Il mio viaggio verso l’Area di Alienazione parte quasi per caso, dopo che mia madre una sera mi disse “Hai visto che “I Luoghi dell’Abbandono” organizza un tour guidato a Chernobyl?“. Senza spendere un minuto di più a pensarci, il giorno successivo, avevo già il volo prenotato.
1° Giorno
Arrivati a Kiev abbiamo trovato il nostro accompagnatore italiano Michele, la nostra guida locale Ivan (nome di fantasia, in quanto lui opera anche come stalker e, per questioni di sicurezza personale mi ha chiesto di non condividere foto dove lo ritraevo, né il suo nome) e, la nostra traduttrice Katerina. Il nostro gruppo era formato da 17 partecipanti, più le guide, l’interprete e gli autisti, ma per questioni burocratiche dell’Area di Alienazione siamo entrati con un pulmino dalle dimensioni ridotte, per evitare ulteriori controlli.
L’Area di Alienazione è suddivisa in zone, i cui punti di accesso sono costantemente monitorati dalla polizia locale. Al primo posto di blocco abbiamo dovuto esibire i passaporti e, ci hanno consegnato un visto che ci permetteva di entrare ed uscire dall’area. Purtroppo, data la pericolosità della zona, le autorità hanno iniziato ad intensificare i controlli e, ci hanno controllato i bagagli per accertare che non avessimo droni con noi. Potete immaginare la gioia del nostro autista Vladimir, che ha dovuto scaricare e ri-caricare tutte le valigie.
Posto di blocco, accesso all’Area di Alienazione
Visto di entrata
Passato il posto di blocco, ci sono due chioschi, gestiti da “Chernobyl Tour”, che vendono magliette e souvenir quali maschere antigas, contatori Geiger e calamite. Il tutto è condito da un’inquietante musica swing, per i più nerd, vi assicuro che vi troverete immersi in un’atmosfera alla Fallout impagabile. Troverete anche un paio di cani, dei quali non c’è da temere nulla, non disdegneranno una carezza e un biscotto.
Chiosco
Cane
La prima giornata l’abbiamo passata quasi tutta viaggiando, per andare in un remoto villaggio chiamato Kupovatoje dove vivono alcuni Samosely.
Dopo l’incidente alla centrale, venne evacuata tutta l’Area di Alienazione a causa della pericolosità delle radiazioni, ma molti abitanti non riuscirono ad abituarsi alla vita di una metropoli come Kiev, i bambini venivano discriminati e venivano chiamati “i porci di Pry’pjat”, quindi decisero di tornare ad abitare nella Zona Rossa. Questo per loro comportò la rinuncia di ogni sussidio da parte dello stato, niente medicine, nessuna sovvenzione, niente pensione. Noi, nel nostro piccolo, con il nostro viaggio, abbiamo contribuito al sostentamento di alcune babushke (vecchiette) che vivono a Kupovatoje.
Arrivati a Kupovatoje siamo andati a visitare babushka Sofia e babushka Nina. Qui abbiamo trovato Devis, il presidente dell’associazione “I Luoghi dell’Abbandono”, che aveva appena finito di consegnare dei vestiti che sono stati portati per gli abitanti del villaggio, circa 46 chilogrammi in tutto.
Babushka Nina
Babushka Sofia
Babushka Sofia e babushka Nina ci hanno fatto trovare una tavola imbandita con verdure coltivate da loro, prosciutto, ali di pollo, mele cotte, vino e vodka fatti in casa. Il calore di quella casa immersa nel gelo, gli abbracci delle due babushke, e l’amore che hanno messo nell’offrirci tutto quello che avevano, mi hanno fatto capire ancora di più quanto la vita sia preziosa.
Tavola imbandita
Purtroppo il buio fa presto a calare e, verso le 17, abbiamo dovuto avviarci al nostro albergo situato a Chernobyl. Albergo pulito e accogliente, nonostante le inferriate a balconi, porte e finestre. Questo perché nell’Area di Alienazione, c’è il coprifuoco alle 22. Dopo quell’ora, non solo è pericoloso avventurarsi per il villaggio a causa dei lupi, ma si rischia l’arresto da parte della polizia.
