Karl Gorath: l’omosessuale che fu internato ad Auschwitz e poi in un Carcere Tedesco

Paragrafo 175, codice Penale Tedesco in vigore dal 15 Maggio 1871 al 10 marzo 1994:

Un uomo che ricopre un ruolo attivo o passivo in atti di fornicazione con altri uomini è punito con la reclusione

Karl Gorath aveva 26 anni nel 1938, e conosceva molto bene questa parte del codice penale. Nato a Bad Zwischenahn, vicino a Brema, il 12 Dicembre 1912, visse la propria infanzia in uno stato che rispettava il proprio codice penale ma che era assai tollerante nei confronti di omosessuali e travestiti. Durante la Repubblica di Weimar e fino all’avvento del nazismo nel 1933, i pass travestiti garantivano una certa libertà alle persone che si sentivano imprigionate in un’identità sessuale che non sentivano affine al volere della legge tedesca.

Poi, nel 1933 cambiò tutto

Sotto, l’Eldorado, un popolare locale per travestiti di Berlino nel 1932:

Immagine di Bundesarchiv via Wikipedia

Locali come l’Eldorado, dichiaratamente frequentati da omosessuali, vennero chiusi, e venne chiesto ai gestori di fornire il nome degli avventori. Nel giro di 12 anni furono arrestate 100.000 persone con l’accusa di essere gay, un reato punito dalla versione del 15 maggio 1871 del Paragrafo 175 del codice penale tedesco e poi inasprito dalla successiva modifica del 28 giugno 1935.

Karl Gorath fu tra questi

Sotto, la foto segnaletica di Gorath in occasione del suo primo arresto nel 1934:

Karl era un infermiere, e venne denunciato alla Gestapo da uno dei suoi amanti, geloso di lui. Processato nella vicina Brema dal giudice Rabien, venne internato al campo di Neuengamme nel 1938 e obbligato a portare il triangolo rosa, riconoscimento riservato ai prigionieri omosessuali. Grazie alle sue qualità di infermiere, Gorath venne trasferito in un ospedale, ma poi finì ad Auschwitz, un provvedimento punitivo perché aveva tentato di contrabbandare del cibo per dei prigionieri russi, lasciati morire di fame all’interno del campo di Neuengamme.

Il suo spirito umanitario fu causa della sua fortuna

Ad Auschwitz il suo triangolo cambiò da rosa a rosso, il che lo identificò come prigioniero politico. Grazie al nuovo status Gorath scampò alle torture dei Kapò nei confronti degli omosessuali. Dopo l’avanzata dei sovietici attraverso la Germania, Gorath fu spostato a Mauthausen, da dove venne rilasciato dai tedeschi in fuga nel maggio del 1945.

Le fotografie scattate ad Auschwitz:

Quasi morto per la fame e la dissenteria, Gorath venne salvato da un medico francese, che lo curò e lo fece riprendere.

L’inferno era finito

Dopo l’inferno, però, la vita aveva in serbo un’altra sorpresa drammatica. Nel 1947 Karl Gorath finì di fronte allo stesso giudice che 9 anni prima lo aveva condannato a Brema. Quando fu di fronte all’uomo di legge questi gli disse:

Sei ancora qui?

In base al Paragrafo 175 del Codice Penale Tedesco finì nuovamente recluso, questa volta in un carcere e non in un campo di concentramento, e scontò una pena di altri 5 anni.

Uscito distrutto da 12 anni di prigionia complessivi, Karl Gorath era un rifiuto della società, e non riusciva in nessun modo a trovare lavoro.

L’uomo visse di espedienti fino agli anni ’60, quando ottenne nuovamente un piccolo impiego, e continuò a chiedere la sussistenza facilmente elargita alle vittime dei campi di concentramento, che però gli venne sempre rifiutata. Gli furono inoltre negati il diritto alla pensione e alla disoccupazione per il suo passato “criminale”. Fu solo nel 1989 che gli fu riconosciuta un’indennità di 500 marchi, un magro premio per un perseguitato prima del terzo Reich e poi dalla Germania Ovest.

Karl Gorath visse una vita di persecuzioni, prima a causa del Partito Nazista e poi a causa del Paragrafo 175 del codice penale tedesco. E’ morto nel 2003, all’età di 91 anni.

L’uomo ha raccontato le proprie memorie nel documentario “Paragraph 175”, assieme ad altri 5 omosessuali che vissero durante il periodo nazista. Di seguito trovate il trailer:

Fonte: Jorg Hutter.

Matteo Rubboli

Sono un editore specializzato nella diffusione della cultura in formato digitale, fondatore di Vanilla Magazine. Non porto la cravatta o capi firmati, e tengo i capelli corti per non doverli pettinare. Non è colpa mia, mi hanno disegnato così...