Josiah Henson: la storia dello schiavo fuggitivo che ispirò “La Capanna dello Zio Tom”

“Quindi sei la piccola donna che ha scritto il libro che ha dato inizio a questa grande guerra”: è una frase attribuita al Presidente degli Stati Uniti Abraham Lincoln.

Forse non le ha mai pronunciate, o forse sì, ma comunque riassumono in breve il grande impatto che ebbe un libro, scritto da Harriet Beecher Stowe, addirittura indicato come una delle cause della Guerra Civile: La capanna dello zio Tom.

Abraham Lincoln

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Allo scoppio della guerra, nel 1861, i contrasti tra gli stati del Nord industrializzato e quelli del Sud rurale erano presenti già da molti anni. Quando Lincoln viene eletto presidente, nel 1860, la situazione precipita. Prima del suo insediamento alla Casa Bianca, sette Stati del profondo Sud decidono di separarsi dall’Unione, formando una Confederazione.

Malgrado Lincoln non sia ancora, in quel momento, un convinto abolizionista, ma piuttosto fautore di un netto contenimento della schiavitù, il timore di un radicale cambiamento in quel senso induce gli Stati del Sud a una secessione. Laggiù, dove l’economia si basa quasi esclusivamente sull’agricoltura, e in particolare sulle piantagioni di cotone, rinunciare al lavoro degli schiavi equivale a una catastrofe (dal punto di vista dei padroni). In realtà, almeno secondo alcuni storici moderni, il conflitto tra Nord e Sud riguardava piuttosto differenti visioni economiche, e la lotta allo schiavismo era solo un aspetto di problemi ben più complessi.

Harriet Beecher Stowe

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Nel 1862, Harriet Beecher Stowe incontra Lincoln alla Casa Bianca, e in quell’occasione il Presidente le rivolge (forse) quella frase, dando atto alla scrittrice dell’enorme valore della sua opera nella lotta allo schiavismo. Un potente senatore repubblicano dell’epoca, convinto e radicale abolizionista, arriva addirittura a sostenere che “se non ci fosse stata La capanna dello zio Tom, non si sarebbe stato Lincoln alla Casa Bianca”.

Frontespizio della 1ª edizione di “La capanna dello zio Tom”

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La capanna dello zio Tom esce negli Stati Uniti nel 1852, e dimostra da subito la sua forza dirompente: mai nessun autore americano aveva scritto un romanzo che avesse come personaggio principale un nero, e descritto la durissima vita degli schiavi, vittime di soprusi e violenze. La scrittrice tenta (e ci riesce) di mostrare l’“umanità” di queste persone trattate, molto spesso, peggio degli animali. Il successo del romanzo ha dell’incredibile: in una settimana vende, negli Stati Uniti, 10.000 copie, e 300.000 in un anno, ma addirittura 1,5 milioni in Gran Bretagna, nei primi 12 mesi dall’uscita, e negli anni sarà tradotto in 70 lingue.

E’ uno dei libri più venduti del 19° secolo

Non tutti si entusiasmano per La capanna dello zio Tom: da un verso qualche abolizionista lo trova troppo poco incisivo, ma dall’altro, i sostenitori dello schiavismo accusano la scrittrice di essere di parte, di aver scritto cose fuori dalla realtà.

Harriet Beecher Stowe allora pubblica The Key to Uncle Tom’s Cabin (La chiave della Capanna dello zio Tom), che è una bibliografia sulle fonti da lei usate per il suo romanzo, come le storie raccontate e anche scritte da ex schiavi, dimostrando così che la sua opera è basata su fatti reali. Come la vita di Josiah Henson, l’uomo che ha maggiormente ispirato la scrittrice per il personaggio dello Zio Tom.

Josiah Henson

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Josiah nasce schiavo, figlio di schiavi, il 15 giugno 1789, nel Maryland. Suo padre appartiene a un certo Francis Newman, la madre al dottor Josiah McPherson, ma lavora nella piantagione di Newman. Lì accade qualcosa che cambia la vita di tutta la famiglia: la donna subisce un tentativo di stupro da parte di un sorvegliante bianco, il marito interviene e picchia l’uomo, che dopo aver promesso di non rivelare il fatto per non farsi uccidere, ovviamente denuncia quello schiavo che aveva osato alzare le mani “contro il tempio sacro del corpo di un uomo bianco” (Father Henson’s Story, di Josiah Henson).

