Johann Trollmann: l’Eroico Pugile Sinti che sfidò il Nazismo

Per una sola brevissima settimana, un giovane uomo sinti, Johann Wilhelm Trollmann, riesce ad averla vinta sul valore fondante del nazismo, il razzismo.

Quel bel ragazzo bruno, dall’aspetto non certamente ariano, nasce in Germania il 27 dicembre 1907, ed è quindi a tutti gli effetti tedesco, come tutta la sua numerosa famiglia (è il sesto di nove fratelli). Prima che la Germania precipiti nell’orrore, fa in tempo a diventare una promessa della boxe nazionale e a vincere il titolo di Campione della Germania del Nord.

Johann Wilhelm Trollmann

Già nel 1928 (anche durante l’Impero e la Repubblica di Weimar le popolazioni romaní erano discriminate) però incontra il primo ostacolo: viene escluso, per decisione del Comitato Tecnico, dalla squadra tedesca che avrebbe partecipato alle Olimpiadi di Amsterdam. D’altronde, come poteva uno zingaro dai riccioli neri e dalla carnagione olivastra rappresentare la Germania (non ancora nazista) in una competizione internazionale tanto prestigiosa?

Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:

Il pretesto, perché questo era, è lo stile stravagante e personalissimo di Trollmann: fino ad allora non si era mai visto un pugile che sul ring sembrava danzare al ritmo di una musica immaginaria, anziché mostrare muscoli e potenza alla moda tedesca. Quanto fosse avanti Trollmann nel suo modo di boxare lo dice il fatto che il suo stile sarà poi paragonato a quello del fuoriclasse assoluto, Muhammad Ali.

Comunque lui non si lascia intimorire, nonostante la stampa, con l’avvento del regime nazista, lo chiami spregiativamente Gipsy, zingaro. Soprannome che lui poi ostenterà, modificato in Gibsy, sui pantaloncini indossati durante gli incontri.

Per la sua gente invece, come per i tanti ammiratori che lo sostengono, lui è Rukeli, “albero” in lingua sinti, per via del suo corpo muscoloso e di quei riccioli neri che fanno impazzire molte donne.

Trollmann dunque non si arrende, e nel 1929 riesce a diventare pugile professionista nelle categorie dei pesi medi e mediomassimi.

Il 1930 è l’anno dei trionfi, con tredici incontri consecutivi vinti in Germania; Rukeli sembra inarrestabile: nel 1932 colleziona quattordici vittorie su diciannove incontri, ma ormai il mondo della boxe è inesorabilmente occupato dall’ideologia nazista. Lo sport cambia nome e diventa Deutscher Faustkampf, pugilato tedesco, mentre gli atleti non “ariani” vengono presto emarginati.

Qualcuno consiglia a Trollmann di emigrare negli Stati Uniti, dove è pronto ad accoglierlo una leggenda della boxe tedesca, Max Schmeling, andato oltreoceano nel 1928.

Max Schmeling

Lui però non si fa intimorire da quei funesti segnali, e non si rassegna a lasciare la Germania: la sua vita è ad Hannover, con la famiglia, e lo trattengono anche il dolce sorriso e gli occhi luminosi della giovane Olga Frieda Bilda, l’unica tra tante pretendenti che gli ha rapito il cuore.

Una scelta diversa la fa il campione tedesco dei pesi medi (nel 1931) e mediomassimi (nel 1933), Erich Seelig, che è ebreo, e per questo privato dei suoi titoli. Non solo: gli piovono addosso insulti e minacce di morte se avesse osato salire nuovamente sul ring. Seelig decide quindi di lasciare la Germania per la più accogliente Francia, poi si sposta a Londra e infine approda negli Stati Uniti, dove continua la sua carriera di pugile tra il 1935 e il 1940. Cucita ai pantaloncini ostenta una stella di David.

Erich Seelig

Immagine via Wikipedia – Giusto uso

Il titolo dei mediomassimi deve dunque essere assegnato: l’incontro è fissato per il 9 giugno del 1933, in una storica birreria di Berlino chiamata Bock Brewery. A contendersi la cintura di campione ci sono Trollmann, lo zingaro, e l’arianissimo Adolf Witt.

