Jean-Jacques Rousseau: il grande pedagogo che abbandonò tutti i suoi 5 figli alla Carità pubblica

La mattina del 2 luglio 1778 muore improvvisamente, a 66 anni, il filosofo Jean-Jacques Rousseau. Da appena due mesi aveva trovato il suo buen-retiro a Ermenonville (poco distante da Parigi), nella tenuta del marchese René-Louis de Girardin, che molto apprezzava il suo lavoro. E’ uno dei pochi amici e ammiratori rimasti vicino al filosofo, che da tempo dava sempre più frequenti segni di manie di persecuzione.

Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:

Rousseau a Ermenonville – Ritratto di Georges-Frédéric Meyer

Immagine di pubblico dominio

C’è con lui la sua compagna, Thérèse Levasseur, ed è fra le sue braccia, al ritorno da una passeggiata nel parco, che esala l’ultimo respiro.

Lei è l’unica presenza costante nella vita di Rousseau, che perde per strada amici, parenti, protettori e protettrici/amanti. Thérèse invece gli rimane al fianco per quarant’anni, anche se lui si decide a sposarla solo nel 1768. In realtà è un matrimonio di nessun valore, perché la loro è una cerimonia “di fronte alla natura”, senza la presenza di nessuna autorità, né religiosa né civile.

Incisione del 1783 raffigurante Rousseau e Marie-Thérèse Levasseur nel 1778

Quell’unione dura da lungo tempo, nonostante i due abbiano poco in comune: lui è filosofo, pedagogo, musicista, scrittore mentre lei, anche se non del tutto analfabeta, riesce a malapena a leggere ma non a far di conto, né a ricordare l’ordine dei mesi dell’anno, e nemmeno a distinguere le ore in un orologio. Rousseau, il grande pedagogo (più nella teoria che nella pratica) non riesce a insegnare nulla a Thérèse, nemmeno le nozioni di base di un’educazione scolastica.

O forse gli fa comodo avere vicino una donna illetterata e totalmente remissiva, per riposarsi dai faticosi rapporti con altre donne di livello culturale più elevato, ma assai complicate e non certo accondiscendenti come Thérèse?

Può essere, perché la remissività della donna raggiunge livelli che oggi fatichiamo a comprendere: Rousseau decide di abbandonare alla carità pubblica i loro cinque figli, arrivati uno dopo l’altro quando la loro situazione economica non era facile, o per lo meno non consentiva di provvedere a un’adeguata educazione dei bambini.

Jean-Jacques Rousseau – ritratto di Maurice Quentin de La Tour (1750/53 circa)

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Succedeva spesso nella Parigi dell’epoca e Rousseau trova il modo di giustificarsi con se stesso:

Dacché questo è l’uso del paese, quando vi si vive, ci si può conformare

E se Thérèse aveva opposto resistenza con il primo figlio, con il secondo non ne trova la forza: “L’anno successivo, stesso inconveniente e stesso espediente. Nessuna riflessione in più da parte mia, nessuna approvazione in più da parte della madre: ella obbedì piangendo.”

E così a seguire per gli altri tre, malgrado qualche rigurgito di coscienza espresso molto dopo nelle sue Confessioni. Sembra quasi che quell’argomento sia affrontato più per trovare agli occhi dei lettori una valida giustificazione del suo comportamento, così in antitesi con il suo insegnamento, piuttosto che a un sincero rimorso.

La vicenda del suo abbandono dei figli è ben nota a Parigi e il filosofo Voltaire – con il quale ha già avuto parecchi scontri (e non solo con lui, del resto) – che considera Rousseau “il giuda della confraternita” (dei filosofi), lo attacca pesantemente nel 1764 senza però nominarlo: “Riconosciamo con dolore e rossore che v’è un uomo che porta ancora su di sé il marchio funesto delle sue gozzoviglie e che, travestito da saltimbanco, trascina con sé di villaggio in villaggio e di montagna in montagna l’infelice donna di cui ha fatto morire la madre e di cui ha esposto i figli alla porta di un ospizio”.

