Sta lì la Sicilia – ricca della sua gloria passata e indifferente ai mille mutamenti che l’hanno attraversata – al centro del Mediterraneo, isola indecifrabile e “plurale”, dove “tutto è dispari, mischiato, cangiante, come nel più ibrido dei continenti” (Gesualdo Bufalino, Cento Sicilie).
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E non potrebbe essere diversamente, per i mille popoli che l’hanno abitata, per le molte lingue che hanno cantato bellezza ed asprezza di questa terra magica, dove, più che in altri luoghi, mito e storia si intrecciano senza poter distinguere dove finisce l’uno e inizia l’altra. Perché il mito, luogo d’irrealtà senza tempo, qui trova testimonianza concreta in pietre mangiate dal sole e corrose dalla salsedine, eppure ancora lì, dopo millenni, a raccontare storie di fantasia che forse appartengono a realtà troppo lontane e ormai dimenticate.
Il Tempio di Segesta di Joseph-Frédéric Debacq, 1826
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Chissà quanti millenni fa, giunge il greco Dedalo a calpestare la terra di Sicilia, abitata da popoli misteriosi arrivati chissà da dove: Sicani, Siculi ed Elimi. Loro, gli Elimi, sbarcano in quella terra arida e luminosa, aspra e profumata, con ancora in bocca l’amaro sapore del fumo che aveva avvolto la loro città data alle fiamme, Troia. Fondano città che hanno nomi come Elima, Erice, Entella, Egesta (Segesta), mentre i Sicani, arrivati prima di loro, devono ritirarsi all’interno, nelle rocciose terre lontano dal mare.
La Sicilia preellenica
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Sono i greci Tucidide e Plutarco a raccontarci questa storia, mentre studi più recenti ipotizzano un’origine ligure degli Elimi, o meglio una mescolanza di popoli autoctoni con genti proveniente dall’Egeo e dalla Liguria.
Il tempio di Segesta
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Ascoltando solo la voce del mito, là su quella collina possiamo scorgere il giovane re Aceste, figlio della nobile troiana Egesta e della divinità fluviale Crimiso, mentre fonda la sua città, dopo essere fuggito da Troia. Oppure, dando ascolto a Virgilio, possiamo intravedere Enea (accolto dal re Aceste) che fonda Segesta, per dar modo agli anziani e alle donne di riposarsi dopo il lungo viaggio che da Troia li ha portati fino alle coste della Sicilia. Le donne, troppo stanche, danno fuoco alle navi ed Enea capisce che è arrivato il momento di fermarsi, almeno fin quando il destino non lo porterà verso altri lidi.
Particolare del tempio di Segesta
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Quando avviene tutto questo non lo sappiamo, ma pare che, al di là del mito, la città fosse già abitata intorno al IX secolo a.C. Certamente lo è, e densamente, nel V secolo a.C., quando ormai Greci e Fenici sono arrivati in Sicilia da circa tre secoli.
Particolare del tempio di Segesta
Immagine di OppidumNissenae via Wikipedia – licenza CC BY-SA 3.0
I Greci hanno occupato la Sicilia orientale, mentre i Fenici si stanziano a sud-ovest. Segesta è sempre in lotta con le città confinanti, in particolare con la colonia greca di Selinunte, che sconfigge nel 580 a.C. Nel 415 a.C. Segesta è costretta a chiedere l’aiuto di Atene per riportare la città nemica, aiutata da Siracusa, a più miti consigli. La faccenda non si risolve bene, perché gli ateniesi subiscono una batosta dai siracusani. Alla fine, l’inimicizia tra Selinunte e Segesta si risolve nel 409 a.C., quando sono i cartaginesi (sempre invocati dai segestani) a distruggere la bellissima città greca che, seppure abitata fino alla fine del I secolo a.C., non risorgerà mai veramente.
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Un centinaio d’anni dopo il tiranno di Siracusa la farà pagare a Segesta, uccidendo e riducendo in schiavitù molti dei suoi abitanti. Durante le guerre puniche gli Elimi si alleano con Roma e le rimarranno per sempre fedeli; alla fine la città sarà distrutta dai Vandali nel V secolo.
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Tra vittorie, sconfitte, devastazioni e rese, quello che ancora impressiona di Segesta è il suo Tempio Grande. Verrebbe da dire un tempio greco, dorico per la precisione, anche se così non è. O meglio, lo stile risponde pienamente a quello ellenico, ma l’edificio è stato costruito dagli Elimi, quel popolo che veniva dall’Anatolia e non apprezzava certo i Greci.
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Il tempio viene costruito negli ultimi trent’anni del V secolo a.C., quando la città è probabilmente influenzata, nell’arte come in altri aspetti della vita sociale, dal processo di ellenizzazione dell’isola. Forse, sono addirittura greci (delle città confinanti) gli operai che costruiscono il tempio e l’architetto che lo ha progettato.
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C’è però qualcosa che storici e archeologi ancora non sanno spiegare: la mancanza della copertura e della classica cella interna. Forse il tempio è rimasto incompiuto a causa delle continue lotte di quegli anni, o forse si tratta di un imponente luogo di culto in stile dorico, però pensato per riti legati alla religiosità degli Elimi, lasciato volutamente senza tetto né altare. Un’altra ipotesi parla di una copertura e di una cella in legno, andate quindi perdute.
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Degli scavi condotti negli anni ’80 hanno portato alla luce dei resti di costruzioni precedenti: forse quel grande tempio è stato costruito su un luogo sacro, già usato per riti religiosi più arcaici.
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Il misterioso tempio è ancora lì, dopo 2.500 anni, imponente nelle sue dimensioni (61×26 metri), che domina i bassi rilievi circostanti dove praticamente quasi nulla è cambiato durante i secoli trascorsi lenti. In un’isola dove, in alcuni luoghi, il tempo pare immobile, questo tempio ci parla di una storia antica che, ci piace pensare, abbia qualcosa a che fare con i tanti miti che lì sono nati.