La cena è alle 19, composta da riso con carne e verdure, un’insalatina di cavolo e dolce. L’acqua va chiesta, perché è usanza in quei luoghi bere una sorta di “the” ottenuto facendo bollire della frutta, dal colore rossastro e poco dolce. Per chi è abituato a mandare in crisi i ristoranti all-you-can-eat, suggerisco di comprare pane e salsiccia per poche grivnie all’emporio vicino all’albergo, per tamponare un po’ la fame fino alla colazione.
Cena
Dopo un lungo viaggio, l’intero gruppo si assopisce alle 21.
2° Giorno
La sveglia è alle 8 e abbiamo iniziato la giornata con una bella colazione a base di tre uova fritte, burro e una strana frittella dalle dubbie generalità, da guarnire con la panna acida.
Colazione
La giornata è iniziata con la visita a uno degli asili.
La città di Pry’pjat aveva 15 asili, uno per ogni quartiere e 8 scuole, questo perché era una città estremamente giovane, l’età media era di 27 anni, quindi vi era un gran numero di bambini tra i 50.000 abitanti.
Come inizio ha pesato sul cuore, perché in ogni tragedia viene immediato pensare agli innocenti, ovvero i bambini. Qui il tempo si è fermato, si è fermato nel momento in cui tutti i bambini sono stati fatti evacuare e loro non sapevano perché, non sapevano cosa stesse succedendo nel mondo intorno a loro, ma per qualche bambina la cosa più importante in quel momento è stato mettere a dormire la propria bambola e, la cosa più dolorosa pensare che non sarebbe potuta tornare a svegliarla.
Ovunque si posi lo sguardo si vedono scarpine, quaderni e giocattoli, coperti da polvere radioattiva e dal tempo trascorso. Qualcuno ha accatastato i lettini in una sola stanza.
Bambola
Sedia con scarpina
Lettini
La tappa seguente è stata il negozio del parrucchiere.
L’odore di dopobarba è stato sostituito da quello dell’umidità, ma qui si può respirare più facilmente perché la maggior parte dei vetri è stata rotta. E’ facile immaginare su quella sedia un uomo con i baffi intento a farsi curare la barba mentre parla con il suo barbiere del più e del meno, mentre armeggia con le boccette ancora presenti sul tavolino da lavoro. C’è ancora un bigodino a terra, mi chiedo che acconciature fossero in voga all’epoca.
Sedia del barbiere
Ci dirigiamo in uno dei luoghi cardine di Pry’pjat: l’ospedale. Aveva 385 posti letto, veniva utilizzato più come luogo di transito, per poi spostare i pazienti nei sanatori intorno alla città.
Ospedale da fuori
Questo è il luogo dove hanno portato i pompieri che hanno prestato servizio per spegnere l’incendio alla centrale nelle prime ore del disastro. Si può riscontrare un alto livello di radioattività nei piani più bassi perché nei sotterranei furono ammassate le loro divise dopo il ricovero. Siamo partiti dal piano più alto, per poi scendere e passare meno tempo possibile nella hall e all’accettazione.
Ultimo piano
Ovunque si possono ancora vedere oggetti del mestiere. Nello studio dell’infermiera ci sono ancora delle boccette, una siringa, delle forbici per garze. La sala operatoria è ancora perfettamente riconoscibile. Nel reparto maternità, dove ci sono ancora molte culle, viene spontaneo fermarsi a pensare a tutti i bambini che sarebbero potuti nascere per dare nuova linfa alla città.
Studio infermiera
Boccette
Culle
Dall’ospedale siamo andati alla scuola.
In Ucraina, dopo l’asilo, dalle elementari alle superiori si studia nella stessa struttura, per poi scegliere se proseguire con l’università.
E’ normale vedere tante maschere antigas nei luoghi pubblici, come nelle scuole, perché in tutta l’U.R.S.S. c’era la paura di un attacco chimico da parte del nemico, ovvero l’America, in quanto era ancora il periodo della Guerra Fredda. All’asilo si facevano giocare le bambine con le maschere antigas, dalle elementari, invece, un’ora la settimana si insegnava ai bambini come utilizzarla e come agire in caso di attacco. In ogni edificio era prevista una maschera a persona. Era normale averla anche nel comodino, vicino al letto.
