Oltre 23 anni dopo la sua scomparsa, la figura di Lady Diana Spencer è più viva che mai. Per chi la vide apparire sulla scena del gossip internazionale, ancora adolescente, quel 24 febbraio 1981 in cui Buckingham Palace annunciò ufficialmente il suo fidanzamento con Carlo, Principe di Galles, non se n’è mai andata.
Lady Diana nel 1997

Ogni trasmissione tv o articolo di giornale che le viene dedicato raggiunge sempre un pubblico vastissimo e tenacemente affezionato. Perfino le ragazze nate anni dopo quel tragico 31 agosto 1997 la conoscono benissimo: in moltissime, tra l’altro, hanno seguito la serie televisiva “The Crown”, dedicata alla vita della regina Elisabetta, dove, appena entra in scena, Lady Di oscura immediatamente tutti gli altri membri della famiglia reale.
La celebre foto di Lady Diana che danza con John Travolta alla Casa Bianca
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Sicuramente, molto del rimpianto e parte della nostalgia che accompagnano sempre il ricordo della “principessa del popolo” si devono al pensiero che, se fosse ancora viva, oggi, avrebbe soltanto 59 anni. È impossibile pensare a lei come a qualcosa che appartiene al passato, e neppure lontano.
Eppure, prima o poi anche Diana passerà, come passano tutti.
Un mare di fiori per il funerale di Lady Diana
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Il mondo del gossip, come quello dello star system, è un tritacarne che non butta via nulla finché può ricavarne qualcosa ma, non appena si profila all’orizzonte qualcosa che può assolvere meglio alla funzione di far vendere copie di riviste o di tenere alto l’audience di programmi televisivi, non ci pensa due volte, prima di procedere alla sostituzione in corsa.
Certo, non sarà facile sostituire una donna che era addirittura principessa di Galles, ma altre “principesse tristi” sono state già tranquillamente dimenticate, ad esempio Soraya Esfandiyary Bakhtiari, la bellissima aristocratica persiana che fu moglie (dal 1951 al 1958) dello Scià Mohammad Reza Pahlavi, costretto poi a ripudiarla dopo che lei si era rivelata incapace di dargli un erede. In virtù di un tentativo (fallito) di riciclarsi come attrice cinematografica e della sua costante presenza nel jet-set europeo, Soraya è stata una presenza assidua sulle prime pagine dei rotocalchi per almeno un ventennio, prima di finire rapidamente dimenticata, al punto che, della sua morte (2001) non si accorse quasi nessuno.
La principessa Soraya nel 1953
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Tornando però a Lady Di, occorre sottolineare come la sua vicenda personale, quella di una “Cenerentola tragica”, finì per far calare il sipario su un’altra vicenda simile, con al centro una donna molto simile a lei, che fuori del Regno Unito non era notissima, mentre gli inglesi se la tramandavano da decenni.
Oggi il nome di Kay Kendall non dice molto, tranne che ai cinefili più esperti: nessuno penserebbe che, negli anni ’60-’70, la sua memoria era famosa e idolatrata come lo è oggi quella di Lady Di.
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Lady Di e Kay Kendall hanno moltissimo in comune: due donne estremamente ambiziose ma capaci di rimanere sempre sé stesse, incredibilmente vere, in un mondo in cui la più spudorata finzione è la regola; tutte e due poco istruite, ma tutt’altro che stupide e dotate di una classe innata; due bellezze dello stesso genere: entrambe altissime e snelle, bionde ma non del tipo hollywoodiano, destinate a diventare muse ispiratrici dei maggiori stilisti di moda del loro tempo; legate a uomini molto più grandi di loro, figure maschili estremamente ingombranti, dall’ombra delle quali hanno faticato a emanciparsi; accomunate anche dal destino di una morte precoce e romanzesca.
La sola differenza importante tra loro sta nel rapporto con la figura maschile ingombrante cui si è accennato: a fronte del rapporto conflittuale di Lady Di con il principe Carlo, che non l’amò mai davvero, Kay Kendall fu oppressa dalle troppe attenzioni di un compagno innamorato di lei in modo totalizzante, Sir Rex Harrison, uno dei più grandi attori inglesi del XX secolo.
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Allora, visto che la storia di Lady Di è già fin troppo nota, sforziamoci di ridare vita, per il breve periodo necessario a leggere questo pezzo, alla figura dimenticata di Kay Kendall.
