John Newton: il pentimento di un Commerciante di Schiavi inglese

Fin dall’antichità, una pratica ha assunto un ruolo sempre più importante nelle comunità che si sono succedute nel continente europeo: lo schiavismo. Sarà la colonizzazione delle Americhe, a partire dal XVI secolo, ad alimentare una delle pagine più conosciute della storia della schiavitù: la Tratta Atlantica degli Schiavi. In sostanza navi europee portavano manufatti nelle basi costiere africane, dove li scambiavano con un gran numero di schiavi, che avrebbero portato nelle piantagioni e nelle miniere americane.

A inizio XVI secolo iniziarono ad arrivare nel Nuovo Mondo i primi schiavi africani. Le leggi dei Re Cattolici e le bolle papali impedivano la schiavitù delle popolazioni autoctone, le quali erano in rapida diminuzione. Le colonie, però, necessitavano di manodopera schiavile, che a quel punto non poteva che essere importata dal continente africano. La tratta atlantica aveva preso avvio, e nel ‘700 presero a levarsi voci sempre più insistenti a suo sfavore.

Una di queste fu il britannico John Newton (divenuto celebre come autore dell’inno Amazing Grace), convinto della contraddizione esistente fra tale commercio e i sentimenti di umanità, i diritti umani. Sperava, difatti, nella sua definitiva abolizione, almeno nella sua nazione, la Gran Bretagna. Fondamentali, nel suo pensiero, erano la condanna in toto della tratta, come violazione di quei “sentimenti” che dovrebbero accomunare tutta l’umanità, e il desiderio che questa “macchia” venisse ripulita dalla bandiera inglese.

Egli non fu sempre un’abolizionista, anzi, per diverso tempo fu un trafficante, che, dopo un pentimento, decise di raccogliere una sorta di confessione-condanna della schiavitù. Non voleva tacere. Il silenzio non avrebbe fatto altro che contribuire a non mettere abbastanza in luce il problema. Newton non pretendeva di scrivere un’opera di grande livello, ma si accontentava di dire la sua, di contribuire ad alimentare una riflessione sul problema, di aggiungere una goccia al mare di dissenso che andava formandosi.

John Henry Newton (1725-1807) – Fotografia di pubblico dominio via Wikipedia

Nato nella Londra del 1725, il centro di un Impero in forte espansione, in una famiglia benestante, Newton, cresciuto sotto gli insegnamenti di impronta marcatamente cristiana della madre, fu presto iniziato alla vita marittima dal padre severo e distaccato, viaggiando per anni tra i principali porti europei. Nel Dicembre del 1743 subì l’arruolamento forzoso in una nave della Royal Navy, proprio mentre le flotte francesi si aggiravano attorno alle coste inglesi, cosa che impedì al padre di farlo rilasciare, mentre riuscirà, comunque, a raccomandarlo come guardiamarina. Così, John fu imbarcato a bordo della nave da guerra Harwich, appena varata.

La sua disciplina non era certo esemplare: una volta, ottenuto il permesso di scendere a terra, prese un cavallo e si allontanò per lungo tempo, ottenendo sì di assaporare per un po’ il dolce sapore della libertà, ma anche di perdere il rispetto del capitano. Mentre si trovava a Plymouth (Inghilterra) pensò di raggiungere il padre a Torbay (non molto lontana) per convincerlo a presentarlo all’African Company (compagnia attiva nel commercio di schiavi); tuttavia, lungo il percorso si imbatté in un corpo di guardia, che lo riportò a Plymouth, sulla nave, dove verrà messo ai ferri, spogliato e frustato, poi degradato.

Nessuno voleva più avere a che fare con lui. Tutti lo insultavano. La sua rabbia era immane; pensieri cupi si impadronivano della sua mente: eliminare il capitano o suicidarsi. La svolta avvenne a Madeira, quando riuscì a ottenere il permesso di imbarcarsi su una nave diretta in Sierra Leone. Se il capitano gli fece subito una buona impressione, quando questi morì, per il suo successore non fu altrettanto. Egli temeva che il nuovo capitano lo avrebbe spedito dritto su una nave da guerra non appena fossero arrivati in America. Per questo stabilì di fermarsi in Africa, luogo in cui riponeva i suoi “sogni dorati”. “Ci sono ancora in questa parte della costa insediati alcuni bianchi, il cui compito era acquistare schiavi, ecc. nei fiumi e nelle aree adiacenti, e venderli alle navi”. Newton, dunque, lascerà anche questa nave, stavolta insieme a un altro marinaio, uno schiavista. Era entrato nella tratta degli schiavi.

