Era il settembre del 2004 quando nelle librerie comparve per la prima volta Suite francese, il romanzo postumo e incompleto di un’autrice di inizio Novecento vittima dell’Olocausto.
La genesi dell’opera risale al lontano 1942, quando, nel piccolo paesino di Issy-l’Évêque dove si era rifugiata, Irène Némirovsky stava lavorando a una storia ambiziosa composta da cinque parti e strutturata come una sinfonia, ma fece in tempo a ultimare solo i primi due volumi: Temporale di giugno e Dolce. Per fortuna il suo grande progetto non morì con lei tra le fredde e disumane mura di Auschwitz, ma rimase nascosto in una valigia per oltre cinquant’anni.

Irène Irma Némirovsky nacque a Kiev l’11 febbraio 1903. Era l’unica figlia di Leonid Borissovich Némirovsky, un banchiere ebreo-ucraino arricchitosi come self made man, e di Anna Margoulis, la figlia di un benestante ebreo di Odessa. I suoi genitori erano una coppia mal assortita; per il padre provava un sincero affetto, ma non ebbe mai una figura materna di riferimento: Fanny, nome “più aristocratico” assunto da Anna, era una donna anaffettiva e narcisista, che proveniva da una famiglia molto agiata e sposò Leonid perché era quel tipo d’uomo in carriera che non le avrebbe mai fatto mancare il lusso di cui sentiva di aver bisogno. Grazie ai lunghi viaggi d’affari del marito, era solita tradirlo senza nemmeno l’accortezza di nascondere l’identità dei suoi amanti. Col passare degli anni sviluppò un vero e proprio astio nei confronti della figlia e quando sopraggiunse l’ossessione per la vecchiaia che avanzava, iniziò a invidiarne la bellezza in fiore.

Visto il totale disinteresse di Fanny, fu la loro governante francese, Zezelle, che si occupò dell’educazione di Irène e le insegnò la sua lingua madre. Fino al 1918 la famiglia Némirovsky abitò a San Pietroburgo, ma Leonid intuì il pericolo della rivoluzione bolscevica e decise di scappare dalla Russia. Soggiornarono prima in Finlandia, poi in Svezia e, nel luglio del 1919, si trasferirono in pianta stabile a Parigi. In Francia, Irène crebbe in un contesto culturale che, grazie all’influenza di Zezelle, aveva tanto ammirato fin dalla prima gioventù. Sostenne l’esame di maturità nel 1919, nel 1920 si iscrisse alla Sorbona e, in parallelo agli studi, iniziò la sua fiorente attività letteraria. Il 31 dicembre del 1924, a una festa di Capodanno, incontrò Michel Epstein, un finanziere anch’egli figlio di una ricca famiglia ebrea costretta a scappare dalla Russia. Come si evince dalle parole di Irène in una lettera all’amica Madeleine, datata gennaio 1925, fra loro fu subito amore:
“C’è qualcosa, o meglio qualcuno, che mi trattiene a Parigi. Non so se ti ricordi di Michel Epstein, il giovane dalla carnagione scura che è tornato con Choura e noi, in taxi, quella memorabile notte, o piuttosto quella memorabile mattina del 1° gennaio. Mi fa la corte, e a dire il vero, non mi dispiace affatto”.
Michel e Irène convolarono a nozze nel 1926 ed ebbero due figlie: Denise ed Elisabeth. Nell’anno della nascita della sua primogenita, la scrittrice vide l’uscita di David Golder, il romanzo che la consacrò nel panorama letterario francese. Si narra che l’editore Bernard Grasset lesse tutto d’un fiato quel manoscritto tanto audace e degno di un autore nel pieno della sua maturità artistica, ma si ritrovò di fronte la Némirovsky, una giovane di famiglia benestante dai modi raffinati, e sospettò che fosse una semplice prestanome. David Golder lanciò la sua autrice nell’olimpo della scrittura, ma, in compenso, le valse anche numerose critiche di antisemitismo.