Questa scuola è crollata poco dopo l’evacuazione, a causa di una cattiva costruzione.
Campanella appoggiata alle maschere
Scuola crollata
Sedie e banchi
Il porto presenta una “meraviglia tecnologica” dell’epoca, ovvero un distributore automatico di acqua gassata. I bicchieri usa e getta non esistevano ancora, si utilizzava un singolo bicchiere di plastica per chiunque volesse bere.
Fronte del porto
Distributore
Bicchiere
Si possono ancora ammirare le bellissime vetrate, nonostante l’erosione del tempo.
Vetrata 1
Vetrata 2
I fans dei Pink Floyd sicuramente riconosceranno queste location dal videoclip “Marooned”:
Il murales nell’ufficio postale
Piscina 1
Piscina 2
Piscina 3
Una delle 8 scuole di Pry’pjat
Questa scuola è famosa perché è quella con il maggior numero di maschere antigas e giochi al suo interno, ma purtroppo i predoni non risparmiano nulla e, con il tempo, anche questo santuario si sta svuotando.
Maschere
Maschera singola
Cartellone che compare al min. 4:50 del videoclip di Marooned dei Pink Floyd:
Sotto, il video in cui compare il cartello:
E questa è l’esatta aula, quella di chimica, in cui il protagonista del videoclip, siede ad un banco a scrivere.
Aula di Chimica
Banco dove sedeva il protagonista del clip
Di seguito siamo andati al negozio di pianoforti e al negozio di televisori, di cui non vi è particolare documentazione online, ma che sicuramente meritano una visita.
Pianoforte 1
Pianoforte 2
TV 1
TV 2
___Consiglio ai più sensibili di saltare questa sezione.___
In cima ad un condominio di Pry’pjat, dopo 18 piani di scale, si trova uno dei reperti più importanti della storia della città. Le guide locali non ci portano volentieri i visitatori, per preservarlo dagli sciacalli.
Carcassa del Cane 1
Carcassa 2
Lui è l’ultimo abitante di Pry’pjat. Quando la città fu evacuata, 50.000 abitanti in 12 ore, venne detto loro che entro tre giorni sarebbero di nuovo tornati a casa, quindi oltre che essere obbligati a prendere lo stretto indispensabile, furono obbligati a lasciare indietro i loro animali domestici. Quindi anche lui rimase indietro. In seguito, ci fu la grande purga degli animali e, tutti i cani e gatti vennero uccisi per questioni di sicurezza, dato che il loro pelo tratteneva maggiormente le radiazioni. Nonostante ciò sopravvisse alla grande purga e rimase ad aspettare il suo padrone, finché la morte per fame non è sopraggiunta. Oggi è una cosa inconcepibile, ma in un paese sotto regime comunista, dove lo stato “sapeva ciò che era giusto per i cittadini” e, la propaganda faceva il suo lavoro, nessuno avrebbe mai pensato di agire fuori dal coro.
Le leggende a Pry’pjat si mischiano spesso con la realtà, ma in mezzo a tanto dolore è quasi rassicurante trovare del buono.
L’ultima tappa della giornata è la fabbrica Jupiter, che sulla carta era una fabbrica di elettrodomestici, considerati anche piuttosto all’avanguardia, ma che in realtà era una fabbrica di componenti per armamenti militari. Aprì nel 1980, dando lavoro a 3.500 impiegati e chiuse nel 1996, 10 anni dopo il disastro nucleare.
Tornelli
Banco da lavoro
Credenza con libri
Inutile rimarcare la nostra stanchezza serale dopo aver camminato per 12 chilometri con la neve alle caviglie. La cena, servita puntualmente alle 19, sempre con il sorriso di chi sta per essere condannato al patibolo, aveva assunto le fattezze di un banchetto luculliano. Le portate comprendevano la solita insalatina di cavolo, spezzatino con patate e torta di mele (buona, perché c’è torta di mele e torta di mele).
Dopo una doccia bollente per lavare via i residui di contaminazione, ancora una volta il silenzio cala nell’albergo alle 21.