A tifare per Witt ci sono decine di gerarchi nazisti, tra i quali spicca Georg Radamm, presidente della federazione di pugilato. D’altronde la boxe è lo sport preferito dallo stesso Hitler, che nel suo Mein Kampf scrive:

“Se la nostra classe intellettuale non avesse ricevuto un’educazione così raffinata, e avesse imparato la boxe, si sarebbe impedito ai lenoni, ai disertori e a una tale gentaglia di fare una rivoluzione in Germania.”

La vittoria di Witt sembra scontata (i giudici di gara sono di fede nazista): il biondo pugile è una roccia, che non si sposta dal centro del ring e scarica raffiche di pugni su Trollmann, che inizialmente sembra in difficoltà. Poi, tutta la classe, la leggerezza e lo stile da “ballerino” dello zingaro hanno la meglio sulla forza di Witt.

Quel combattimento, dove Witt sta via via avendo la peggio, non è certo una prova di Deutscher Faustkampf, di pugilato tedesco, così Radamm, che non può accettare una sconfitta dell’ariano per mano dello zingaro, induce i giudici ad emettere un verdetto di “nessuna decisione”:

Non c’è nessun vincitore e quindi nemmeno uno sconfitto

Inaspettatamente però, tutti i veri amanti della boxe che assistono all’incontro non tollerano quella palese ingiustizia. Si scatena il caos: in un’aria densa dell’acre odore di birra e sudore, la folla di spettatori reclama per Trollmann il meritato titolo.

Lui, Rukeli, sfinito ed emozionato, indossa la cintura di campione e piange

Piange forse di commozione e gioia, o forse di rabbia e frustrazione. Poco importa: quelle lacrime diventeranno ancora più amare a una settimana di distanza, quando la Federazione di Boxe invalida il verdetto, perché metteva “in imbarazzo il pugilato professionistico tedesco”, per il “comportamento inadeguato” di Trollmann:

Come può un vero pugile tedesco piangere, e per giunta in pubblico?

Trollmann ha 26 anni ed è, nonostante il razzismo dei nazisti, un campione. Ha assaporato la soddisfazione di vincere non solo contro un avversario, ma contro l’intero regime, grazie al sostegno di un pubblico davvero “sportivo”, che ha visto in lui non lo zingaro, ma il pugile migliore.

Purtroppo, quel momento è l’apice della sua carriera, poi tutto cambia: i dirigenti sportivi del Terzo Reich (e non solo nella boxe, ovviamente) non possono tollerare che persone di “razze inferiori” diventino celebrità amate dai tedeschi.

Per annichilire umanamente e agonisticamente Trollmann, la Federazione gli propone, a distanza di un mese e mezzo, un nuovo incontro valido per il titolo. L’avversario è Gustav Eder – più piccolo e leggero di lui – che deve a tutti i costi, malgrado lo svantaggio fisico, umiliarlo con una vittoria schiacciante, a dimostrazione della superiorità della razza ariana. Per ottenere un simile risultato, la Federazione impone a Trollmann di combattere “da tedesco”; vietati dunque i balletti sul ring, le schivate e il gioco di gambe: bisogna rimanere al centro del quadrato a massacrarsi di pugni. Se avesse contravvenuto a queste imposizioni, le autorità sportive gli avrebbero revocato la licenza.

In pratica un incontro farsa, al quale Rukeli si sottomette, ma che affronta a modo suo: si presenta sul ring con il viso e il corpo cosparso di farina bianca, mentre i suoi riccioli neri sono diventati biondi. Lo Zingaro assume grottescamente l’aspetto di un ariano, e incassa senza praticamente reagire i pugni di Eder, fino a che, al 5° round, finisce KO. Ha fatto ciò che i nazisti volevano, ha perso, ma nemmeno questo è sufficiente: nel 1934 gli revocano definitivamente la licenza.

Ma non è che l’inizio. La Germania è ormai preda del furore sulla purezza della razza, e i romaní (rom e sinti) sono considerati “pericolosi” a prescindere. Prima della pianificazione dello sterminio, la persecuzione nei loro confronti si attua con la reclusione in campi di lavoro e con la sterilizzazione forzata (pratica purtroppo adottata anche in paesi “democratici”, ancora per molti decenni a venire).

Johann, che nel 1935 ha la gioia di veder nascere la sua bambina, chiamata Rita, e di sposare la giovane Olga Bilda, non sfugge al destino comune.