La punizione è terribile: al ribelle vengono inflitte cento frustate, poi gli inchiodano un orecchio a un pezzo di legno e glielo tagliano. Nonostante queste violenze, il papà di Josiah sopravvive, ma viene mandato in Alabama, uno degli stati del profondo Sud, un destino che era “il più grande di tutti i terrori degli schiavi del Maryland” (op. cit.).

Nessuno della sua famiglia avrà mai più sue notizie

Il dottor McPherson, dopo quell’episodio, riprende con sé la schiava e i suoi sei figli.

Josiah è il più piccolo e il prediletto dal padrone (dal quale prende il nome), che è un uomo buono, mai violento, ma purtroppo incline al bere. Dopo due o tre anni “molto felici” trascorsi nella piantagione di McPherson, di nuovo accade qualcosa di tragico: il padrone, probabilmente ubriaco, muore annegato in un fiumiciattolo. Tutte le proprietà del dottore devono essere vendute, schiavi compresi, che vengono messi all’asta:

“La folla raccolta intorno alla tribuna, il gruppetto di negri, l’esame di muscoli, denti, esibizione di agilità, lo sguardo del banditore, l’agonia di mia madre – posso chiudere gli occhi e vederli tutti” ricorda Josiah, che all’epoca non ha più di 5/6 anni. (op. cit.)

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Tutti i suoi fratelli e sorelle sono venduti, sotto gli occhi della madre, “paralizzata dal dolore”, che viene comprata da un certo Isaac Riley. Quando arriva il turno di Josiah, la donna si getta ai piedi del nuovo padrone e lo implora di acquistare il suo bambino, di non separarla da almeno uno dei suoi figli. Per tutta risposta, Riley la prende a calci con violenza e lei striscia via piangendo e pregando. Josiah finisce nelle mani di un certo Robb, che lo mette insieme agli altri suoi schiavi: nessuno si interessa di un bambino così piccolo, e lui, abbandonato a se stesso, si ammala quasi subito e sfiora la morte. Robb allora propone a Riley di comprare il bambino, a un prezzo molto basso, e l’uomo accetta, a condizione che il pagamento avvenga solo dopo la guarigione di Josiah. Riley è un personaggio “rozzo e volgare, senza principi e crudele nel suo comportamento generale”, ma Henson generalizza il discorso e fa un’amara considerazione:

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“La tendenza naturale della  schiavitù è quella di convertire il padrone in un tiranno e lo schiavo nella vittima timida, traditrice, falsa e ladra della tirannia”.

Eppure, nonostante tanta miseria e dolore e sopraffazione, Josiah conserva anche bei ricordi: “… ma la natura, o il Dio benedetto della giovinezza e della gioia, era più potente della schiavitù. Insieme ai ricordi di capanne fangose, piedi ghiacciati, fatica stanca sotto il sole cocente, maledizioni e botte, ne riaffiorano altri, di allegri tempi natalizi, balli davanti alla porta della vecchia Massa per il primo bicchiere di zabaione, carne extra nei periodi di vacanza, visite di mezzanotte a meleti, polli randagi alla griglia, e trucchi di prim’ordine per schivare il lavoro”. (Op. Cit.)

Nel giro di qualche anno, Josiah diventa lo schiavo di fiducia di Riley, e anche se è analfabeta, gli viene affidato l’incarico, solitamente riservato ai bianchi, di portare a vendere i prodotti della piantagione a Washington. Il ragazzo, agile e forte, diventa la guardia del corpo del padrone, tanto che una volta gli salva la vita durante una rissa da bar, a scapito della sua salute: dopo aver ricevuto un fortissimo colpo alla schiena, Henson non riuscirà mai più ad alzare le braccia sopra la testa.