3° Giorno
Good morning Pry’pjat! I dolori alle gambe iniziano a farsi sentire, soprattutto grazie alla scarsità tecnica del camminare tutto il giorno nella neve con i Moon Boot, che saranno super fashion, ma molto poco pratici. Nonostante questo, per camminare nella neve molto alta sono l’opzione migliore.
Oggi le matrioske – ovvero le donne che gestiscono l’albergo – per colazione ci hanno proposto una specie di frittata alta due dita, presumibilmente cotta al forno, pane con cioccolato ed il solito infuso di frutta. Purtroppo nella fretta non ho documentato con foto.
La giornata parte a gran ritmo. Per prima cosa abbiamo visitato il Laboratorio Idrobiologico, istituito dopo l’esplosione della centrale, per studiare gli effetti delle radiazioni sull’acqua e sui pesci.
Maschera
Arbanella di Pesci
Poi siamo passati alla torre di raffreddamento, uno dei luoghi più contaminati dell’Area di Alienazione e, per questo motivo, abbiamo potuto trattenerci per poco tempo.
Torre da dentro
Torre da dentro 2
Qui si può trovare una delle più belle opere artistiche di tutta Pry’pjat.
Questo murale è stato fatto sulla base di una foto di Igor Kostin, uno dei cinque fotografi designati per documentare il disastro. Non si conosce nulla del medico ritratto, e non si può immaginare cosa possano aver visto i suoi occhi.
Terminata la nostra breve visita finalmente è la volta della centrale nucleare. Purtroppo la pratica fotografica è notevolmente ridotta per questioni di sicurezza interna alla centrale.
All’arrivo siamo stati accolti da due dirigenti, Stanislav e Julia. Dopo il controllo dei passaporti e con il metal detector siamo entrati nella centrale.
Come prima tappa abbiamo visto i rifugi d’emergenza. Con cadenza regolare i dipendenti si trovano a compiere delle esercitazioni a sorpresa per essere pronti a qualsiasi evenienza. Ci sono due rifugi, quello dove siamo stati portati è il primo, costruito nel 1979. Questo rifugio è completamente autonomo: ha un generatore in caso di mancanza di elettricità, acqua per l’igiene personale e potabile (circa 3 litri a testa al giorno) e un sistema di ventilazione. Nel rifugio c’è spazio per circa 1.500 persone (attualmente alla centrale lavorano circa 2.500 persone) e, vi si può permanere per tre giorni, ma è Julia stessa ad ammettere che nessuno può resistere così tanto tempo, al massimo per poche ore.
Prima di entrare nel rifugio, ogni operaio deve essere scansionato da un apposito macchinario che rileva le contaminazioni (lo stesso presente all’entrata/uscita dell’Area di Alienazione), in caso di riscontro di radiazioni l’operaio dovrà sottoporsi a delle procedure di decontaminazione e, potrà cambiarsi d’abito. Nella centrale è sempre presente almeno un medico. Dopo l’incidente, hanno dovuto cambiare una parte del pavimento del rifugio, il resto lo hanno lasciato com’era dato che non era contaminato.
Il pavimento originale e il pavimento dopo l’incidente
Uno dei punti fermi del lavoro alla centrale è il tempo di permanenza all’interno del suo territorio, il tempo è il fattore determinante per non incorrere in gravi danni alla salute. Motivo per cui i turni sono tassativi. Dopo viene la protezione fisica, ovvero una corretta vestizione. Ogni operaio è dotato di un camice, una giacca, una cuffia, dei guanti, un contatore Geiger personale e delle scarpe apposite, ovvero gli stessi abiti di cui siamo stati dotati noi poco dopo per visitare i pannelli di controllo del reattore n.2 e n.3 e la sala delle pompe dell’acqua.
Uno dei primi dosimetri utilizzati dal personale
All’interno del rifugio c’è anche una sala riunioni d’emergenza.
Sala riunioni d’emergenza
Finita la visita all’interno del rifugio siamo stati portati in un altro blocco della centrale, dove ci hanno fatto lasciare i nostri effetti personali e ci hanno fornito le dotazioni necessarie per proseguire la visita. Dopo che ci siamo cambiati abbiamo camminato lungo quello che viene chiamato “il Corridoio d’oro” e, abbiamo visto alcuni operai al lavoro. Poi abbiamo proseguito per la plancia del reattore n.2 e la plancia del reattore n.3.
