Il Kowloon Walled City Park è un parco-museo dell’area urbana di Kowloon e una tappa obbligatoria per quei turisti che cercano di scoprire la vera Hong Kong, oltre i luccicanti grattacieli della baia. Al centro si trova lo Yamen, un ufficio amministrativo tipico della Cina imperiale da cui si dipanano otto aree tematiche con viali floreali, giardini, statue dello zodiaco cinese, piante che richiamano le quattro stagioni, resti architettonici e padiglioni ispirati alla storia della defunta Città murata di Kowloon.
Oggi è difficile immaginare che, fino agli anni ’80 del Novecento, questo parco era un labirinto di condomini lungo 213 metri e largo 126. Numeri che, così, non dicono nulla, ma la cifra più spaventosa è un’altra. All’apice della sua folle crescita demografica, nel 1987, la Città murata di Kowloon ospitava circa 30.000 residenti.

In realtà siamo di fronte a una cittadella dalle dimensioni irrisorie, che, però, si è sviluppata in altezza attraverso un’architettura al limite dell’impossibile. Aveva palazzi che andavano dai 10 ai 14 piani, strade strettissime, dove non arrivava mai la luce del sole, e spazi abitativi minuscoli.
Il paradosso è che fino agli anni ’30 del Novecento lì c’erano solo case in legno e poche centinaia di persone
Come ha fatto a trasformarsi nel centro urbano con la densità abitativa più alta del mondo? La storia è lunga, e bisogna raccontarla dall’inizio.

Dalle origini alla Seconda guerra mondiale
La storia della Città murata di Kowloon ha inizio ai tempi della dinastia Song, al potere dal 960 al 1279, quando è solo un semplice avamposto con mansioni di controllo sul commercio del sale. Sappiamo che nel 1668 vi sono di stanza circa 30 soldati e, intorno al 1810, ha luogo la costruzione di un piccolo forte costiero per rafforzare il controllo sull’area. Fin qui tutto normale. È una zona strategica della penisola di Kowloon, che si affaccia direttamente sull’isola di Hong Kong.

I problemi iniziano nel 1842, con la Cina che perde la Prima guerra dell’oppio e firma il Trattato di Nanchino, in cui cede all’Impero Britannico l’intera isola di Hong Kong. Dall’altro lato della baia, però, c’è la penisola di Kowloon, e la Cina deve correre ai ripari per mantenere la sua influenza sui territori che gli sono rimasti.

Il piccolo forte antesignano della Città murata di Kowloon – il nome che assumerà a partire dal 1847 – ottiene così una grande cinta muraria in pietra, con quattro ingressi nei rispettivi punti cardinali.

Dopo la Seconda guerra dell’oppio e la Seconda convenzione di Pechino del 1898, l’Inghilterra ottiene l’affitto per 99 anni di alcuni territori utili ad assicurare un’adeguata difesa ai suoi possedimenti coloniali di Hong Kong, inclusa la penisola di Kowloon.
L’unica eccezione è la Città murata, che si trasforma in una minuscola enclave circondata da zone di competenza britannica

Secondo gli accordi la concessione è vincolata alla promessa dei funzionari cinesi locali di non interferire con l’amministrazione di Hong Kong, ma, già l’anno successivo, il governatore Sir Henry Arthur Blake sospetta che la Cina vi stia radunando delle forze terrestri per rompere gli accordi e, il 16 maggio del 1899, ordina ai suoi uomini di attaccare il forte.

Ciò che trovano gli inglesi è un piccolo insediamento con poche centinaia di abitanti. Niente di eccezionale, ma, per decisione unilaterale, la Città murata di Kowloon passa sotto la bandiera britannica e lo Yamen, fino ad allora sede e residenza dell’amministrazione cinese, si trasforma prima in una casa di riposo per gli anziani poi in una scuola.

La Cina non interviene, vuole evitare screzi diplomatici, e la città diventa un’attrazione turistica per gli inglesi di passaggio. L’8 dicembre del 1941, il Giappone occupa Hong Kong e decide di abbattere le mura della Città murata di Kowloon. I detriti vengono riciclati come materiale da costruzione per espandere l’aeroporto Kai Tak, e la cittadella rimane un poverissimo insediamento composto da case in legno.