In realtà, all’anagrafe, si chiama Justine McCarthy ed è nata a Withernsea, un paese sulla costa dello Yorkshire, che oggi conta poco meno di 6000 abitanti, il 21 maggio 1927. Viene da una famiglia di artisti dello spettacolo che, a dire il vero, sta affrontando una fase di decadenza. La nonna materna, Marie Kendall (1873-1964) è stata una celebre attrice comica e cantante di music hall, immortalata addirittura in un breve riferimento nell’Ulisse di James Joyce (perché il 16 giugno 1904 si stava esibendo a Dublino: quindi, proprio nel giorno e nel luogo in cui si svolge l’azione del romanzo); tra i quattro figli che Marie Kendall ha avuto dal marito autore di canzoni (Stephen McCarthy), due sono diventati artisti: Terence e Patricia, un duo di ballerini che si fanno chiamare “Ted e Pat Kendall”. Non è che abbiano chissà quale successo, infatti sono conosciuti solo nello Yorkshire, e ancora meno nota è la madre di Kay, un’altra ballerina che si chiama Gladys Drewery. Kay è la terzogenita, dopo Terry (1923) e Pat (1925); dopo il divorzio dei suoi genitori, il padre si sposerà di nuovo e da questo matrimonio nascerà Cavan Kendall, un buon attore attivo soprattutto in teatro e in tv, morto a 57 anni nel 1999.
Visto che il gene della danza è già presente in famiglia, la piccola Justine (che poi userà solo il secondo nome Kay insieme al cognome Kendall dei suoi antenati) e la sorella Pat (che pure userà un nome d’arte, Kim Kendall) iniziano prestissimo a danzare anche loro e, alla fine degli anni ’30, le ritroviamo alla Lydia Kiasht Dancing Academy, una scuola di danza tenuta da una ballerina russa celebre per la sua avvenenza (nel 1914 è stata eletta “la ballerina più bella del mondo”) vissuta dal 1885 al 1959.
Lydia Kiasht, durante la guerra, formerà un corpo di ballo (il “Ballet de la Jeunesse Anglaise”) che si esibirà a lungo in tournée per le truppe, ma Kay e Kim sono troppo giovani o non abbastanza brave e ne vengono escluse. Nel 1940, dunque, dopo un ultimo breve periodo in un collegio di suore in Scozia, dove sono state trasferite a seguito dei primi bombardamenti tedeschi, se ne vanno a Londra dalla madre, che ha appena divorziato dal padre.
Kay ha solo 13 anni ma è altissima per gli standard della sua generazione (175 cm) e può farsi passare tranquillamente per maggiorenne. Già l’anno dopo la ritroviamo a ballare in una rivista teatrale, dopodiché lei e la sorella entrano nella compagnia di George Black, che si esibisce per le truppe, e per due anni vanno in tournée. Intanto però, dato che ha la passione per il cinema, prende lezioni di recitazione e riesce a ottenere delle piccole parti in film musicali interpretati dai suoi compagni di scena.
Visto che questi filmetti, prodotti con poca spesa, hanno un certo successo, la casa produttrice Rank, la più prestigiosa del Regno Unito, pensa di produrne uno importante per fare concorrenza a quelli hollywoodiani. E, in mezzo a tante ragazze intraprendenti che sgomitano per il ruolo di protagonista, qualcuno si accorge che quella stangona bionda che a 18 anni si muove come una veterana e ha un certo non so che in più di tutte le altre: Kay Kendall sarà la protagonista del musical “London Town”, annunciato come il più grande successo inglese del 1946.
Purtroppo, l’eccessivo ottimismo ha fatto dimenticare che la sceneggiatura del film è di una stravaganza tale da far perdere il filo anche allo spettatore più attento, per non dire nulla dell’imbarazzante mediocrità delle canzoni e delle coreografie. La critica stronca spietatamente la pellicola, il pubblico la snobba e la Rank non rientra nemmeno lontanamente nei costi di produzione.
In alto loco però, si ritiene che la causa del fallimento dell’impresa sia stata proprio la protagonista: un manager convoca Kay Kendall nel suo ufficio e la licenzia, dicendole che è totalmente negata per la recitazione, totalmente negata per la danza e in più è anche troppo brutta per esibirsi, così alta che sembra un uomo; quindi si togliesse dalla mente l’idea di diventare attrice, sarà fin troppo fortunata se troverà qualcuno disposto a sposarla e a farne una casalinga.
Anche la carriera di un’altra interprete destinata a una eccellente carriera, la cantante-ballerina Petula Clark, subirà una battuta d’arresto dopo questo flop.
