Il Suicidio di Massa di Jonestown: 909 morti per un Massacro senza Precedenti

Jonestown, Guyana. Un territorio affacciato sull’Oceano Atlantico, antico possedimento olandese e poi britannico, perso nel vasto continente sudamericano. Un territorio sconosciuto a molti che nel 1978 saltò agli onori della cronaca nera per un avvenimento terribile, senza precedenti:

Il suicidio di massa di Jonestown

A Jonestown aveva sede il People’s Temple Agricultural Project, il Tempio del popolo, una comunità fondata dal pastore statunitense Jim Jones che presto diverrà un vero e proprio movimento religioso.

Sotto, la mappa di Jonestown:

Jones creò il movimento negli anni cinquanta prima nello stato dell’Indiana, poi in California (dove ottenne la notorietà e i consensi che cercava) e infine si spostò nel 1977 nel nord-est della Guyana dove creò l’insediamento di Jonestown.

I principi della comunità si basavano sull’amore tra i popoli, sulla lotta al narcotraffico e sul ritorno alle origini dell’uomo: un’utopia, quella di fuggire dal mondo civilizzato, che incontrò molti oppositori negli Stati Uniti d’America.

Una foto non datata di Jim Jones:

Immagine di California Historical Society

Jim Jones era la guida spirituale di una setta che in quel 1977 contava un migliaio di adepti. La sua idea era quella di trasformare la comunità del Tempio del popolo in un paradiso sulla terra. Idealista di un socialismo apostolico, il reverendo Jones era un uomo conosciuto per la sua simpatia, il suo garbo e le sue granitiche teorie religiose.

Un’immagine destinata a essere scalfita dalle prime voci di provati abusi avvenuti all’interno della congregazione. Così fu costretto a trovare riparo nella zona selvaggia che chiamò Jonestown, terra dove fu seguito da un migliaio di fedelissimi, i People Temples, quasi tutti statunitensi, che in lui vedevano la reincarnazione di Dio.

Una foto non datata di Jim Jones:

Il Tempio del popolo e il suo capo Jim Jones vennero così avvolti da una nube di polemiche e sospetti: oltre alle voci sugli abusi, si aggiunsero quelle di molte famiglie dei seguaci della setta, partiti alla volta della Guyana, che chiesero al governo americano di intervenire per riportare a casa i propri cari.

A Jonestown il reverendo Jones continuava a parlare di integrazione e di giustizia per ogni fascia della società, a far palese il suo disprezzo per le altre religioni, oppio dei popoli secondo la sua rivoluzionaria dottrina, cercando così di allontanare i pericoli per la sua congregazione. Lavorava senza sosta per e con la comunità, ostentando fiducia, creava spazi per far giocare i più piccoli della comune a stretto contatto con gli animali con i quali condividevano quel paradiso terrestre.

I pasti consistevano in quello che la terra attorno donava, vale a dire riso, fagioli e verdure. Il consumo di selvaggina rappresentava un evento raro, e un’alimentazione poco varia portò continui attacchi di febbre e diarrea tra la gente del Tempio. A tutto questo Jones aggiungeva la visione di film che in Guyana non erano mai stati introdotti per concedere momenti di svago ai suoi adepti, che lavoravano per dodici ore al giorno al suo fianco. Momenti di svago che si alternavano alle costanti lezioni della sua speciale idea di socialismo, rafforzata dall’ascolto di radio cubane e sovietiche.

Il reverendo Jones cominciò a sentire il fiato sul collo e sentì avvicinarsi rapidamente la fine del suo utopistico progetto

Poi, giunse la tragica data del 18 novembre 1978. Jim Jones e alcuni seguaci si chiusero in un rifugio del villaggio e registrarono un nastro in cui il fondatore del movimento mise al corrente chi avrebbe trovato la videocassetta che era appena avvenuta un’assemblea durante la quale si era deciso di mettere in atto un suicidio rivoluzionario in risposta a tutti quelli che volevano la fine del sogno di Jonestown.

A precedere il più grande suicidio della storia moderna ci fu l’assassinio di Leo Ryan Jr., deputato statunitense che si era recato a Jonestown in missione ufficiale per controllare le condizioni della comunità e parlare con Jones per trattare un possibile scioglimento della setta.

Ryan, dopo l’incontro, fu ucciso in un agguato a Port Kaituma a colpi di arma da fuoco da alcuni esponenti del Tempio:

Fu il primo membro della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti a cadere in servizio

Nel frattempo a Jonestown un barile di acqua e cianuro dava da bere per l’ultima volta ai componenti dell’utopistica comune voluta da Jim Jones. Il sacerdote assistette personalmente alla dolorosa morte dei suoi adepti, poi si sparò un colpo di pistola alla testa.

