Raccontare storie di fantasmi intorno al focolare è una consuetudine vecchia quasi quanto l’uomo. Uno dei più antichi racconti del paranormale, fra quelli arrivati sino a noi, veniva narrato nell’antico Egitto, probabilmente nel periodo ramesside (XIX e XX dinastia), tra il 1292 e il 1064 aC. La storia, conosciuta come Khonsuemheb e il fantasma, è stata ricostruita attraverso diversi ostraka (frammenti di ceramica o pietra che gli egizi utilizzavano per scritti di natura effimera), custoditi in diversi musei: Museo Egizio di Torino, Kunsthistorisches Museum di Vienna, Louvre di Parigi, Museo Archeologico Nazionale di Firenze. Il racconto è quindi frammentario, alcuni punti sono ancora oscuri e passibili di interpretazioni diverse, ma ha comunque uno svolgimento coerente e anche avvincente, come nella migliore tradizione di storie di fantasmi.
Necropoli di Tebe
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Khonsuemheb e il fantasma
L’inizio della storia è andato perso, e quindi il racconto parte da quando un uomo, di cui non si conosce il nome, si reca a visitare un sommo sacerdote di Amon, chiamato Khonsuemheb.
Ciò che l’uomo gli racconta consente di ricostruire l’antefatto mancante: ha appena trascorso la notte nella necropoli di Tebe e, mentre era lì, è stato svegliato da uno spirito inquieto che gli chiedeva aiuto. Il sacerdote invoca l’aiuto degli dei per evocare il fantasma, che puntualmente arriva. Khonsuemheb chiede il suo nome, e lo spirito si identifica come Nebusemekh (o Niutbusemekh), figlio di Ankhmen e Tamshas. Il sommo sacerdote si offre di costruire un sepolcro per lo spirito, al fine di ridargli la pace, ma il fantasma non crede alle promesse di Khonsuemheb, che allora si siede vicino al fantasma, piange, e vuole condividere il suo sfortunato destino privandosi di cibo, acqua, aria e luce.
Lo spettro racconta a Khonsuemheb di essere morto da 800 anni, e che, in vita, era stato un ufficiale sotto il faraone Rahotep, sovrintendente ai tesori.
Alla sua morte, il funzionario era stato sepolto con tutti gli onori dovuti al suo rango; nel corso dei secoli però, la sua tomba era crollata, condannandolo ad un’eternità di vagabondaggio senza riposo. Lo spirito racconta anche che prima di Khonsuemheb, altri avevano promesso di aiutarlo a trovare la pace, senza poi mantenere l’impegno.
Nella parte successiva della storia c’è qualche incertezza, perché mancano dei frammenti. Il racconto riprende da Khonsuemheb, che manda tre uomini alla ricerca di un luogo adatto alla costruzione di un nuovo sepolcro per il fantasma. Il luogo ideale viene alla fine individuato a Deir el-Bahari, nei pressi della tomba di Montuhotep II; i tre inviati ritornano dal sommo sacerdote, e gli riferiscono dell’esito della missione.
Il testo si conclude improvvisamente qui, ma è probabile che Khonsuemheb sia riuscito a ridare pace all’inquieto fantasma.
Ancora non è stato stabilito con certezza quale fosse il faraone contemporaneo di Nebusemekh, forse Rahotep, della 17° dinastia, o Mentuhotep, che però non compare in nessun documento tebano di quel periodo.
Storica invece la figura del sommo sacerdote, la cui tomba è stata scoperta nel 2014 da una missione giapponese della Waseda University, proprio nella necropoli tebana.
La tomba, molto ben conservata, risale probabilmente al periodo ramesside, e il suo proprietario, Khonsuemheb appunto, viene chiamato Capo del Laboratorio di Mut (la consorte del dio Amon), e direttore del Tempio di Mut.