Finita la Seconda guerra mondiale l’Inghilterra riprende possesso di Hong Kong e si apre il dibattito con la Cina per chi debba governare la Città murata. Il tira e molla diplomatico si conclude nel febbraio del 1948, quando il governo coloniale britannico accetta che la Città murata di Kowloon torni alla Cina, ma a patto che non la amministri in alcun modo; un accordo che la rende una terra di nessuno. Cinese, ma solo a livello formale.

I flussi migratori del Novecento
Intanto, la guerra civile fra i comunisti di Mao Zedong e i nazionalisti di Chiang Kai-shek ha portato alla nascita della Repubblica popolare cinese e, nel 1945, si registrano dei grandi flussi migratori provenienti dalla Cina continentale

Migliaia di persone in fuga dal conflitto si riversano nella Città murata di Kowloon, che, nel gennaio del 1950, arriva a ospitare circa 3.500 unità familiari, per un totale approssimativo di 17.000 residenti.

Il problema è che le sue abitazioni sono per lo più casette abusive costruite in legno e, proprio in quell’anno, scoppia un incendio che le distrugge tutte. Questa nuova desertificazione rende la Città murata di Kowloon la mecca di chi vuole abitare in un limbo politico, dove non ci sono né tasse né leggi e si può costruire partendo da zero.

Ha così inizio una folle speculazione edilizia che si protrarrà fino agli inizi degli anni ’80; tre decenni in cui la città raggiunge una popolazione di circa 30.000 abitanti, stipati in 300 grattacieli. In questa lunga e costante crescita demografica, c’è lo zampino indiretto di Mao, che con il suo Grande balzo in avanti e la successiva Rivoluzione culturale produce nuove ondate migratorie.

Per chi vuole fuggire al regime comunista senza espatriare la meta perfetta è proprio la Città murata di Kowloon, l’unico territorio cinese dove il governo non ha alcun potere.

Sommando tutti questi fattori, arriviamo a una testimonianza tratta dal libro City of Darkness: Life in Kowloon Walled City.
“Mentre da un lato della strada si insediavano le prostitute, dall’altro un prete predicava e distribuiva latte in polvere ai poveri; gli assistenti sociali davano indicazioni mentre i tossicodipendenti si accovacciavano sotto le scale per drogarsi. Quelli che di giorno erano centri-gioco per bambini, la notte diventavano locali per spettacoli di spogliarello. Era un posto molto complesso, difficile da generalizzare; un posto che sembrava spaventoso, ma dove la maggior parte delle persone continuava a condurre una vita normale”.

Urbanistica, tenore di vita e criminalità
Luci e ombre, Yin e Yang, normalità da un lato e criminalità dall’altro. Fra gli anni ’50 e ’80, la Città murata è una realtà urbana in bilico fra due estremi opposti. Dopo l’incendio del 1950 la gente inizia a ricoprire di case tutti i suoi 27.000 m² – a esclusione dello Yamen, l’unica zona priva di edifici – ma senza alcun piano regolatore, permessi e altri iter burocratici legati all’edilizia, quando finisce lo spazio orizzontale si continua in verticale.

Il risultato è che su un appartamento a pian terreno se ne costruisce un altro, poi un altro ancora, fino ad arrivare a un minimo di 10 e un massimo di 14 piani
Se c’è un limite è solo grazie alla presenza del vicino aeroporto Kai Tak

Sorgono, così, edifici altissimi e, per ottimizzare gli spazi, gli appartamenti superiori sono sempre più larghi di quelli inferiori; una bizzarria strutturale che rende i vicoli sottostanti quasi del tutto privi di luce naturale, perché, ovviamente, il sole non riesce a raggiungere i livelli più bassi.

Le aree pedonali sono strettissime – di uno o due metri – e basta allargare le braccia per toccare i due estremi della strada. Lo spazio vitale quasi non esiste – circa 23 m² in cui devono vivere intere famiglie allargate – ma gli abitanti sono furbi e sanno come cavarsela.

L’architetto Aaron Tan, in visita alla Città murata ai tempi della demolizione, la ricorda come un “grande macchinario che funziona alla perfezione”, come un qualcosa di indescrivibile per quello che è il suo tessuto urbano.
Tan disse: “Abbiamo iniziato a vedere che le persone potevano essere più intelligenti di noi, i designer, che potevano pensare a modi per risolvere i problemi che sono al di fuori del tradizionale mondo accademico”.

E, allora, ecco che, ad esempio, con una sola pompa d’acqua in tutta la città, i residenti scavano pozzi e costruiscono migliaia di tubi che si snodano attraverso i palazzi; per ottimizzare gli spazi in comune perforano i muri dei vicini e ne usano le scale. Tutte piccole intuizioni utili a migliorare la qualità della vita.