Non sappiamo quante lacrime abbia versato la povera Kay dopo essere stata trattata in un modo così villano. La sorella però racconta che, da che era la ragazza più sicura di sé del mondo, dopo questa esperienza, diventa una persona estremamente insicura e ansiosa, e lo rimarrà anche da attrice di successo, soprattutto quando deve andare alle première e quando incontra i fans.
Per fortuna, non segue il consiglio del manager e non lascia le scene per diventare casalinga. Pur con qualche difficoltà, resta nel mondo dello spettacolo. Per quattro anni, accetta scritture di poco conto e paghe misere, esibendosi in spettacoli raffazzonati nei più improvvisati palchi di provincia, ma non si arrende.
Durante una di queste scomodissime trasferte, si ritrova anche coinvolta in un incidente automobilistico, nel quale si rompe il naso ed è costretta a rifarselo. Ma non può permettersi la spesa di un chirurgo estetico importante: l’unico che è in grado di pagare le mostra due profili, gli unici che sa fare, e lei deve accontentarsi di quello che giudica il meno peggiore. D’allora in poi, eviterà il più possibile di essere fotografata di profilo, perfino quando sarà una star e tra le sue fans ce ne saranno alcune che, senza aver subito incidenti di nessun genere, si rivolgeranno a chirurghi molto più quotati per farsi rifare un naso “aristocratico” come il suo.
Non rinuncia a niente, nemmeno alle offerte della neonata televisione. Proprio in uno spettacolo televisivo, la commedia “Sweethearts and Wives”, viene notata dai registi Frank Launders e Sidney Gilliat, che le offrono un ruolo importante nel film “Nuda ma non troppo” (1951), un’esile commedia piuttosto maldestramente ispirata alla leggenda di Lady Godiva. Sorprendentemente, questo filmetto ha un grande successo, anche se la critica e il pubblico si accorgono poco di lei, perché la loro attenzione è tutta riservata a un’altra giovane attrice, l’esordiente Joan Collins. Se non altro però, Kay è rientrata nel giro e, da quel momento, lavorerà senza sosta.
Tra l’altro, Lauders e Gilliat hanno tanta fiducia in lei da imporla di nuovo come protagonista di un film della Rank, “La rivale di mia moglie” (1953), una commedia finalmente intelligente e brillante, ambientata all’inizio del ‘900 e incentrata sul rapporto morboso di un uomo e la sua automobile, con la bella moglie a fare da terzo incomodo, e sulla sua rivalità con un altro uomo, altrettanto fissato e pure accompagnato da una graziosa consorte, quando entrambi si iscrivono allo stesso rally.
Kay se la cava a meraviglia, pronunciando anche nel modo adeguato una battuta che sicuramente avrà fatto prendere un colpo al critico del “Catholic Times”:
“Ambrose sembra capace di pensare solo a due cose: quella vecchia stupida macchina… e l’altra cosa”.
Infatti il buon uomo, sconsigliando la visione del film ai fedeli, la definisce di una sensualità “oscena”. Al di fuori dell’ambiente dei bacchettoni, però, questo giudizio è un importante complimento e forse contribuisce anche al successo del film.
La sua performance brillante induce i dirigenti della Rank a infilarla in tutte le commedie prodotte: in circa 2 anni, ne interpreta 9.
Da sinistra: Mitzi Gaynor, Taina Elg, Kay Kendall & Gene Kelly in “Les Girls”
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Purtroppo sono film tutt’altro che memorabili, con la sola eccezione di “Quattro in medicina” (tratto da un bestseller del chirurgo e umorista Richard Gordon, nel quale recita accanto al suo grande amico Dirk Bogarde) e, forse, di “Scandalo di notte” (entrambi del 1954). A distanza di decenni, di questi film si salva sempre la recitazione di Kay, che si rivela un’attrice comica nata, anche in presenza dei copioni più insipienti.
Non la pensano così i critici del tempo, che riprendono a darle addosso. Qualcuno rispolvera la storia della scarsa avvenenza fisica e, recensendo “The square ring” (1953), scrive che non sembra una donna ma “Danny Kaye vestito da donna”.
Di rospi, insomma, deve ancora ingoiarne parecchi.
Si consola con il teatro, dove ormai ottiene scritture con facilità e pure se la cava benissimo nei ruoli brillanti e, ogni tanto, riesce anche a farsi prestare dalla Rank (che la tiene sotto contratto) a qualche casa produttrice televisiva (anche americana) e ad altre case cinematografiche.
