in terra sconsacrata che gli sarebbe toccata in quanto suicida.
E veniamo all’ultima ipotesi, la più dubbia (in quanto basata su testimonianze riportate diversi anni dopo) ma anche la più inquietante. A sostenerla, sono due musicologi che hanno scritto altrettante biografie di Ciajkovskij, Alexandra Orlova e Peter Brown.
Vediamo la loro teoria:
Ciajkovskij, a forza di cercare avventure amorose, l’ha fatta fuori del vaso. Ha sedotto il nipote quattordicenne di un duca che ha un grosso peso nella Corte Imperiale. Gli aristocratici chiedono la sua testa ma l’imperatore Alessandro III, che è un fan della sua musica, non se la sente di condannarlo direttamente. Lo affida allora al giudizio di una corte segreta (può sembrare una ricostruzione fantasiosa ma l’amministrazione zarista, specie della giustizia, era piena di istituzioni segrete che sfuggivano a qualsiasi controllo) che si riunisce in casa del giudice Nikolaj Jacobi a Carskoe Selo, il 31 ottobre 1893: la vedova del giudice, diversi anni dopo, racconterà di aver ascoltato le voci concitate del “processo” origliando alla porta. Nel 1902, poi, il marito le avrebbe raccontato in dettaglio come sono andate le cose.
Il giudizio condanna Ciajkovskij al suicidio, da attuarsi entro due giorni, altrimenti provvederà la polizia segreta, tramite un finto incidente. Il veleno, arsenico, gli sarà fornito dal suo avvocato, che lo ha assistito anche il quel giudizio, Avgust Gerke. In effetti, il 1° novembre, Gerke compie una breve visita a casa Ciajkovskij, è confermato anche da Modest. Ciajkovskij, sfinito e prostrato dai dispiaceri, avrebbe accettato passivamente il suo destino. Il fratello e i medici, al corrente di tutto, avrebbero fatto la loro parte per non rischiare di fare la sua stessa fine.
Come sono andate realmente le cose?
La salma di Ciajkovskij è seppellita, in una bara di zinco, nel Cimitero Tichvin, situato nel Monastero di Aleksandr Nevskij di S. Pietroburgo. Bisognerebbe esumarla e verificare l’eventuale presenza di arsenico e il relativo dosaggio. Ma, fino a oggi, sia le autorità sia gli eredi, hanno recisamente negato il permesso a chiunque abbia pensato di farlo.
La tomba del compositore nel Cimitero Tichvin di San Pietroburgo. Fotografia di Andrew Butko via Wikipedia:
Sotto, il Trailer di “L’altra faccia dell’Amore”:
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