In quel 22 luglio del 1940 la notte era serena e il mare calmo intorno all’isola di Owey, al largo delle coste irlandesi, accarezzate dall’Oceano Atlantico. Mickey O’Donnel, comandante di un peschereccio, navigava con il suo equipaggio proprio nelle acque a nord dell’isola. Alle prime luci del mattino, uno dei pescatori che stava issando le reti vide qualcosa galleggiare sulla quieta superficie del mare. Appena possibile, l’equipaggio si avvicinò all’oggetto, per scoprire che si trattava di una scialuppa di salvataggio, quasi completamente sotto il livello del mare.
Gli uomini cercarono di svuotare la lancia dall’acqua, ma non ci riuscirono; decisero quindi di trainarla a riva, un’operazione difficile che comunque riuscì. O’Donnel e i suoi uomini tirarono in secca la scialuppa, e scoprirono perché non erano riusciti a svuotarla mentre era in acqua: lo scafo era bucato da fori di proiettili, mentre alcuni bossoli giacevano sul fondo. Ispezionando bene il relitto, i marinai si accorsero che qualcuno aveva disperatamente cercato di evitare l’affondamento, chiudendo i buchi con pezzi di stoffa, sui quali furono trovate anche tracce di sangue.
Gli isolani, che utilizzarono il legno della lancia per diversi scopi, si chiedevano come fosse arrivata una scialuppa di salvataggio al largo delle loro coste, consapevoli che doveva essere accaduto un disastro a bordo di una grande nave chiamata Arandora Star, nome segnato sullo scafo recuperato.
Solo alla fine della seconda guerra mondiale gli abitanti di Owey scoprirono la drammatica storia della scialuppa recuperata in una tranquilla notte d’estate.
L’Arandora Star era una nave da crociera di lusso britannica, che aveva fatto viaggiare molti passeggeri sugli oceani di tutto il mondo, prima della Seconda Guerra Mondiale, quando fu requisita dal Ministero della Guerra britannico, che la usò per il trasporto di truppe, e successivamente per trasferire prigionieri civili e militari nei regni del Commonwealth.
Agli inizi del 1940, quando l’avanzata di Hitler sembrava inarrestabile, il governo inglese, temendo attività di spionaggio, decise di internare tutti i cittadini di origine tedesca e italiana che vivevano sul suolo britannico. Furono confinati nei campi di internamento tutti gli uomini di età compresa tra i 16 e i 60 anni, anche quelli residenti in Gran Bretagna da molti anni. A differenza dei tedeschi, approdati nel Regno Unito da poco per sfuggire al nazismo, similmente agli ebrei che tentarono di raggiungere le Americhe, gli italiani erano nella quasi totalità migranti economici, ben inseriti nel tessuto sociale inglese da lungo tempo, tanto da avere figli arruolati nelle forze armate britanniche.
Tutti questi cittadini furono deportati in Canada e Australia, in previsione della scarsità di cibo, inevitabile conseguenza di ogni guerra. Alle 4 del mattino del 1° luglio 1940, l’Arandora Star salpò da Liverpool, diretta in Canada, con a bordo 712 italiani e 478 tedeschi, oltre a 374 inglesi, tra militari di scorta ed equipaggio.
Solo 86 dei deportati erano prigionieri di guerra, gli altri erano tutti civili tra i 16 e i 75 anni d’età. La nave, sulla quale fu stipato un numero di persone tre volte superiore alla sua capienza, era stata inspiegabilmente ridipinta di grigio, e non portava alcun segnale di riconoscimento sulla natura non bellica della propria missione. Rotoli di filo spinato impedivano l’accesso alle scialuppe di salvataggio, peraltro ampiamente insufficienti ad ospitare tutti i passeggeri in caso di naufragio.
Alle sette del mattino del 2 luglio, quando l’Arandora Star navigava ben visibile sulle acque a nord-ovest dell’Irlanda, un U-Boat tedesco lanciò il suo ultimo siluro, e la affondò.
La richiesta di soccorso da parte della nave fu raccolta dal cacciatorpediniere canadese St. Laurent, che riuscì a raccogliere 850 naufraghi, all’incirca la metà delle persone presenti a bordo. Su un totale di circa 800 vittime, 470 erano italiani (occorre precisare che il numero di vittime e sopravvissuti è approssimativo, anche perché non esisteva una lista precisa e completa degli internati).
La storia della scialuppa recuperata dai pescatori di Owey è drammatica, perché sarebbe, secondo alcune fonti, la testimonianza che i militari britannici spararono contro quei prigionieri che erano riusciti a mettersi in salvo, per evitare una possibile fuga. I superstiti, riportati a Liverpool, furono spediti in Australia, una settimana dopo il naufragio.
Sulla tragedia dell’Arandora Star è uscito di recente un bellissimo romanzo di Caterina Soffici – Nessuno può fermarmi:
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