Uno di questi “prestiti” sarà l’evento che cambierà la sua vita personale.
Kay è una donna libera e ha sempre portato avanti le sue storie sentimentali senza inutili complicazioni, comprese due che oggi prenderebbero le prime pagine di parecchi giornali, una con un principe svedese e un’altra con un facoltoso imprenditore.
Una voce non confermata la vorrebbe per un breve periodo anche amante di Filippo di Edimburgo. Ma certo è che, nel mondo dello spettacolo, specie quando non si è affermati, sono i tempi e le esigenze del lavoro a decidere cosa puoi permetterti e cosa no.
Oggi puoi essere qui e domani a centinaia di km di distanza, e dopodomani chissà dove. Per i legami stabili non resta molto spazio. Lei però ne ha avuto almeno uno abbastanza importante, con Sydney Chaplin, il figlio secondogenito del grande Charlie, attore di teatro e di cinema (con ruoli da caratterista), vissuto dal 1926 al 2009. La sorella Kim pensa che prima o poi si sposeranno, invece il destino prende tutt’altra direzione.
Nel 1955 Kay gira “Sette mogli per un marito”, una non memorabile commedia della London Films, il cui protagonista è Rex Harrison.
Da sinistra: Kay Kendall, Rex Harrison, John Saxon e Sandra Dee
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Harrison, dall’alto dei suoi 185 centimetri e di una prestanza fisica niente affatto diminuita dalla mezza età (è nato nel 1908), non è più il “Sexy Rexy” di qualche decennio prima, ma conserva ancora intatto molto del fascino che ha già fatto cadere legioni di donne ai suoi piedi (e che, dopo Kay, farà ancora molte altre vittime). Lei però non ne rimane particolarmente entusiasta. In compenso, stavolta, è lui a perdere la testa. Tanto la corteggia finché lei finalmente cede. Però stavolta vuole fare le cose sul serio: vuole il matrimonio.
Bella idea, senz’altro. Se non fosse che Rex è già sposato, con la fascinosa attrice tedesca Lilli Palmer.
La relazione andrà avanti per due anni in modo piuttosto turbolento, con Kay che infligge a Rex scenate terrificanti, con tanto di lancio di piatti in presenza di testimoni, ogni volta che lui torna dalla moglie, ma l’appoggio di Rex le spalanca le porte di Hollywood, dove interpreterà finalmente due film diretti da autori importanti, il musical “Les girls” di George Cukor (1957) e la commedia “Come sposare una figlia” di Vincente Minnelli (1958), nel quale recita di nuovo accanto a Rex, cavandosela egregiamente in entrambi i casi.
Poi, qualcosa cambia.
È successo che, un giorno di dicembre 1956, sollecitato dai produttori di “My fair lady” (una commedia che 8 anni dopo interpreterà anche al cinema accanto a Audrey Hepburn), Rex è andato all’ospedale Columbia di New York a farsi dei controlli sanitari. Il suo medico di fiducia, Dana W. Atchley, ha notato che Kay, accompagnatrice di Rex, non sembrava stare benissimo. Infatti, la donna dice di sentirsi debole da qualche tempo, e tormentata da un fastidioso mal di testa. Atchley, scrupolosamente, l’ha convinta a farsi delle analisi.
Qualche giorno dopo, è ormai il gennaio 1957, Atchley telefona a Rex e gli chiede come raggiungere i familiari di Kay. Perché? Perché Kay è malata, molto malata. Ha una grave forma di anemia. Esami successivi riveleranno che è dovuta a una leucemia cronica mieloide. Se tutto andrà bene, sottoposta alle migliori cure, potrà vivere al massimo 3 anni.
Ciò che accade dopo, sicuramente, non sarebbe più possibile oggi. Già è incredibile che sia potuto succedere allora.
Rex si fa promettere da Atchley di non dire niente a nessuno. Poi convince la moglie a divorziare. Si dirà, successivamente, che la Palmer ha accettato perché Rex le ha mostrato gli esami di Kay e le ha promesso di risposarla dopo la morte di Kay. In realtà, mentre il marito coltivava la sua relazione con Kay, Lilli Palmer si è fatta a sua volta un amante, un focoso attore argentino che ha nove anni meno di lei, Carlos Thompson: è per questo che accetta il divorzio. Infatti la Palmer sposerà Thompson subito dopo e i due resteranno insieme fino alla morte di lei, nel 1986.
