Iosif Stalin non ha certo bisogno di presentazioni: rivoluzionario, dittatore e protagonista, nel bene e nel male, della storia mondiale della prima metà del XX secolo. E’ invece sconosciuto ai più il destino del primogenito di Stalin, Jakov. I due ebbero sempre dei forti contrasti, che resero difficile la giovinezza di Jakov, e anche il resto della sua breve vita, conclusasi in un campo di concentramento nazista nel 1943.
Jakov nacque in Georgia nel 1907 dalla prima moglie di Stalin, Ekaterina, che morì di tifo pochi mesi dopo la nascita del bambino. Allevato dalle zie e dalla nonna materna, fu mandato a Mosca a vivere con il padre e la nuova moglie, quando aveva 14 anni, per ricevere un’istruzione adeguata. Il ragazzo non andò mai d’accordo con il genitore, e arrivò a tentare il suicidio dopo che Stalin si era infuriato per il suo fidanzamento con una ragazza ebrea già sposata.
Jakov si era sparato alla testa, riportando solo delle ferite, e l’unico commento del padre fu:
Non sa nemmeno sparare diritto
Jakov sposò comunque la ragazza, dopo che il marito fu ucciso dalla NKVD, e insieme ebbero due figli. Stalin decise di non aver più nessun tipo di rapporto con il primogenito, che definì “teppista e ricattatore”. Durante la seconda guerra mondiale Jakov servì nell’Armata Rossa con il grado di tenente. Nel 1941, quando la Germania invase l’Unione Sovietica, fu catturato durante la battaglia di Smolensk.
Probabilmente qualunque altro padre avrebbe tentato qualsiasi strada per liberare il figlio, ma non Iosif Stalin. Il dittatore non accettò l’offerta dei tedeschi, che volevano scambiare Yakov con un importante Feldmaresciallo, o forse con il nipote di Hitler, lasciando il figlio al proprio destino. Pare che Stalin abbia affermato di non poter concludere uno scambio tra un generale e un tenente, e anche che il suo non era diverso dai “milioni di figli” fatti prigionieri dai tedeschi.
In realtà Stalin era convinto che Jakov non fosse stato catturato, ma che si fosse arreso al nemico su suggerimento della moglie, poi imprigionata dal suocero con questa accusa. Per salvaguardare la propria immagine, il dittatore rese pubblica la versione della cattura, perché in Unione Sovietica la resa era considerata equivalente ad un tradimento. Alla fine della guerra, migliaia di prigionieri di guerra sovietici, ritornati in patria, furono mandati in Siberia a scontare lunghe pene, se non giustiziati per tradimento, proprio per il sospetto che si fossero arresi al nemico.
In ogni caso, Jakov finì in un campo di concentramento tedesco, e i nazisti sfruttarono a fini di propaganda la sua prigionia. Lanciarono migliaia di volantini, diretti ai soldati sovietici, che recitavano: ”Non versare il tuo sangue per Stalin! Suo figlio si è arreso! Se il figlio di Stalin ha salvato se stesso, allora tu non sei obbligato a sacrificare te stesso!”.
Sulla morte del primogenito di Stalin non è mai stata fatta chiarezza: secondo alcune versioni perì contro il recinto elettrificato del campo di concentramento di Sachsenhausen, durante un tentativo di fuga; secondo altre fu ucciso da una guardia nazista per aver disobbedito ad un ordine: mentre Yakov camminava nel campo, una guardia gli intimò di rientrare nelle baracche, e al suo rifiuto gli avrebbe sparato in testa.
Esiste anche un’altra versione, che attribuisce la morte di Jakov, lanciatosi contro il recinto elettrificato del campo, ad un suicidio, come estremo gesto di protesta, dovuto ai forti dissapori con i compagni di prigionia britannici, che lo incolpavano di lasciare sempre le latrine sporche. Si potrebbe pensare che sia un futile motivo per un suicidio, in mezzo agli orrori della guerra e dei campi di sterminio.
Non é di questo avviso lo scrittore Milan Kundera, che nel suo libro “L’insostenibile leggerezza dell’essere” scrive:
“Il figlio di Stalin ha dato la sua vita per della merda. Ma morire per della merda non vuol dire morire senza un senso. I tedeschi che sacrificarono la loro vita per estendere più a oriente i territori del Reich, i russi che morirono perché la potenza del loro paese arrivasse più a occidente, loro sì che morirono per qualcosa di stupido e la loro morte è priva di senso e di validità generale. La morte del figlio di Stalin invece fu, nella generale stupidità della guerra, la sola morte metafisica”.