La centrale lavora ancora per automantenersi grazie al reattore n.1
Prima dell’esplosione la centrale generava moltissima elettricità, oggi ne genera poco più della sussistenza. Il progetto attuale è di importare elettricità nel futuro, ma la centrale probabilmente rimarrà aperta a tempo indefinito perché non è ammissibile che la struttura si degradi e rischi di contaminare ulteriormente le zone circostanti (e non solo).
Stanislav dice che la centrale esisterà ancora per almeno mille anni
Se gli investimenti continueranno ad arrivare, il reattore n.1 potrà essere spento nel 2064.
Operaio 1
Operaio 2
Plancia 1
Plancia 2
Alla fine del Corridoio d’oro, prima della sala delle pompe dell’acqua del reattore n.3, troviamo il memoriale per le vittime dell’incidente.
Memoriale 1
Memoriale 2
L’ultima tappa prima di andare a vedere il sarcofago dove è racchiuso il nucleo, ovvero la famosa “zampa di elefante”, è la sala delle pompe dell’acqua.
Io nella sala delle pompe dell’acqua
Ripercorrendo il corridoio d’oro, Julia e Stanislav ci ha raccontato di quella notte:
– Ci sono ancora persone che lavorano qui dopo l’incidente? Non hanno paura?
Julia: Sì molte persone lavorano qui nonostante abbiano vissuto la notte dell’incidente, ma non hanno paura. Se hai paura non devi lavorare qui. Tutto qui è fatto in modo per tutelare la sicurezza dei lavoratori.
– Ma non hanno paura che succeda di nuovo?
Julia: Quella notte, quando quegli operai sentirono il boato dell’esplosione e videro con i loro occhi cosa stava succedendo sicuramente rimasero shockati, ma non spaventati. La paura venne quando realizzarono cosa era successo e pensarono alle loro famiglie e ai loro bambini. E’ stata una tragedia e, coloro che lavoravano qui videro il reattore scoppiare sotto i loro occhi, ed allora compresero i rischi che stavano correndo, ma nessuno di loro lasciò il proprio posto di lavoro. Alcuni rifiutarono anche di essere portati in ospedale. Immaginate, hanno provato a fare qualsiasi cosa potesse salvare la situazione, hanno fatto il possibile e l’impossibile. Alcuni di loro hanno sacrificato le proprie vite, come i pompieri, i piloti di elicotteri, loro che furono i primi a morire, dei 600.000 che vennero ad aiutarci.
Stanislav: Io mi ricordo di Valerij, lavorava sotto il blocco 4 la notte dell’incidente, purtroppo il livello di radiazioni era talmente alto che non hanno mai ritrovato il suo corpo e, la famiglia non ha mai avuto una tomba su cui piangere. Oltre a Valerij sono morte altre 28 persone, ma quasi tutti sono morti in ospedale a Mosca. E fu solo l’inizio. Vennero 600.000 liquidatori da ogni angolo del paese e, più di metà di loro morì. 200.000 liquidatori sopravvissero su 600.000 e, tengono ancora viva la storia. Tutte queste persone hanno fatto un miracolo per l’intera umanità, pagando con la vita o con la loro salute.
Camminando per i vari corridoi della centrale mi guardo intorno e, mi chiedo come sia stato possibile tutto questo, eppure è successo, sto camminando nei cunicoli della storia eppure non riesco a realizzare tutto questo orrore.
Terminato il tour nella centrale, siamo tornati dove avevamo lasciato i nostri effetti personali, ci siamo spogliati dell’equipaggiamento con molta attenzione e abbiamo dovuto lavarci le mani prima con l’acqua calda, poi con l’acqua fredda, e poi di nuovo con l’acqua calda per eliminare ogni possibile contaminazione.
In seguito abbiamo raggiunto gli uffici amministrativi vicino al sarcofago che contiene il nucleo.
Eravamo a meno di 1 chilometro da uno degli elementi più pericolosi sulla faccia della Terra
Non è una sensazione che si può trasmettere con poche righe, forse non si può nemmeno spiegare.
Gruppo sul pulmino
Giunti negli uffici amministrativi, dove purtroppo non si potevano fare fotografie, ci hanno accompagnato in un piccolo edificio sovrastato dall’imponenza del sarcofago.
