Un caso eclatante di “nera”, come quelli che da sempre coinvolgono al massimo l’opinione pubblica, comincia come tanti altri. Il 3 giugno del 1974 alle 11:10 circa, a Marsiglia, due bambini, sorella e fratello, stanno giocando davanti a casa, quando un automobilista chiede di aiutarli a ritrovare il proprio cane. Il maschietto si allontana, mentre la bambina resta con l’uomo, che la convince a salire sulla sua auto. Un testimone identificherà il mezzo come una Simca 1100.
Nessuno rivedrà mai più viva la piccola Marie-Dolores Rambla, di 8 anni. O forse sì?
Ore 12:30, strada statale N96, incrocio “de la pomme” a Beldodène, poco fuori Marsiglia. Un giovane ha la precedenza, ma un’auto che avrebbe lo stop non lo rispetta e gli taglia la strada, poi si allontana dopo l’urto tra le due macchine. Un altro automobilista la insegue per prenderne la targa, e vede il conducente scaricare un pacco sul ciglio della strada, dopo essersi fermato. Al momento di sporgere denuncia alla gendarmeria più vicina, entrambi identificheranno l’auto come una Peugeot 304 e diranno che il guidatore era solo.
Ore 17:30, un uomo che è rimasto impantanato con la sua auto in una fungaia di Pepyn, a due chilometri dall’incrocio “de la pomme”, chiede aiuto ai dipendenti della fungaia, che lo tirano fuori dal pantano con un trattore. L’auto è una Peugeot 304 e la targa coincide con quella del mezzo coinvolto nell’incidente. E’ intestata a Christian Ranucci, un ventenne che abita a Nizza e fa il rappresentante di commercio.
Quando, alle 18:15 del 5 giugno, Christian Ranucci viene arrestato, crede che vogliano contestargli l’incidente e la successiva fuga. Si giustifica dicendo che teme che gli tolgano la patente, indispensabile per svolgere il proprio lavoro, anche perché negli ultimi tempi ha avuto altri incidenti.
Non sa ancora di essere coinvolto in una storia molto, molto più grave
Il giorno prima, il 4 giugno, appena appreso dalla TV la notizia del rapimento di Marie-Dolores Rambla, due uomini si erano recati alla polizia raccontando i fatti. Erano Alain Aubert, che seguì la Peugeot 304 dall’incrocio dell’incidente, ed Henri Guazzone, che la tirò fuori dalla fungaia con il trattore. Il 5 giugno anche Vincent Martinez, il giovane dell’altra auto coinvolta nell’incidente all’incrocio, si era recato alla polizia.
Sentite le versioni dei tre, i poliziotti decidono di cercare la bambina scomparsa nel luogo in cui l’uomo della Peugeot 304 aveva scaricato il “pacco”. Durante le prime ore del pomeriggio, con l’aiuto dei cani, nell’area della fungaia vengono ritrovati un maglione rosso con alcune tracce di sangue, un coltello a serramanico e, infine, il cadavere della bambina, che ha il cranio sfondato e il colpo martoriato da 15 coltellate, ma non ha subito violenza sessuale.
Ranucci è il 1° indiziato del delitto
Il Commissario e i suoi uomini lo torchiano per 20 ore, senza che riceva alcuna assistenza legale, ma gli elementi non sembrano sufficienti per incriminarlo, anche perché i testimoni, soprattuto il carrozziere Eugène Spinelli che ha assistito al rapimento della bambina, nei confronti all’americana, non lo riconoscono. La sera del 6 giugno la situazione cambia improvvisamente: i poliziotti mettono Ranucci di fronte ad Aubert e Martinez da solo, e stavolta i due dicono di riconoscerlo. Per di più, cambiano versione sui fatti del 3: per Martinez, Ranucci in macchina era insieme a un bambino; per Aubert, non ha più scaricato un pacco sul ciglio della strada ma un piccolo corpo esanime.
Dietro le ulteriori insistenze dei poliziotti, Ranucci cede e ammette il delitto
Più tardi, quando potrà finalmente vedere degli avvocati, ritratterà tutto e dirà di essere stato costretto a confessare.
Il giudice istruttore Ilda Di Martino sente Ranucci solo 5 volte mentre conduce l’inchiesta, di cui solo 2 in presenza dei suoi legali. In una delle occasioni senza gli avvocati, durante un incidente probatorio alla fungaia, lo aggredisce verbalmente provocandogli una crisi isterica. Ranucci ammette di aver nascosto lì la macchina dopo essersi accorto di essere seguito, riconosce il coltello a serramanico come proprio, ma dice di averlo perso cercando di liberare le ruote dell’auto dal fango, ma non riconosce il maglione. Sui suoi pantaloni, saranno ritrovate piccole tracce di sangue, che giustifica affermando di essersi fatto male pochi giorni prima cadendo da un motorino. Sugli avambracci ha dei piccoli graffi, ma sostiene di esserseli procurati in mezzo ai rovi della vegetazione che circonda la fungaia. Il gruppo sanguigno di Ranucci è lo stesso della bambina, e nessuno si fa venire in mente di verificare se la bambina abbia frammenti di pelle sotto le unghie.
Ranucci viene rinviato a giudizio l’11 marzo 1975, e nel mentre viene sottoposto a perizie psichiatriche dalle quali emerge che è un tipo particolare, molto attaccato alla madre con cui convive, che lo ha cresciuto da sola, ma sano di mente. Poiché, nella stessa primavera del 1974, ci sono stati altri tentativi di rapimento di bambini a Nizza, viene mostrato ai testimoni, che non lo identificano, tranne uno che però lo vede solo in fotografia.