Il protagonista, infatti, era un avido uomo d’affari ebreo descritto in modo caricaturale, con un fisico repellente e una mentalità avida. Negli anni ’30 Irène si affermò sempre di più sia sul lavoro sia in società, partecipò a feste ed eventi mondani. Gli Epstein erano a tutti gli effetti membri di spicco della comunità parigina, ma ciò non bastò a far accogliere le loro richieste di cittadinanza francese. Il primo rifiuto arrivò nel 1935, quando sull’Europa ancora non incombeva l’ombra della guerra, e l’ultimo disperato tentativo ci fu nel 1939.
Stando alla testimonianza di Cécile Michaud, la bambinaia assunta all’indomani della nascita di Denise, la scrittrice aveva intuito il pericolo dell’ideologia nazista e, dopo la famigerata “notte dei cristalli”, aveva deciso di convertirsi al cattolicesimo insieme al marito e le due figlie. L’intera famiglia fu battezzata il 2 febbraio 1939 nell’abbazia di Saint-Marie a Parigi: il sacramento rappresentava l’ultimo disperato tentativo di scongiurare delle possibili persecuzioni.
Quell’anno Hitler invase la Polonia e diede inizio alla Seconda Guerra Mondiale. Il 3 settembre Irène mandò le figlie a Issy-l’Évêque e le affidò alla loro domestica Cécile, originaria proprio di quel piccolo paese della Borgogna. Nel frattempo, la Francia subì l’attacco dell’esercito tedesco e cadde nelle grinfie del Terzo Reich. Com’era prevedibile, entrarono in vigore le leggi antisemite, che esclusero gli ebrei da qualsiasi attività pubblica. Michel fu licenziato e Irène dovette iniziare a firmare i suoi lavori con uno pseudonimo. Nel maggio del 1940 la scrittrice raggiunse Denis ed Elisabeth, seguita a giugno dal marito. Irène non considerò mai la fuga dalla Francia, nemmeno quando le sarebbe stato possibile, e viveva nella convinzione che il governo avrebbe tutelato una cittadina francese di origini ebree, ma perfettamente integrata e famosa per il suo contributo letterario.

