Ogni 3 agosto ricorre l’anniversario della partenza del primo viaggio (anno 1492) di Cristoforo Colombo, che si era messo in testa di trovare una via breve verso le Indie e la Cina. Trova invece il Nuovo Mondo (anche se lui non lo sa), e inizia così un’epoca di grandi esplorazioni (nonché conquiste e stragi e genocidi) verso luoghi sconosciuti – in realtà i Portoghesi avevano già avviato l’epopea delle scoperte in Africa e nell’Oceano Indiano già da diversi anni – ricordate anche attraverso i nomi di più che famosi esploratori/avventurieri: Vasco da Gama, Pedro Alvarez Cabral, Amerigo Vespucci, Ferdinando Magellano, Giovanni Caboto e molti altri.
Mappa con i principali viaggi dell’Età delle scoperte
Immagine di Universalis via Wikipedia – licenza CC BY-SA 4.0
Sono, ovviamente, tutti uomini. D’altronde stiamo parlando del XV e XVI secolo, quando certo la parità di genere non era contemplata. Rimangono nella storia i nomi di poche donne dall’animo indomito, che sono costrette, quasi sempre, a travestirsi da uomo per poter avere la loro razione di vita avventurosa. C’è Catalina de Erauso, la monaca guerriera; Jean Baret, botanica che, nel 1797, è la prima donna a circumnavigare il globo, ovviamente facendosi passare per un uomo; prima ancora c’è stata l’islandese Gudrid Thorbjarnardottir, che sbarca in America, e più precisamente in Canada, 500 anni prima di Colombo, intorno all’anno 1010. Lei addirittura, là tra i ghiacci dell’isola di Terranova, mette al mondo un figlio, che dovrebbe essere il primo europeo ad aver visto la luce nel Nuovo Mondo.
Statua di Gudrid Thorbjarnardottir con il figlio
Immagine di Gerd Eichmann via Wikimedia Commons – licenza CC BY-SA 4.0
Andando avanti nel tempo c’è qualche viaggiatrice solitaria che rompe gli stereotipi di donna uguale moglie mamma angelo del focolare, e si avventura per le strade del mondo. E’ il caso dell’austriaca Ida Pfeiffer, che a metà ‘800 inizia a viaggiare praticamente senza mezzi economici, solo quando i figli sono ormai grandi, e della quasi contemporanea inglese Isabella Bird. Ida Pfeiffer ha un’epifania quando vede il mare di Trieste, che le stimola un irrefrenabile desiderio di conoscere il mondo, mentre Isabella scopre la sua passione per i viaggi grazie a una malattia che invece, nella maggioranza dei casi, avrebbe condotto a un destino molto poco movimentato.
Isabella Bird
Isabella, figlia di un pastore protestante dello Yorkshire, nasce nel 1831. Il carattere poco accomodante del padre, che spesso si scontra con i suoi parrocchiani, costringe la famiglia a continui trasferimenti tra le contee d’Inghilterra. Cosa che non sarebbe stata drammatica per Isabella, se non fosse stato per quei dolori lancinanti alla testa e soprattutto alla schiena, che la perseguitano fin da piccola. Le emicranie sono probabilmente di origine nervosa, così come l’insonnia di cui soffre, tanto che i medici consigliano di farla stare più tempo possibile fuori all’aria aperta.
Così la piccola Isabella va a cavallo per la campagna, insieme al padre che le racconta di piante e fiori, erbe e animali. Quando è a casa la bambina divora libri di avventure in terre lontane e forse è lì che nasce un desiderio di libertà e conoscenza che l’accompagnerà per tutta la vita.
Poi arrivano gli anni peggiori per Isabella, costretta a letta da quel mal di schiena che non le consente nemmeno più di muoversi, finché nel 1850 non le viene rimosso “un tumore fibroso”, di natura non ben specificata, che le comprimeva la colonna vertebrale.
Qualcosa cambia, ma Isabella continua a soffrire di un malessere generalizzato che forse è depressione, e di insonnia. Non sapendo più che pesci prendere, i medici consigliano un bel viaggio via mare, che sicuramente avrebbe giovato: l’aria di mare, si sa, è miracolosa.