La Tratta degli schiavi, di Auguste François Biard, 1840 – Fotografia di pubblico dominio via Wikipedia

Sulla costa occidentale si erano da tempo installati i portoghesi; un’area ricca di fiumi e fittissime foreste, che rendevano arduo inoltrarsi nell’entroterra: per questo si prediligeva stabilirsi presso i corsi d’acqua navigabili, che permettevano un facile accesso all’interno del continente. In questa regione, più precisamente nelle Plantane – presso Sherbro, presero a dimorare Newton e il suo compagno, legato a una donna nativa, che, a detta di Newton, aveva un forte ascendente sul mercante. La donna, una sherbro, aveva una grande importanza tra la sua gente e mal sopportava Newton. Quest’ultimo racconterà di essere stato trattato in malo modo sia dalla donna sia dal suo compagno. Non era accudito durante i periodi di malattia, dormiva su una stuoia e aveva un tronco di legno come cuscino. La sherbro non gli dava da mangiare, se non, talvolta, pochi avanzi. Doveva recarsi di soppiatto, al calare delle tenebre, nelle piantagioni per rubare qualche radice, che divorava cruda sul posto, per paura di essere scoperto e punito. Persino gli schiavi in catene provavano pietà per lui, tanto da portargli di nascosto qualche vettovaglia. Intanto doveva lavorare nelle piantagioni.

Stivaggio di una nave negriera britannica, Brookes (1788)

Lo deridevano, non gli concedevano la ben che minima fiducia, lo abbandonavano a sé stesso anche nei momenti di difficoltà. Pare fosse percepito come un peso e spesso lasciato da solo, con poco cibo, e costretto a procurarsi da sé il nutrimento. A corto di vestiti, la sua vita non era agevolata nemmeno dalle condizioni atmosferiche. La pioggia era, per lui, una piaga. Trovava conforto nella lettura dell’edizione di Barrow degli Elementi di Euclide.

Provava vergogna del suo misero stato, tanto che preferiva nascondersi (persino il mercante cercava di non mostrarsi con lui) tra gli alberi piuttosto che farsi vedere da qualche straniero. Newton stava ormai cadendo nel baratro, ma un po’ di sollievo arrivò quando riuscì a trasferirsi presso un altro mercante. In questa parte del continente, gli europei che vi vivono, ci racconta Newton, assimilavano le pratiche e i costumi dei nativi e le loro credenze. Ma la sua permanenza non durò a lungo. Infatti nel ’47 il padre, sapute delle sue condizioni, chiederà a un capitano di riportare il figlio in Inghilterra. Così accadde, e sarà proprio in questo viaggio che, in seguito a una tempesta prenderà avvio la sua conversione, il suo deciso avvicinamento al cristianesimo. In seguito a questa esperienza continuerà a praticare la tratta, fin quando, entrato in contatto con gli ambienti abolizionisti londinesi, non deciderà di opporsi alla schiavitù. Nel 1788 pubblicherà l’opuscolo Thoughts Upon the Slave Trade (Riflessioni sulla tratta degli schiavi), su “quel ramo commerciale infelice e vergognoso”, come lo definirà nelle prime righe del testo, tanto utile agli europei desiderosi di ricchezza.

Dettaglio del luogo in cui soggiornò J. Newton, tratto dalla mappa della Costa occidentale africana di J. N. Bellin (1765) – immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Un ex mercante di schiavi ora considerava ignobile questo traffico di esseri umani, che “contraddice i sentimenti di umanità”. Un ex mercante di schiavi tenta di pentirsi, confessando le sue azioni passate. “Quello che ho fatto, l’ho fatto con ignoranza”. Ora è diverso, ha trovato la via del Vangelo. “Il Signore giusto ama la giustizia e si è impegnato a perorare la causa e rivendicare i torti degli oppressi”. Ora prova pietà, o meglio più pietà rispetto a prima, quando sì, trattava gli schiavi “con tanta umanità”, ma prendeva comunque parte al traffico che li avrebbe portati dall’altra parte dell’oceano, in un luogo che per loro sarebbe stato l’inferno in terra. E tutto per il guadagno di qualche nazione.