La costruzione del nuovo sarcofago è terminata nel 2016 ed ha migliorato sensibilmente la vita degli abitanti della zona di alienazione, è stato fatto per “sostituire” il primo sarcofago, costruito subito dopo il disastro e che era stimato non potesse resisterne per più di trent’anni, mentre quello nuovo dovrebbe resistere circa cento. Questo è stato possibile grazie al finanziamento da parte di molti paesi e grazie all’Unione Europea. L’Italia si è occupata della costruzione di quella che viene chiamata “la cornice”, ed è stata dipinta con una vernice particolare. Ad ogni modo comunque i lavori non sono ancora ultimati, siamo ancora in una fase di test generale.
Nonostante il tempo che passa, la “zampa di elefante”, che si è formata a causa del nucleo, che ha sciolto i minerali circostanti, può ancora uccidere in 300 secondi. Il progetto futuro sarebbe quello di tentare di spostare il nucleo dalla sua allocazione attuale, grazie anche al contributo delle nazioni amiche. Uno dei problemi irrisolti è la possibilità di controllare cosa stia succedendo all’interno del nucleo.
Se stesse corrodendo il suolo e arrivasse alle falde acquifere sarebbe una seconda catastrofe
Ad ogni modo, nonostante il nuovo sarcofago sia una meraviglia tecnologica, non è un luogo di lavoro dove si possa trascorrere molto tempo per trovare soluzioni, rimane un luogo dove il rischio di contaminazione è molto alto. Il prossimo passo sarà smontare il sarcofago interno, in modo da eliminare il materiale combustibile rimasto, ma l’Ucraina non ha ancora un piano al riguardo e non è ancora stato deciso dove stoccare tale materiale.
Il sarcofago
Terminata la visita alla centrale nucleare ci siamo diretti nel sito di Chernobyl 2.
Chernobyl 2 nacque come villaggio per tutti coloro che lavoravano nella base militare segreta Duga. Il villaggio era come una Pry’pjat in miniatura: c’era un asilo, una scuola, una palestra, un cinema e un albergo per coloro che venivano a trovare i residenti.
Porte di Chernobyl
Pupazzo asilo
Armadietti della scuola
Campo da Basket
Albergo
Nella scuola c’è un’aula quasi completamente vuota, c’è solo un banco, con un modellino di un cuore umano appoggiato sopra. C’è da chiedersi se non sia un segno, che magari possa tornare un po’ d’amore anche in questi posti…
Cuore
Dopo svariati chilometri a piedi siamo giunti davanti all’antenna del Duga. Purtroppo c’era una nebbia fittissima e non riuscivamo a renderci conto di quanto fosse effettivamente grande, ma allo stesso tempo la perturbazione le donava un’aura di infinito.
Io sotto al Duga
La base militare Duga era uno dei segreti dell’U.R.S.S. che alimentarono le leggende legate alla Guerra Fredda. Si dice che fosse la trasmittente di un segnale radio miliare ad onde corte che poteva essere ricevuto in tutto il mondo tra il 1967 ed il 1989, anno in cui cessò di trasmettere. Solo dopo la fine della Guerra Fredda venne ammessa la sua esistenza, ma la sua posizione venne scoperta soltanto nei primi anni 2000. Con un’altezza di 150 metri, 90 di ampiezza e 900 di lunghezza, è probabilmente la più grande antenna mai costruita dall’uomo. Nel momento di massima operatività, dava lavoro a 1.500 persone, ovvero i residenti di Chernobyl 2.
Duga 1
Duga 2
Dopo una giornata così pregna e stancante, si ritorna alla base. Avrebbero potuto metterci qualsiasi cosa sotto al naso, purché commestibile, che l’avremmo mangiata, ma quella sera non ci andò troppo male! Le matrioske ci avevano preparato insalatina di cavolo (che esotismo alla terza sera di fila!) e polpette (anche queste dalle dubbie generalità) accompagnate da patate schiacciate. Devo dire che, forse per la stanchezza, la cena è stata particolarmente gustosa!
Da prassi, ormai, dopo 15 chilometri a piedi, doccia rovente per lavare via le radiazioni e sonno profondo scattato alle 21.