Sui tetti, invece – così vicini fra loro da poter attraversare l’intera città senza mai toccare terra – la situazione è catastrofica. Ci sono antenne televisive, funi per stendere i panni, serbatoi dell’acqua e cassonetti dell’immondizia. Un groviglio di cose che, però, non frena i condomini dall’usarli come luoghi di ritrovo. In cima ai palazzi si socializza, qualcosa che, invece non è possibile in casa, perché le persone lavorano e vivono in pochissimi metri quadri.

Un’altra conseguenza dell’assenza dell’autorità è che non ci sono né tasse da pagare né controlli su professionisti e imprese; un incentivo che, fra gli anni ’50 e ’80 del Novecento, porta a un proliferare di studi medici illegali e fabbriche o aziende con conti… non proprio in regola.

La popolazione vive in condizioni igienico-sanitarie pessime. Il sole sembra non esserci, i servizi base quasi non esistono, gli spazi sono strettissimi e la città è immersa in un costante inquinamento acustico e ambientale.

Ma, per fortuna, le oltre 30.000 anime di Kowloon hanno capito che, per sopravvivere, devono far fronte comune e crearsi un’identità sociale. Aiutarsi a vicenda è un obbligo, un imperativo che spinge le persone a venirsi incontro anche nei momenti più cupi, come, ad esempio, il periodo in cui la criminalità organizzata arriva e trasforma la Città murata in un business.

Un posto come questo, una terra di nessuno, è terreno fertile per le Triadi – una sorta di mafia cinese – che, a partire dagli anni ’50, iniziano a gestire senza alcun ostacolo lo spaccio di droga (soprattutto di oppio), i casinò, le case di piacere e tanti altri racket.

Il tasso di criminalità cresce a dismisura, e quelle poche volte che le forze dell’ordine della vicina Hong Kong devono avventurarsi in città per indagare su un omicidio, lo fanno in gruppi numerosi, sempre sul chi vive. Si decide di porre una freno al regno delle triadi solo fra il 1973 e il 1974, con una serie di incursioni che portano a 2.500 arresti e al sequestro di quasi 2.000 kg di stupefacenti. La misura è fortissima e, anche grazie al supporto della popolazione, la polizia circa entro il 1983 libera la città dalla morsa mafiosa.

La demolizione, il parco e le testimonianze dei vecchi abitanti
Con la firma della Dichiarazione sino-britannica del 1984, Cina e Inghilterra si accordano per il passaggio di sovranità di Hong Kong e dintorni previsto per il 1° luglio del 1997. Al tavolo delle trattative si discute anche della Città murata e, il 14 gennaio del 1987, i due governi annunciano la decisione di abbatterla e convertire la zona in un parco urbano. Vengono stanziati 384 milioni di dollari per risarcire le 900 imprese e le singole unità familiari, ma non è semplice mandar via una popolazione che ormai si identifica con la città e, fra il 1991 e il 1992, le autorità intervengono per sfrattare con la forza chi si oppone al trasferimento.
La demolizione ha inizio il 23 marzo del 1993 e si conclude l’anno successivo, con i lavori per l’attuale Kowloon Walled City Park

Ciò che resta di questo bizzarro centro urbano – per circa un decennio il luogo più densamente popolato della terra – sono le testimonianze di chi ci ha vissuto o l’ha visitato. Nel corso degli anni, in molti si sono avventurati fra i suoi alti edifici per realizzare filmati e studiarne il fenomeno, ma ci sono anche le parole di quei vecchi abitanti che, nonostante tutto, ricordano la loro permanenza lì con il sorriso, qualcuno addirittura con nostalgia o con la voglia di tornarci. Impensabile, ma non impossibile, perché, per tantissime persone, la Città murata di Kowloon è stata una sorta di utopia sociale, un rifugio dal mondo esterno.
Fonti:
- City of Imagination: Kowloon Walled City 20 Years Later – Documentario realizzato dal Wall Street Journal
- Kowloon Walled City: In Hong Kong, it was the densest place on Earth – CNN
- Hong Kong Journal; The Walled City, Home to Huddled Masses, Falls – The New York Times
- Where is the world’s densest city? – The Guardian
- Città murata di Kowloon – Wikipedia italiano
- Kowloon Walled City – Wikipedia inglese