Così nel 1854 Isabella parte alla volta dell’America, insieme a dei cugini che vivono là. Il padre la finanzia con 100 sterline e lei non fa ritorno a casa fino a che non ha dato fondo a tutto il gruzzolo, che spende in due anni girando per gli Stati Uniti e il Canada. Scrive lettere divertenti e acute alla famiglia, che poi faranno da canovaccio per il suo primo libro, The Englishwoman in America (pubblicato nel 1856, rigorosamente in forma anonima), dove racconta le sue impressioni su quello strano mondo dove certo ci sono borseggiatori e ladri di bagagli, alberghi poco puliti, ma dove, per carità, la gente è tutta molto bene educata, se non fosse per quella poco gradevole abitudine di sputare per terra…
Insomma, Isabella si rende conto che qualche ragione gli inglesi ce l’hanno quando si mostrano un po’ prevenuti nei confronti dei cugini americani (questa è almeno la sua opinione), ma al tempo stesso resta affascinata da quel mondo brulicante di razze, lingue e colori diversi, dove tutti mostrano grande energia condita da un po’ di sbruffonaggine.
Dopo il rientro a casa Isabella non ha modo di viaggiare, e quando il padre muore, nel 1858, si trasferisce con la madre e la sorella in Scozia, dove comunque se va in giro alla scoperta di luoghi poco conosciuti, come le isole Ebridi esterne, e poi ne scrive vendendo i suoi articoli a qualche periodico. Nel 1868 muore anche la madre e lei dovrebbe, secondo la consuetudine dell’epoca, andare a vivere con la sorella, che nel frattempo si è trasferita sull’isola di Mull, nelle Ebridi interne.
L’idea di rimanere confinata in un luogo abbastanza remoto proprio non garba a Isabella, che decide di ricominciare a viaggiare, finanziandosi in parte con l’eredità dei genitori e poi scrivendo articoli e, più avanti, libri. D’altronde, quando è a casa, i dolori alla testa e alla schiena non si placano, mentre quando è in viaggio tutta quella sofferenza sembra magicamente attenuarsi.
Nel 1872 Isabella, donna di 41 anni senza marito – il matrimonio non le interessa – parte per l’Australia, paese che non le suscita particolari emozioni, anzi: continua ad avere problemi di salute, soffre la solitudine e il caldo. Tutto cambia quando arriva alle isole Hawaii, che invece la sorprendono per i colori della natura e degli abiti della gente gioiosa che le abita. Riprende ad andare a cavallo, i dolori alla schiena si placano, e così scala il vulcano Mauna Loa (alto 4169 metri), poi riesce a porgere omaggio alla regina Emma Kaleleonalani, di cui parlerà nel suo libro The Hawaiian Archipelago.
Il Vulcano Muna Loa
Immagine di Gordon Joly via Wikipedia – licenza CC BY-SA 3.0
Dalle incantate isole Hawaii, Isabella si sposta negli Stati Uniti: sbarca in California, ma la meta è il Colorado, da poco annesso alla repubblica. Lì, dicono, c’è un’aria talmente pura da guarire ogni male. In treno arriva a Denver, neonata città di avventurieri e rudi minatori in cerca d’oro. Lì la ferrovia finisce e comunque, a lei che vuole esplorare la selvaggia natura di un luogo ancora abitato più dagli animali che dagli uomini, occorre un cavallo, che monta come un uomo (come ha imparato alle Hawaii), cosa scandalosa per l’epoca, nonostante l’abito, dotato di pantaloni nascosti sotto la gonna, che si è fatta cucire proprio per non destare scandalo.
Isabella Bird monta a cavallo come un uomo
Eppure, i suoi benpensanti connazionali del giornale Times la criticano dicendo che si veste da uomo (e lei minaccia querele).
A parte questo particolare da salotto, l’avventura di Isabella è appena iniziata: percorre 800 chilometri attraverso le Montagne Rocciose, quasi sempre da sola. Una solitudine, nella natura selvaggia e a tratti ostile, che affronta con coraggio, anche quando deve fare i conti con “l’aspetto insolito e spaventoso della natura”, come quando si trova senza punti di riferimento nel bel mezzo di una tempesta di neve, o quando si trova faccia a faccia con un orso grizzly (si salva fingendosi morta). Durante quest’avventura si ferma ogni tanto a lavorare in qualche sperduta fattoria, dove aiuta a cucinare o a radunare il bestiame. Intanto scrive lunghe lettere alla sorella, che vengono pubblicate su un periodico, il Leisure Hour, e che di nuovo saranno la base per il suo libro forse più conosciuto, A Lady’s Life in the Rocky Mountain.
In tutta quella solitudine Isabella fa l’incontro più inaspettato: un uomo tanto forte e rude quanto affascinante – nonostante siano evidenti sul suo viso i segni di un incontro ravvicinato con un grizzly, che gli è costato, letteralmente, un occhio – con lunghi capelli ricci, un atteggiamento che sembra l’espressione fisica della parola “Desperado”, ma che ha l’odore della libertà sulla pelle e la dolcezza di un poeta nell’anima.