Quell’accusa di essere un padre venuto meno ai suoi doveri di educatore non può passare sotto silenzio, e il filosofo riporta i suoi tormenti interiori nelle Confessioni, per “dire tutto”, ovvero la sua versione di quei fatti che forse non avrebbe confessato se fossero rimasti sconosciuti.

Ma sul dolore della madre dei bambini nulla, se non quel “ella obbedì piangendo”. Therese è solo un’ombra che si muove alle spalle del grande uomo, senza mai assumere contorni propri.

Di lei sappiamo che ha 24 anni quando incontra Rousseau, nel 1745, mentre lui ne ha 33.
Il filosofo ne fa un ritratto pietoso, di povera ragazza costretta a mantenere la sua numerosa e sfacciata famiglia con il lavoro di cameriera e lavandaia in una pensione del Quartiere Latino di Parigi. E’ lì che si incontrano e subito Rousseau si mostra paladino dei deboli, difendendo la ragazza, timida e ingenua, dalle prese in giro degli avventori.

Lui fa qualche avances, lei tentenna, forse intimorita dal quel parlare forbito che fatica a comprendere e lui immagina che dietro quella ritrosia si nasconda una qualche inconfessabile malattia. Poi tutto si risolve e quell’unione così improbabile durerà per tutta per la vita, anche se lui avrà altre relazioni (burrascose e spesso legate a rapporti di convenienza), perché alla fine, quella donna semianalfabeta è l’unico porto sicuro dove attraccare nei momenti di difficoltà.

Ritratto di Marie-Thérèse Levasseur nel 1791

Immagine di pubblico dominio

Quella donna, descritta come ingenua, un po’ sciocca, in balia della famiglia d’origine che la sfrutta, è, tra i due, la sola ad avere doti pratiche. Ed è tra le sue braccia che muore l’inquieto Rousseau, là nella tenuta del marchese René-Louis de Girardin, dove sarà sepolto, per sua volontà, sull’isola dei Pioppi, in mezzo a uno stagno (nel 1794 i suoi resti saranno trasferiti al Pantheon di Parigi, vicino a quelli del nemico Voltaire).

Lo Stagno e l’isola dei Pioppi a Ermenonville

Immagine di P.poschadel via Wikipedia – licenza CC BY-SA 2.0

In seguito Thérèse, erede universale di Rousseau, sposa un lacchè del marchese, che forse non è uno di stinco di santo e probabilmente la sfrutta finché lei ha qualche entrata (vendono, tra l’altro a basso prezzo, tutti i manoscritti del filosofo). La donna morirà, povera, nel 1801.

Ritratto di Marie-Thérèse Levasseur da anziana

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Un’immagine un po’ diversa di Thérèse la fornisce G. Lenotre, meticoloso ricercatore della storia della Rivoluzione Francese, che scriveva i suoi testi usando solo fonti primarie (documenti d’archivio, lettere etc.).

Nel suo Vieilles maisons, vieux papiers del 1930, scrive: “[…] non è mai stata in grado di ricordare i nomi dei mesi o di vedere l’ora su un quadrante. È stupida, ha del genio: è lei che domina. (…) Attraverso i suoi pettegolezzi, lo confonde nei riguardi degli altri, crea pericoli immaginari per lui, lo porta in uno stato di ansia. Lui ha fede solo in lei; solo lei sventa i trucchi dei suoi nemici. Eppure nei suoi momenti di lucidità, discerne che questa donna è la piaga della sua vita.”

Alla fine, l’unica cosa certa è che Thérèse ci è nota solo attraverso le parole di uomini, ma come fosse realmente non lo sapremo mai: rimane solo un’ombra dietro l’ingombrante figura di Jean-Jacques Rousseau.

Annalisa Lo Monaco

Lettrice compulsiva e blogger “per caso”: ho iniziato a scrivere di fatti che da sempre mi appassionano quasi per scommessa, per trasmettere una sana curiosità verso tempi, luoghi, persone e vicende lontane (e non) che possono avere molto da insegnare.