4° Giorno
Appena aperto gli occhi ho pensato di aver lasciato le gambe al Duga tanto erano doloranti. Ma il dovere chiama e l’Area di Alienazione non si gira certo da sola! Quindi inforco i miei Moon Boot super fashion e sono pronta per la nostra ultima spedizione!
Per colazione un’altra botta di esotismo, di nuovo uova fritte… Vi risparmio la foto.
La prima tappa è stata in un emporio gestito da una babushka locale, che vendeva alimentari e piccoli souvenir: magliette, calamite ed un bellissimo libro fotografico di cui consiglio caldamente l’acquisto.
Davanti all’emporio si trova il “Cimitero dei Cartelli”, ovvero tutti i cartelli che si trovavano all’entrata dei vari paesi distrutti dal disastro. Erano duecento paesi, ne sono rimasti trenta…
Cimitero 1
Cimitero 2
Pry’pjat è uno di questi. Al tempo vivere a Pry’pjat e poter lavorare alla centrale significava aver raggiunto un’elevata collocazione sociale, non c’era aspirazione più grande per un giovane ingegnere che aveva studiato a Mosca. Ad esempio, il miglior ospedale dell’Unione Sovietica era quello di Pry’pjat, non quello di Mosca. Comunque, nel complesso, la città era un’eccezione, la normalità erano i paesini come Kupovatoje. Le richieste per le abitazioni erano talmente alte che la lista d’attesa arrivò a sedici anni, per ironia della sorte, la vita stessa della città non li superò.
Terminata la visita al Cimitero dei Cartelli, siamo andati a visitare la stazione dei treni, la stazione degli autobus, un emporio e la libreria.
Treno 1
Stazione Bus
Libreria
Libreria
Finalmente è il momento di uno dei luoghi più suggestivi di Pry’pjat,
Il parco divertimenti
Il parco doveva essere aperto ufficialmente il 1° maggio 1986. Venne invece aperto in anticipo il 27 aprile e solo per qualche ora, in modo da intrattenere e distrarre gli abitanti di Pry’pjat prima che venisse annunciata l’evacuazione della città. Le leggende sono tante intorno a questo luogo, c’è chi dice che di notte si sentano ancora i bambini sulle giostre, o chi preso da allarmismo dice che solo ad avvicinarsi alla ruota si rischia di rimanere intossicati dalle radiazioni. Io posso solo dire che in quel luogo si percepisce una grande malinconia, come se le giostre sapessero di aver fallito nel loro intento e, che di bambini non c’è nemmeno l’ombra, ma soprattutto, posso rassicurarvi che il nostro contatore Geiger segnava valori perfettamente nella norma.
Parco 1
Parco 2
Parco 3
Come ultima visita siamo andati a vedere l’appartamento di alcuni stalker (coloro che entrano abusivamente nell’Area di Alienazione per viverci). L’aria era pesantissima da respirare, la polizia aveva bruciato l’appartamento da poco in modo che gli stalker non potessero farvi ritorno, ma a giudicare dai resti sulla tavola, non li avevano scoraggiati molto.
Appartamento 1
Appartamento 2
Appartamento 3
Tornando al pulmino abbiamo incontrato Sergej, uno dei liquidatori di Pry’pjat. Purtroppo non sono riuscita a parlargli a sufficienza per fargli qualche domanda specifica, ma una frase in particolare, non potrò mai dimenticare: “Spero che nessuno veda più, ciò che io ho visto quella notte“. Nonostante tutto, ora lavora come guida e come autista nell’Area di Alienazione.
Sergej
Come ultima tappa siamo stati al “Cimitero dei Robot”, dove sono custoditi i robot utilizzati nella centrale durante le prime ore dopo l’incidente. Alcune di queste macchine presentano ancora un alto livello di radioattività. Erano le prime tecnologie dotate di sistema wireless, molto all’avanguardia per l’epoca, ma le radiazioni erano talmente potenti da far andare in corto circuito gli ingranaggi e per questo i robot cadevano giù dal tetto della centrale e, gli operai iniziarono a dire che
Le radiazioni fanno suicidare anche i robot
Così iniziarono ad utilizzare gli uomini, perché il corpo umano, anche se sarebbe morto in seguito, non sarebbe andato in corto circuito in quel momento. Riuscirono a trovare a trovare 600.000 volontari, perché la paga era molto alta, spesso bastava che salissero sul tetto, spalassero una vanga di scorie e questo gli dava diritto già alla pensione, ma le conseguenze sulla salute erano immediate, appena scesi dal tetto iniziavano a vomitare ed accusare i primi sintomi di intossicazione.