L’Estes Park con il Longs Peak sullo sfondo – dipinto del 1876 circa
Si chiama Jim Nugent ed è un “senza legge” rissoso che vive in un’isolata capanna di tronchi, e talvolta fa la guida nell’Estes Park. Quella donna intrepida gli suscita sentimenti forse mai provati prima, così l’accompagna nella difficilissima scalata del Longs Peak, e in verità, è solo grazie a lui che Isabella, stremata da una salita fatta anche a carponi tra ghiaccio e neve, arriva in vetta, dove “l’orizzonte infinito” le svela “l’immenso miracolo” della natura.
Letti di lava sul Longs Peak – illustrazione di Isabella Bird
Non è a lieto fine la storia con Jim: i due sono troppo diversi e Isabella, forse con dolore, riprende la sua strada. Alla sorella scrive: “Porta via la pace”, e comunque lei, a quarantadue anni, forse non è disposta a rinunciare alla sua indipendenza, e dal canto suo lui sa di essere “un uomo che ha fatto di se stesso un diavolo!Perso! Perso! Perso!”
Si lasciano così, con lei che riparte in diligenza insieme a un connazionale che ha “l’innata volgarità del ricco parvenu”, mentre lui si allontana “con i suoi capelli biondi dorati sotto il sole, e lentamente conduceva la bellissima cavalla sopra il bosco innevato”.
Nugent finisce ammazzato a fucilate, ma Isabella (che ne viene informata) è già in Scozia, a casa della sorella.
Isabella Bird in una foto dopo il matrimonio
L’impresa di Isabella – quegli 800 chilometri percorsi quasi sempre da sola nella natura selvaggia del Colorado – non la compie più nessuno, né uomo né donna. Lei, una non più giovane signora (per l’epoca) di epoca vittoriana, dalla salute malferma, attraversa un territorio sconosciuto, senza avere uno straccio di carta geografica o una bussola per orientarsi, in una stagione infida com’è il tardo autunno in quei luoghi, confidando solo nella fortuna per trovare un riparo nella notte. Ancora oggi, il suo itinerario è difficile da percorrere in automobile…
Quando torna in Scozia quasi si convince a sposare, nel 1878, il medico della sorella Henrietta, poi ci ripensa, perché non accetta l’idea di “essere una moglie invalida” (i suoi problemi di salute aumentano con gli anni). Riparte allora, e se ne va in Giappone, dove per molti mesi condivide la vita dei locali nativi Ainu, poi in Cina, Corea Vietnam, Singapore e Malesia.
Illustrazione di Isabella Bird di due uomini Ainu
Al rientro, nel 1880, deve affrontare la morte dell’amata sorella Henrietta e alla fine, a quasi cinquant’anni, decide di sposare quel medico, John Bishop, di dieci anni più giovane di lei, che non aveva smesso di corteggiarla. Lo seppellisce cinque anni dopo e riparte, forse perché è l’unica cosa che le consente di andare avanti.
“Il calzolaio” – foto di Isabella Bird
Attraversa India, Tibet, Kurdistan e Turchia, fa costruire due ospedali grazie all’eredità ricevuta dal marito, e nel 1892 entra a far parte (seppure con molte polemiche) della Royal Geographical Society: è la prima donna ammessa, seppure senza facoltà di parlare in pubblico.
Oltre a scrivere, nei suoi viaggi fa disegni e poi fotografie, e negli ultimi anni se la cava anche come infermiera. Testimonia di miseria, malattie, violenze, guerre, senza arretrare di un passo quando l’editore vorrebbe edulcorare un po’ i testi, ma al tempo descrive con l’entusiasmo di un’adolescente le meraviglie della natura, i tramonti languidi e le albe rosate che rinnovano ogni giorno il miracolo della creazione.
Isabella Bird indossa abiti della Manciuria, durante un viaggio in Cina
Nel 1901 parte per il Marocco, dove vive con i Berberi e cavalca una magnifica cavalla araba, dono del sultano.
Nord Africa – foto di Isabella Bird
Torna a casa nel 1904 e già progetta, a 72 anni, un nuovo viaggio in Cina, ma un banale incidente domestico se la porta via.
Ogni commento sulla vita di questa donna straordinaria, che mai si è fatta vincere dalla malattia e dal dolore, è superfluo. Può essere solo presa come esempio di tenacia, forza di volontà, capacità di adattamento e, non ultimo, per il suo inestinguibile desiderio di conoscere e soprattutto comprendere, luoghi e persone tanto lontane dalla sua realtà.