L’invenzione del vetro, o quantomeno la tecnica del vetro soffiato, è attribuita ai fenici. Da bravi mercanti quali erano, portarono i preziosi e fragili oggetti di questo nuovo materiale in molti altri paesi del Mediterraneo. Quando Roma era ormai un Impero, il vetro non era più così raro, ma veniva anzi utilizzato per oggetti di consumo quotidiano.
Non divenne invece comune il vetro infrangibile, la leggendaria invenzione attribuita ad uno sconosciuto vetraio vissuto ai tempi di Tiberio.
L’imperatore Tiberio – Fotografia di Marie-Lan Nguyen condivisa con licenza CC BY 2.5 via Wikipedia:
Nonostante le testimonianze degli storici non è mai stata trovata alcuna prova tangibile dell’esistenza di questo tipo di vetro in epoca romana. Tuttavia ne parlano due romani che, anche se contemporanei, più distanti tra loro non potevano essere: Petronio, “arbitro di eleganza” colto e snob, e Plinio il Vecchio, studioso assetato di conoscenza che Italo Calvino definì “protomartire della scienza sperimentale” (morì per osservare da vicino l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.).
Plinio il Vecchio
Nella sua Storia Naturale, Plinio racconta che il vetro flessibile era stato fabbricato da un vetraio romano, mentre regnava Tiberio. L’imperatore, a cui l’artigiano aveva mostrato l’invenzione, non apprezzò affatto il nuovo materiale e fece chiudere il laboratorio. Plinio esprime molti dubbi sulla credibilità della storia, diffusa ma non dimostrata.
Petronio Arbitro
Qualche anno prima Petronio, nel Satyricon, ne aveva parlato in termini ovviamente molto diversi, più “romanzati”. Lo scrittore non cita Tiberio, ma parla genericamente di un imperatore romano, al quale il vetraio chiese un’udienza, proprio per mostrargli la sua invenzione. L’uomo gettò a terra una coppa di vetro, con tutta la sua forza. L’imperatore era sbalordito, e lo rimase ancor di più quando il vetraio raccolse la coppa, mostrando come fosse ancora integra, seppur ammaccata. Poi, con un piccolo martello, l’artigiano ridiede all’oggetto la sua forma originale. Il vetraio si aspettava una ricompensa, sicuro com’era di aver impressionato l’imperatore, che invece chiese se qualcun altro era a conoscenza della tecnica per produrre il vetro flessibile. La risposta negativa del vetraio segnò il suo destino:
Condannato a morte, si portò dietro il segreto della sua invenzione, che rischiava, secondo l’imperatore, di far crollare il valore di metalli preziosi come l’oro e l’argento
Lo storico Dione Cassio, quasi due secoli dopo, torna a parlare di questa invenzione, arricchendo il racconto con altri particolari. Successivamente, nel VI e nel XIII secolo, la storia fu ripresa come veritiera in due trattati sul vetro, a dimostrazione di come una notizia, nata da un pettegolezzo storico non verificato (Petronio), citata, anche se con riserva, in un’enciclopedia tecnica (Plinio), possa finire in una raccolta di ricette specifiche sul vetro (pseudo-Eraclio).
Si potrebbe banalmente commentare che già allora le notizie false giravano con grande facilità, ma sarebbe probabilmente una considerazione superficiale. Perché, tecnicamente, il vetro infrangibile poteva essere prodotto in epoca romana, se l’artigiano si fosse procurato dell’acido borico o del borace, reperibili in natura. Aggiungendo poi alla miscela di vetro una piccola percentuale di ossido borico, un bravo artigiano avrebbe ottenuto del vetro indistruttibile.
Sotto, la Coppa di Licurgo, che cambia colore a seconda del punto di osservazione:
Fonte immagine: British Museum
Durante il medioevo, il borace era comunemente importato in Europa dall’Oriente, e niente vieta di pensare che non lo fosse già durante l’impero romano. E comunque sia, nella ben più vicina Maremma toscana, c’erano (come oggi) i soffioni boraciferi che potevano fornire l’occorrente per il vetro flessibile. E’ troppo fantasioso pensare che lo sfortunato vetraio romano si sia casualmente imbattuto negli insoliti cristalli e abbia deciso di unirli all’impasto di vetro, per vederne l’effetto? La domanda è destinata a rimanere senza risposta, ma il vitrum flexile, nonostante la sua improbabile esistenza, resta comunque una “invenzione perduta dei romani”.