Mentre l’Europa viveva i momenti più cupi della sua storia, la Némirovsky continuò a vendere articoli e racconti attraverso un prestanome e ideò una grande opera che iniziò a scrivere a caratteri piccolissimi per risparmiare la limitata quantità di carta a sua disposizione. Eppure, la sua fiducia nella Francia era solo di facciata. L’11 luglio del 1942, infatti, confidò all’amico André Sabatier un presagio che, purtroppo, si rivelò esatto.
Ho scritto molto in questi giorni. Presumo che saranno opere postume
La mattina del 13 luglio, a seguito di una denuncia anonima, due soldati del governo di Vichy si recarono a Issy-l’Évêque per arrestarla e portarla alla gendarmeria di Toulon-sur-Arroux, in attesa di essere trasferita altrove. Michel subito si adoperò per salvarla e inviò un telegramma all’editore Robert Esménard.
“Irène partita oggi all’improvviso. Destinazione Pithiviers. Spero che voi possiate intervenire con urgenza. Cerco invano di telefonare”.
Disperato e, al contempo, determinato a riportare a casa la moglie, si mise in contatto anche con alcuni soldati tedeschi che avevano soggiornato in casa sua quando erano stati di stanza a Issy-l’Évêque. Alcuni di loro ricordavano la calorosa ospitalità degli Epstein e perorarono la causa di Irène con delle raccomandazioni.
“Camerati! Abbiamo vissuto per qualche tempo con la famiglia Epstein e abbiamo avuto modo di conoscerla come famiglia assai premurosa. Vi preghiamo pertanto di riservarle un trattamento adeguato. Heil Hitler”.
Come se non bastasse, Michel inviò lettere per rinnegare le sue origini ebraiche e dimostrare che la sua famiglia non aveva nulla a che fare con il giudaismo.
“Irène è una donna che, pur essendo di origine ebraica, non ha, come dimostrano tutti i suoi libri, alcuna simpatia né per il giudaismo né per il regime bolscevico… mia moglie è diventata una rinomata scrittrice. In nessuno dei suoi libri troverà una parola contro la Germania, e benché sia di razza ebraica mia moglie scrive degli ebrei senza alcuna simpatia. I nonni di mia moglie, così come i miei, erano di religione israelita; i nostri genitori non professavano alcuna religione; quanto a noi, siamo cattolici come le nostre bambine, che sono nate a Parigi e sono francesi”.
Nel frattempo, Irène giunse al campo di smistamento di Phitiviers il 15 luglio, e il 16 venne iscritta nel registro per la deportazione sotto la dicitura “Epstein Irène Némirovsky, donna di lettere”. Ormai sapeva del triste destino a cui stava andando incontro e riuscì a spedire al marito un’ultima lettera.
“Giovedì mattina. Mio caro amato, mie piccole adorate, credo che partiremo oggi. Coraggio e speranza. Siete nel mio cuore, miei amati. Che Dio ci aiuti tutti”.
Il 17 luglio, Irène partì dalla Francia alle 6.15 sul convoglio numero 6, che trasportava 809 uomini e 119 donne. Stando ai documenti di Auschwitz, di quelle 938 anime ne sopravvissero solo 18.
Alle ore 19.00 del 19 luglio, il convoglio giunse alla struttura di Aushwitz-Birkenau e un mese dopo Irène morì di febbre tifoidea. Nel frattempo, Michel era all’oscuro delle sorti della moglie e perseverò nell’invio di telegrammi e lettere, ma maturò anche la consapevolezza che anche lui poteva essere arrestato da un momento all’altro, perciò l’8 ottobre delegò la patria podestà di Denise ed Elisabeth a Julie Dumot, la governante assunta nel giugno di quell’anno. Il giorno seguente alcuni gendarmi lo prelevarono per deportarlo e, poco prima di abbandonare per sempre le figlie, consegnò loro una valigia. Michel partì per Auschwitz e vi arrivò il 6 novembre, venendo subito mandato alla camera a gas, insieme a tutti gli altri passeggeri del convoglio.

Le piccole Denise ed Elisabeth rimasero con la Dumot, ma il loro destino viaggiava sul filo di un rasoio. Verso la fine di ottobre, alcuni ufficiali tedeschi si recarono alla scuola delle bambine per prenderle in custodia, ma uno di loro rivide nei biondi capelli di Denise quelli di sua figlia, ne ebbe pietà e consentì alla maestra di nascondere le giovani Epstein. Scapparono a Bordeaux insieme alla Dumot e, fino al giorno della liberazione, sopravvissero nascondendosi in rifugi e cantine. Scampate al destino dei genitori, Denise ed Elisabeth ricevettero la protezione dell’ex editore della madre, che istituì un fondo per aiutarle economicamente e mantenerle negli studi.
Con l’improvvisa scomparsa della sua autrice, del manoscritto di Suite francese non si ebbe più alcuna notizia per oltre cinquant’anni, e a nulla valsero i tentativi di Sabatier di ritrovare l’opera di cui Irène gli aveva tanto parlato.
“C’è una domanda che volevo farle: che fine hanno fatto gli scritti che si trovavano a Issy al momento dell’arresto della signora Némirovsky?”, scrisse in una lettera a Julie Dumot dopo la fine della guerra. Tuttavia, la domestica degli Epstein, così come tutto il mondo, ignorava che le carte della “donna di lettere” erano state nascoste da Michel nel bagaglio affidato a Denise.
Dopo la pubblicazione di Suite francese, nel 2004, nell’immaginario comune si è erroneamente creduto che le figlie di Irène avessero ritrovato il manoscritto pochi anni prima, ma non è così. Denise, che aveva ricevuto numerose raccomandazioni dal padre, portò la valigia sempre con sé nel corso dei suoi spostamenti, e anni dopo ne scoprì in parte il contenuto. Vi erano numerose lettere, un quaderno che lei e la sorella credettero fosse il diario della madre, e un dattiloscritto.