Era normale però che i volontari venissero dalle campagne e avessero bisogno di soldi per mantenere la propria famiglia, così era usanza dare una mancia a chi doveva segnare le loro ore di servizio, cosicché ne marcasse meno, in modo che potessero lavorare di più e guadagnare più soldi. Una volta arrivati alla pensione, anche in caso di morte, questa spettava di diritto alla famiglia.
Cimitero dei Robot 1
Cimitero dei Robot 2
Cimitero dei Robot 3
Avviandoci verso l’uscita dell’Area di Alienazione ci siamo fermati al monumento in onore dei pompieri. Questo è stato eretto dieci anni dopo l’incidente, nel 1996, da scultori non professionisti, e venne finanziato dalle famiglie dei pompieri che morirono quella notte. Loro sono stati i primi ad intervenire la notte dell’esplosione, si sono trovati a combattere un mostro senza neanche le protezioni necessarie.
Viene naturale porre una domanda ad Ivan:
– Ma è vero che, quella notte, gli operai della centrale ed i pompieri, hanno salvato il mondo con le loro azioni?
Ivan: E’ vero, hanno salvato il mondo. Pensate agli agenti atmosferici, alla pioggia, alle nuvole, al fallout che si sarebbe creato, ci sarebbero state contaminazioni ovunque, invece, gli operai, quella notte, lo hanno impedito. La centrale è esplosa il 26 aprile, ma il mondo si accorse di qualcosa il 28 aprile, grazie all’allarme che lanciò la Svezia.
– Subito non è stato dato l’allarme, giusto?
Ivan: Nelle prime ore non pensavano che l’incidente fosse così grave, pensavano fosse scoppiata solamente una delle pompe dell’acqua in uno dei reattori, perché il rumore era molto simile, solo dopo si resero conto di quello che era successo. Motivo per cui anche i pompieri furono mandati a riparare al danno senza sapere bene a cosa andavano incontro. Ma la ragione principale per cui non fu diramato subito l’allarme è il panico. Il panico è il peggior nemico. Immaginate una città di 50.000 persone nel panico, che invece poi fu evacuata in appena 12 ore.
Monumento Pompieri 1
Monumento Pompieri 2:
Monumento Pompieri 3:
Uscendo dall’Area di Alienazione ci hanno sottoposto un’ultima volta allo scanner per controllare il nostro livello di radioattività e siamo risultati tutti puliti.
Io nello scanner
Una volta messo via il contatore Geiger, ci siamo diretti a Kiev, ma questa, è un’altra storia.
La scritta Chernobil:
Io auguro a chiunque di poter viver un’esperienza come la mia, non solo per mettersi alla prova fisicamente e mentalmente, ma per imparare qualcosa e che ci insegni a vedere quello che abbiamo davanti agli occhi, che spesso ci sfugge.
Questo viaggio mi ha insegnato ad apprezzare più quello che ho e che la felicità è tale solo se condivisa, perché vedere babushka Sofia e babushka Nina che ci hanno accolto in casa loro, offrendoci il loro cibo, pur non avendo niente, mi ha fatto ancora più capire quanto sia fortunata a poter vivere in un luogo sicuro, con la pancia piena.
Vedere l’asilo mi ha fatto pensare a vivere il momento, perché non sai quello che ti può succedere da un momento all’altro.
La mente va ancora a quella bambina che ha messo a dormire la sua bambola e non è più tornata a svegliarla
Penso alla fortuna di non vivere costantemente con la paura della guerra, perché non sono cresciuta mettendo le maschere antigas alle bambole o non avendone una come corredo scolastico nella mia cartella, per paura di qualche attacco chimico.
Per tutto questo ringrazio “I Luoghi dell’Abbandono” che mi ha permesso di fare questo viaggio.
Arrivederci Pry’pjat.