Lilli Palmer e Rex Harrison nel 1950
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Finalmente libero, Rex presenta a Kay la sua proposta di matrimonio nel modo più romantico. Lei è al settimo cielo. Non sa nulla della malattia. Nessuno le dirà mai nulla. Saprà solo di essere anemica e che, per questo, ogni tanto deve farsi delle trasfusioni.
Rex si impegna in tutti i modi a renderle felice il tempo che le resta da vivere. Qualsiasi desiderio lei esprima, lui fa il diavolo a quattro per esaudirlo. Dopo il matrimonio, celebrato a New York il 25 giugno 1957, la coppia va in vacanza, viaggia, affitta una dimora principesca. Ma Kay vuole soprattutto lavorare, vuole essere finalmente libera dalle imposizioni delle case produttrici, scegliere liberamente i copioni da realizzare e, perché no?, fare anche da mecenate ad artisti che trovano poco spazio presso le majors. Come casa andrà bene anche una piccola a Londra, purché abbia uno studio e un giardino per i suoi due carlini, cui è affezionatissima (sono gli ultimi di una lunga serie di cani che ha avuto, testimoniata da diverse foto).
Ma la salute va sempre peggio e, durante l’estate del 1959, mentre è impegnata nelle riprese del film “Ancora una volta, con sentimento”, che procedono a rilento perché lei non si regge letteralmente in piedi e tutta la troupe (a partire dal co-protagonista Yul Brynner) si chiede preoccupata perché Kay stia così male, è costretta a dichiarare alla giornalista Sheilah Graham (famosa per essere stata l’ultima compagna di F. S. Fitzgerald) che soffre solo di una carenza di ferro e assolutamente non ha la leucemia.
Invece, in segreto, pensa sempre alla morte e chiede continuamente a Rex e agli amici, compreso Dirk Bogarde, se le stanno nascondendo qualcosa di grave.
Le riprese del film terminano in agosto. Rex decide di portarla subito in vacanza. Il sollievo dura poco. Devono rientrare in fretta, perché le è venuta una polmonite. Viene ricoverata alla London Clinic di Devonshire Place. La debolezza e le sofferenze la stanno sopraffacendo. Il 5 settembre, chiede ancora a Rex:
“Ma tu me lo diresti, se stessi morendo?”
“Non essere stupida”, risponde Rex “Certo che te lo direi. Ma tu non stai morendo”.
Poco dopo, mentre lui la tiene abbracciata, Kay sussurra “Ti amo moltissimo…” e scivola nel coma. Qualche ora dopo, smette di respirare.
Kay Kendall viene sepolta sepolta nel cimitero della St.John Churchyard di Hampstead, a Londra, il 9 settembre; sulla lapide, il suo nome è riportato come “Kay Kendall Harrison, deeply loved wife of Rex”: moglie profondamente amata di Rex.
Dopo la sua morte, Rex cade in una profonda depressione e per diversi mesi non lavora e non vuole vedere nessuno. Poi conosce una giovane e ambiziosa attrice, Rachel Roberts, con la quale si sposerà ancora, nel 1962. Anche questa storia avrà un finale tragico: i due si separano nel 1971 ma lei tenterà di riconquistarlo nel 1980 e, respinta, si ucciderà.
Rex porterà anche in teatro un dramma ispirato alla malattia di Kay, “Praise of Love” di Terence Rattigan, nel 1973.
Questa scelta può sembrare dettata dal cinismo, ma altri elementi sembrano indicare che Rex non abbia mai dimenticato Kay, nemmeno durante i tre matrimoni che seguirono (altri due dopo Rachel Roberts).
Già nel 1960, per onorarne la memoria, ha dato vita alla fondazione “Kay Kendall Leukemia Fund” che, da allora, è sempre stata uno degli organismi più attivi e impegnati dell’intero Regno Unito nella promozione e il finanziamento degli studi e delle terapie riguardanti i tumori del sangue. Fino alla morte, nel 1990, ne sarà il principale animatore e testimonial.
Sulla vita di Kay è uscito, nel 2002, un libro che è stato un bestseller nei Paesi di lingua inglese, “The Brief, Madcap Life of Kay Kendall” di Eve Golden, cui ha collaborato molto anche Kim Kendall, della quale si sono perse successivamente le tracce (se è ancora viva, oggi ha 95 anni). Questo libro non è stato mai tradotto in Italiano.
La cittadina in cui nacque, Withernsea, le ha dedicato un piccolo e museo, molto apprezzato dai turisti, in una location estremamente suggestiva, ossia il vecchio faro.