Intanto, mentre è nella piantagione di Riley, Henson si avvicina a tal punto alla religione da diventare un predicatore.

E’ analfabeta – d’altronde l’ignoranza degli schiavi è una grande arma in mano ai padroni (Riley lo massacra di botte quando scopre che stava cercando di imparare a leggere e scrivere) – ma riesce a memorizzare lunghi brani delle Scritture e si fa un discreto seguito. Un predicatore bianco, nel 1828, lo incoraggia e lo aiuta anche a racimolare la cifra necessaria al suo riscatto, 350 dollari (tre anni di stipendio di un bracciante bianco).
Riley prima acconsente a ridargli la libertà, intasca i soldi, ma poi alza la posta e pretende altri 650 dollari. Henson, durante un viaggio nel Kentucky (a casa del fratello di Riley) scopre che il padrone progetta di venderlo, a sud, separandolo così dalla moglie e dai figli. Lo accompagna, proprio per venderlo, il nipote di Riley, che però si prende la malaria. Josiah, anziché abbandonarlo, lo riporta a casa e praticamente gli salva la vita. Lo schiavo però sa bene di non potersi fidare né del padrone né del fratello e decide di scappare verso la libertà, verso una terra promessa: il Canada.

Josiah Henson con la seconda moglie, Nancy

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Josiah Henson, la moglie e i quattro figli, si allontanano dal Kentucky viaggiando di notte e dormendo di giorno, nascosti nei boschi. Percorrono un migliaio di chilometri a piedi, finché arrivano al fiume Niagara, dove trovano un capitano scozzese che, senza chiedere nulla in cambio, li aiuta ad attraversare il confine. Henson gli assicura che, nella sua nuova terra, avrebbe usato bene la sua libertà.

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E’ il 28 ottobre 1830, e finalmente Josiah Henson è un uomo libero

E lui usa bene la sua libertà, sul serio. Raduna un gran numero di ex-schiavi in un terreno preso in affitto, e nel giro di qualche anno riesce a comprare un appezzamento di 80 ettari, dove nasce una comunità autosufficiente di neri liberi, Dawn Settlement. Raccoglie fondi, organizza viaggi per portare in Canada persone ancora in stato di schiavitù e ne salva almeno 118, costruisce una scuola e una fabbrica. Intanto impara a leggere e scrivere dal figlio, che ha la possibilità di andare a scuola. Nel 1849 detta le sue memorie a un futuro senatore degli Stati Uniti: “Father Henson Story – On Own Life”.

Josiah Henson con l’editore della sua biografia

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Harriet Beecher Stowe e Josiah Henson si incontrano, lei attinge molto alle memorie dell’ex schiavo per “La capanna dello zio Tom”.

Tra i lettori del romanzo c’è Abraham Lincoln che, come risulta dai registri della Library of Congress, prende a prestito anche “La chiave della Capanna dello zio Tom”. Tiene il volume per un mese e mezzo, a metà del 1862, proprio mentre sta redigendo il Proclama di Emancipazione. Cosa che non può essere una mera coincidenza.

Mentre è in vita, Henson diventa famoso, incontra la Regina Vittoria a Windsor, e viene ricevuto alla Casa Bianca dal presidente Hayes. Nel 1883 muore, in Ontario, a 93 anni.

Su di lui cala il sipario. Nessuno lo ricorda né rammenta il suo grande contributo alla lotta contro la schiavitù, né in Canada né negli Stati Uniti, dove non viene mai menzionato nei libri di storia.

Rimane nella memoria di tutti il suo alter-ego, del quale era orgoglioso:

“Sono stato chiamato ‘Zio Tom’, e mi sento orgoglioso del titolo. Se le mie umili parole hanno ispirato in qualche modo quella donna dotata per la scrittura… non ho vissuto invano; perché credo che il suo libro sia stato l’inizio della gloriosa fine”.

Eppure, ancora oggi, quanto a narrazione di personaggi che hanno lasciato un segno nella storia, esiste un netto divario tra neri e bianchi…

Per inciso, Matthew Henson, l’esploratore artico dimenticato dalla storia, era un discendente di Josiah Henson.


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