La notizia si diffuse presto. I giornali americani ripresero le notizie inviate dall’esercito della Guyana che dichiarò un numero di morti pari a 408. Un dato che però era destinato a crescere, comunicato dopo comunicato.

Il numero di cadaveri aveva già superato le 700 unità quando l’esercito statunitense, qualche giorno dopo, raggiunse l’insediamento. I militari americani scoprirono altri cadaveri. Il numero di vittime lievitò prima a 780 per poi raggiungere la stima definitiva di 909. Sopravvissuti al suicidio collettivo furono in soli 167.

Il cottage dove abitava Jim Jones a Jonestown, Guyana, dopo il massacro. All’esterno sono sparse lettere e carte che erano nel suo archivio:

Circa 400 corpi furono ritrovati ammassati, uno sopra l’altro, mentre il restante mezzo migliaio era sparso in vari anfratti della giungla e ci vollero ben cinque giorni di ricerche per ritrovarli tutti.

In totale furono 909 le vittime, 276 dei quali minori, ai quali vanno aggiunti anche altri 4 morti nelle sede del Tempio del popolo della capitale Georgetown e i 5 uccisi durante la sparatoria di Port Kaituma. Un massacro senza precedenti per una setta religiosa.

Ma fu davvero un consapevole suicidio di massa?

Uno dei bidoni che contenevano il “preparato”, circondato dalle siringhe. La foto è del 26 novembre 1978:

Le prime tesi di una strage per metà suicida e per metà omicida furono espresse dopo alcune settimane. Il medico legale guyanese Leslie Mootoo, tra i primi a raggiungere il luogo della tragedia, dichiarò che dai suoi esami effettuati su un centinaio di corpi emerse che almeno il 70% presentava segni di una iniezione con tracce di cianuro dietro la scapola sinistra, in una zona del corpo impossibile da raggiungere in maniera autonoma.

Alcuni fanatici di Jones dovevano essere stati aiutati nell’azione suicida, specialmente i bambini

Soldati statunitensi riferirono inoltre di molti corpi sui quali erano visibili segni di strangolamento, di arma da fuoco e di balestra. Queste parole dettero ossigeno ad altre teorie dietro il suicidio collettivo di Jonestown. Una delle ipotesi alternative più intriganti fu quella esposta nel 1987 dagli scrittori sovietici S.F. Alinin, B.G. Antonov e A.N. Itskov nel libro “The Jonestown Carnage: A CIA Crime”, in cui vengono messi in evidenza le possibili ragioni anticomuniste dietro al massacro di Jonestown e il possibile pericolo rappresentato dalla setta per gli Stati Uniti d’America.

Nel libro sono elencati i vari incontri che rappresentanti di Jonestown avrebbero avuto con funzionari sovietici: oggetto degli incontri sarebbe stato un possibile accorpamento del villaggio che sarebbe divenuto un enclave dell’Unione Sovietica. Gli americani, dunque, avrebbero visto di buon occhio una possibile eliminazione, violenta o meno, di Jones e dei suoi fedeli, a tal punto da assoldare militari pagati per compiere il massacro.

Un’altra ipotesi vuole la creazione di una brigata rivoluzionaria interna alla setta che decise di attuare la strage per poi sparire

Un’altra ancora, che darebbe un tocco ancora più oscuro alla faccenda, mette in risalto alcuni legami che il reverendo Jones avrebbe tessuto con un agente della CIA, Richard Dwyer, presente all’attentato di Port Kaituma e probabilmente anche a Jonestown qualche ora dopo la tragedia. La CIA avrebbe architettato con Jim Jones una sorta di esperimento di controllo mentale di massa nella comune di Jonestown: gli uomini, le donne e i bambini del Tempio del popolo sarebbero quindi stati utilizzati come cavie.

Tesi affascinanti ma che non trovarono alcun riscontro con la realtà di quanto scoperto nel Tempio divenuto teatro del cruento suicidio di massa

Sulla vicenda si è scritto molto e sono stati sviluppati alcuni film come Il Massacro della Guyana, film del 1979 diretto da René Cardona Jr., e il più recente The Sacrament, pellicola horror del 2013 diretta da Ti West.

Sotto, il trailer della pellicola del ’79:

Antonio Pagliuso

Appassionato di viaggi, libri e cucina, si occupa di editoria e giornalismo. È vicepresidente di Glicine associazione e rivista, autore del noir "Gli occhi neri che non guardo più" e ideatore della rassegna culturale "Suicidi letterari".