Quest’ultimo era la versione di Suite francese battuta a macchina da Michel, che era solito ricopiare e revisionare il lavoro di Irène. Il diario rimase lì dentro e nessuna delle due figlie ebbe la forza di sfogliarlo, ma nel 1957 Denise mostrò il dattiloscritto alla giornalista Catherine Valogne che, pur riconoscendone il valore letterario, lo definì non pubblicabile.
I tempi, in effetti, non erano ancora maturi perché un romanzo come Suite francese vedesse la luce; gli orrori della guerra ancora riecheggiavano nella memoria collettiva europea e difficilmente il pubblico avrebbe apprezzato una storia incentrata sulla vita di tutti i giorni all’epoca dell’occupazione.
Intorno al 1970, Denise iniziò a temere che il caratteristico inchiostro blu della madre stesse sbiadendo e decise di tirar fuori dalla valigia quello che ancora considerava un semplice diario, per scongiurare una futura impossibilità di leggerlo. Ma i ricordi erano troppi, così come l’emotività legata a quelle pagine, e non riuscì ad aprirlo per i successivi vent’anni. Nel 1990 scelse di donare tutti gli scritti della madre all’Institut Mémoires de l’Éditions Contemporaine, ma prima di separarsene, vinse l’emozione e trovò il coraggio di conoscere le ultime pagine vergate da Irène.

Con sua grande sorpresa, il quaderno si rivelò essere la versione scritta a mano del dattiloscritto ritrovato in precedenza e, con l’aiuto di una lente d’ingrandimento, trascorse due anni e mezzo a trascriverne i piccolissimi caratteri. Anche Elisabeth contribuì a riportare in auge il nome della madre e, nel 1992, pubblicò Le Mirador, una biografia della Némirovsky scritta in prima persona, come se la voce narrante fosse appunto la scrittrice defunta, e basata su un vastissimo corpus di lettere, diari e appunti.
Il 30 settembre del 2004, infine, uscì Suite francese, che divenne presto un bestseller, fu tradotto in 38 lingue e, nel 2014, ebbe un’omonima trasposizione cinematografica.
Elisabeth morì il 30 settembre del 1996; Denise le sopravvisse fino al 1° aprile del 2013.
In un’intervista alla giornalista italiana Claudia Gentile, a proposito della valigia, Denise dichiarò: “All’esposizione del Museum of Jewish Heritage di New York, straordinaria, l’hanno messa sotto vetro. Mi ha fatto sorridere vederla così. È sicuramente una valigia che ha avuto una lunga storia. Era di mio nonno, ci sono le sue iniziali incise. […] Se penso ai calci che le ho dato nel trascinarmela dietro per tanti posti sinistri, ritrovarla sotto vetro mi fa un curioso effetto”.
Tante erano state le sbucciature sulle ginocchia che quel bagaglio così grande, sia per la stazza sia per il peso dei ricordi contenuti, le aveva procurato, ma era rimasto sempre con lei; proprio come le aveva chiesto Michel.
Elisabeth era ancora piccola e serbava un ricordo quasi del tutto sbiadito dei genitori, ma non Denise, all’epoca tredicenne… Non lei che visse appieno quegli attimi in cui un’assurda ideologia la resa orfana dalla sera alla mattina.
Oggi, le due sorelle Epstein riposano l’una accanto all’altra nel settore ebraico del cimitero di Belleville, dove, purtroppo, non possono godere della compagnia delle spoglie mortali di Michel e Irène.