Non è lecito metterlo [il guadagno derivante dal commercio di schiavi] nel Tesoro, perché è il prezzo del sangue”, dice citando il Vangelo di Matteo, capitolo 27, versetto 6 (la scena in cui Giuda, pentitosi di aver tradito Gesù, getta le trenta monete d’argento nel tempio, dove gli anziani e i capi dei sacerdoti si erano riuniti per condannare Gesù; e proprio i capi dei sacerdoti pronunciano quelle parole). Il mondo politico, secondo Newton, non doveva stare a guardare, allargando la “macchia” che già imbrattava la bandiera britannica. I governatori dovevano imparare ed esercitare la morale evangelica, rifiutando le ricchezze sporche di sangue. La morale non doveva abbassarsi al desiderio di guadagno. L‘Inghilterra non doveva peccare di avarizia, aggiungendo alle sue grandi scorte di “grano buono” del “grano cattivo”, ricchezza derivata da un’attività indegna.

Le condizioni degli schiavi erano a dir poco disumane. Vivevano stipati, messi in catene, abbandonati a sé stessi, in preda alle malattie e alla fame, in condizioni igieniche insostenibili. Le donne non se la passavano meglio, vittime della “sfrenata rudezza dei selvaggi bianchi”. Secondo qualcuno, dice Newton, gli africani erano solamente “negri, selvaggi, che non avevano idea delle più belle sensazioni che si ottengono tra le persone civilizzate”. Ma nei villaggi di questi “supposti selvaggi”, come li chiama Newton, si poteva dimorare in case prive di porte, senza temere di essere derubati, cosa che in Europa sarebbe stata impossibile. “E per quanto riguarda le donne ho visto tanti casi di modestia e persino di delicatezza, che non avrebbero disonorato una donna inglese”.

Ma per i trafficanti erano solo articoli, merci da vendere. Si faceva della malvagità motivo di vanto.  Eppure i “barbari selvaggi” erano loro. Barbari selvaggi erano considerati gli Sherbro, che Newton, invece, cerca di descrivere come popolazioni quasi idilliache. Società prive di uomini troppo potenti o dotati di eccessive proprietà, riunite attorno a un anziano, presente in ogni villaggio, la cui autorità è data dagli anni, dall’esperienza; un anziano che viveva quasi nelle stesse condizioni del resto della popolazione; mentre un’istituzione che stava al di sopra delle varie comunità, detta Purrow, esercitava i poteri legislativo ed esecutivo, e controllava un corpo di polizia “non disprezzabile”.

Insomma, Newton presenta una popolazione quasi idilliaca, che, pur praticando un po’ la schiavitù, anche se non con i modi “eccessivi” degli europei, conosce a mala pena la violenza (topos non raro nelle descrizioni sulle popolazioni di “buoni selvaggi”), mettendola implicitamente a paragone con i governi che appoggiano lo schiavismo, i governi coloniali. Una popolazione non perfetta, non utopica, ma non disprezzabile e più “civile” di quanto si pensi. Sono questi gli Sherbro, i cosiddetti “selvaggi”, che ci presenta Newton. “Selvaggi” dai quali i governi civilizzati, e in special modo l’imperfetto mondo inglese, avrebbero potuto imparare qualcosa.

Mappa della Tratta degli schiavi (1500-1900) – immagine di KuroNekoNiyah – licenza CC BY-SA 4.0 via Wikipedia

Ma, purtroppo, furono proprio le popolazioni “civili” a corrompere gli Sherbro e le altre popolazioni africane, mediante la Tratta, la compravendita di merci e schiavi. Il forte desiderio di beni europei ha contribuito ad alimentare le già presenti guerre tra nativi e la costante ricerca di schiavi da vendere ai mercanti. Sono gli Europei ad avere la responsabilità dei massacri che avvengono all’interno del continente. “In verità credo che la maggior parte delle guerre, in Africa, cesserebbe; se gli europei smettessero di tentarli, offrendo beni per gli schiavi”. In un certo senso pone gli Europei al di sopra degli Africani, che considera assuefatti dai beni portati dalle navi mercantili. Sono gli europei, nel pensiero di Newton, a doversi rendere conto di ciò che hanno fatto e continuano a fare, e abbandonare il loro malvagio ruolo nello sterminio che avveniva nel cuore del continente africano, nell’Oceano e nelle piantagioni americane.

Col passare del tempo la tratta diveniva sempre più invisa a molti. Nel 1787 verrà fondata a Londra la Società per l’abolizione della Tratta degli schiavi, la quale si attivò producendo opuscoli e volantini di condanna, tenendo discorsi e azioni di boicottaggio dello zucchero. Nel 1807, prima della morte di Newton, il Parlamento inglese approverà l’Abolition of the Slave Trade Act, un importante passo avanti nell’abolizionismo, che rese illegale il commercio di schiavi, anche se non ancora la schiavitù stessa.

“Non sono un uomo e un fratello?” medaglione creato come parte della campagna contro la schiavitù da Josiah Wedgwood , 1787 – immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Pubblicato

in

da