I tre avvocati che lo assistono sono tutti giovani e, in seguito, avranno brillanti carriere. Ma il caso è difficile. Uno di loro, Paul Lombard, anni dopo, parlerà di “un clima da corrida”. L’opinione pubblica vuole la testa di Ranucci (letteralmente: in Francia era ancora in vigore la pena capitale, con la ghigliottina) e non fa nulla per nasconderlo. Il processo è solo indiziario e gli indizi non sono tutti a senso unico, i testimoni a carico sono smentiti da altri testimoni, ma la pressione psicologica cui sono sottoposte tutte le persone coinvolte è eccezionale.
A maggioranza, il collegio dei difensori decide che l’imputato si dichiarerà innocente
Le udienze si celebrano ad Aix-en-Provence nel marzo del 1976. Ranucci si attira l’antipatia della giuria e della corte rispondendo in modo arrogante quando viene chiamato in causa. I testimoni a carico appaiono sicuri delle proprie dichiarazioni, mentre quelli a discarico vengono messi in difficoltà dalle domande dell’accusa, compresa una signora di Marsiglia che dichiara di aver sventato il rapimento della figlia da parte di un uomo con una Simca 1100, e del carrozziere Spinelli, che aveva riconosciuto l’auto del rapitore come diversa da quella di Ranucci.
L’avvocato della famiglia Rambla, Gilbert Collard, chiede la condanna di Ranucci ma anche la concessione delle attenuanti generiche, per evitargli la ghigliottina.
Invece, i giurati vanno ben oltre la sua richiesta. Dopo sole 3 ore di camera di consiglio, dichiarano Ranucci colpevole senza attenuanti. Molto tempo dopo, Genevève Donadini, l’unica donna del gruppo, scriverà un libro in cui affermerà che la pressione dell’opinione pubblica era asfissiante, e che li condizionò enormemente, per cui decisero di accontentare la folla per evitare disordini, contando sul fatto che un verdetto esagerato sarebbe stato corretto dalla Corte di Cassazione.
La situazione ambientale fu esacerbata dal fatto che, appena un mese prima, un altro bambino era stato rapito e ucciso da un maniaco
Ranucci è condannato alla ghigliottina e la folla presente in aula, dando ragione ai timori dei giurati, mentre esulta per il verdetto, tenta di aggredire la madre dell’imputato e l’avvocato Collard, reo di aver mostrato un minimo di pietà verso l’imputato.
I giurati si sbagliano. La Cassazione conferma la condanna di Ranucci
Resta solo la grazia, da inoltrare al presidente Valery Giscard d’Estaing. Giscard si è sempre dichiarato contrario alla pena capitale, ma è comunque un politico scaltro e calcolatore. La sua popolarità, in quel momento è ai minimi, e i suoi alleati di governo sembra non vedano l’ora di mollarlo e farlo cadere. Nell’ultima occasione in cui ha graziato un condannato a morte alcuni di essi gliene hanno dette di tutti i colori, e si trattava di un comune assassino, di cui all’opinione pubblica importava poco. Figuriamoci cosa potrebbero fare adesso che tutta la Francia aspetta l’esecuzione inneggiando con manifestazioni di piazza e scritte sui muri contro Ranucci. Giscard prende tempo, ma poi ci si mette di mezzo il destino e, nel luglio del 1976, un altro bambino viene rapito e ucciso da un maniaco.
Non c’è niente da fare: Ranucci deve morire
Giscard rifiuta la grazia la sera del 27 luglio 1976, e in seguito dirà in ben tre occasioni che “tanto Ranucci era colpevole”. Poche ore dopo, alle 4:13 del 28 luglio, Ranucci sale sulla ghigliottina e viene decapitato.
A freddo, la comunità dei giuristi e dei politici francesi si rende conto di averla fatta grossa. Si apre la discussione parlamentare per l’abolizione della pena capitale in Francia e il guardasigilli Robert Badinter cita proprio quello di Ranucci come esempio di abuso. La pena capitale sarà abolita nel 1981, ma intanto tutti i condannati saranno graziati, tranne uno, Hamida Djandoubi, reo di un delitto particolarmente efferato.
Ranucci viene sepolto ad Avignone, la stessa città in cui era nato, e sulla lapide il suo nome è stato scritto in alfabeto cirillico per evitare che i vandali la devastassero.
Lo scrittore Gilles Perrault, che prese a cuore la vicenda, scrisse diversi libri sul caso (tra i quali il bestseller “Le pull-over rouge”, che diventerà anche un film di cui sotto trovate un trailer) chiedendo di riaprirlo, ma il Ministero della Giustizia risponde sempre negativamente.
Il fantasma di Christian Ranucci, morto a 22 anni forse innocente, sicuramente condannato da un processo farsa, non smette di perseguitare la Francia, nemmeno nel nuovo millennio.
Nel 2006, il quotidiano belga “Le soir” scrisse di avere le prove che il serial killer Michel Fourniret, nato nel 1942 e attualmente all’ergastolo per il rapimento e l’omicidio di 8 tra bambine e ragazze negli anni ’80, nel 1974 era a Marsiglia e possedeva una Peugeot 304 identica a quella di Ranucci. Inoltre l’uomo, per un incredibile “caso”, è stato riconosciuto come presente in aula al processo di Christian.
Nessuno però si prende, ancora, il disturbo di verificare le circostanze
La vicenda segnò enormemente i protagonisti. Nel 2004, Jean-Baptiste Rambla, il fratello di Marie-Dolores (lo stesso bambino che il 3 giugno 1974 si era allontanato da lei per cercare il cane), venne condannato a 18 anni per l’omicidio di un’amica, Corinne Beidl. Liberato per buona condotta nel 2016, nel 2017 viene di nuovo arrestato per l’omicidio di una ragazza, Cintia Lunimbu.