La discesa all’inferno inizia con la necessità economica di prestarsi a incontri clandestini nelle fiere di paese, poi è costretto dal governo del Reich a un lavoro forzato come spalatore di carbone, finché non si nasconde fra i boschi per sfuggire alla sterilizzazione. Quando però tutta la sua famiglia viene minacciata dalla Gestapo, accetta di sottoporsi a vasectomia. Ormai Trollmann ha ben chiaro qual è il futuro della Germania, e per proteggere moglie e figlia dall’accusa di “insulto alla razza”, divorzia: Olga e Rita, con un nuovo cognome, non rischiano la deportazione.

Non degno di generare figli né di combattere su un ring, Trollmann viene però ritenuto idoneo a combattere per la Germania. Nel 1939 la Wehrmacht lo arruola e lo spedisce prima nella Francia occupata e poi sul fronte orientale. Nel 1941, ferito a una spalla, riceve le cure mediche necessarie a Berlino, solo per essere arrestato e deportato al campo di concentramento di Neuengamme.

Internati al lavoro nel campo di concentramento di Neuengamme

Lì è il prigioniero numero 9841, solo l’ombra del solido “Albero” che era stato: arriva a pesare 40 chili, ma è comunque riconoscibile, tanto che le guardie lo obbligano a combattere ogni sera. Ma è solo quando viene trasferito nel campo satellite di Wittenberge che Trollmann va incontro al suo destino, con il suo ultimo combattimento.

Ha la sventura di incrociare un ex pugile dilettante, tale Emil Cornelius, delinquente abituale elevato al rango di Kapò, che lo riconosce e non vuole perdere l’occasione di vincere contro un campione.

Rukeli è stanco, emaciato, ma evidentemente non domo: potrebbe perdere quell’incontro come già aveva fatto con Eder e in altre occasioni successive, incassare qualche colpo e andare al tappeto per compiacere l’orgoglio del kapò. Ma quella volta, chissà cosa gli passa per la mente. Forse rivive tutte le umiliazioni subite, forse è semplicemente stanco di quella non-vita dalla quale non vede via d’uscita, e decide di rialzare la testa un’ultima volta:

Manda al tappeto Cornelius alla seconda ripresa

Quella vittoria ha un prezzo, la sua stessa vita: Cornelius non digerisce l’affronto e il giorno dopo lo ammazza a colpi di badile, arrivandogli alle spalle, da misero vigliacco.

E’ un freddo giorno di marzo del 1944, e Johann “Rukeli” Trollmann ha solo 36 anni.

L’epilogo dell’avventura umana del pugile sinti è noto solo grazie a un prigioniero, testimone oculare dell’omicidio, sopravvissuto all’internamento, che ha raccontato quella storia altrimenti dimenticata come cenere nel vento.

Pietre d’inciampo dedicata a Johann Trollmann e al fratello Heinrich, morto ad Auschwitz

Immagine via Wikipedia – licenza CC0

Di Trollmann, campione di dignità oltre che di boxe, resta la sua grande lezione: ha avuto il coraggio di irridere il nazismo tingendosi i capelli di biondo e infarinandosi il corpo, il coraggio di perdere tutto per salvare la sua famiglia, il coraggio di andare incontro al suo destino con un ultimo moto di orgoglio.

Lui, Johann Trollmann, soprannominato lo Zingaro dai nazisti, ha perso la vita ma ha vinto sulla barbarie del nazismo

Nonostante il suo eroismo e le azioni di de-nazificazione degli anni ’40, soltanto nel 2003 la federazione pugilistica della Germania decide di ridare ufficialmente a Trollmann il titolo di campione dei medio-massimi, che gli era stato tolto nel 1933.

Monumento dedicato a Trollmann – Berlino

Immagine di VonRibbeck via Wikipedia – licenza CC BY-SA 3.0

Meno conosciuto dell’olocausto degli ebrei, lo sterminio delle popolazioni romaní ha un nome altrettanto terribile: porajamos, “grande divoramento”. Sono in pochi a saperlo e ancor meno che lo ricordano, ma la persecuzione di queste persone ha portato alla morte circa 500.000 persone. Mezzo milioni di esseri umani che, a differenza dell’eroico quanto sfortunato Johann Trollman, hanno visto davvero sparire il proprio nome fra le pieghe della storia. Scomparsi, come lacrime nella pioggia.

Annalisa Lo Monaco

Lettrice compulsiva e blogger “per caso”: ho iniziato a scrivere di fatti che da sempre mi appassionano quasi per scommessa, per trasmettere una sana curiosità verso tempi, luoghi, persone e vicende lontane (e non) che possono avere molto da insegnare.