C’è un racconto che a Erto, paese della Val Vajont, nelle dolomiti friulane, circola da più di settant’anni. Riguarda Don Giusto Pancino, che fu pievano del paese durante l’ultima guerra e che, secondo alcune circostanziate ricostruzioni storiche (tra cui il bel libro di Dino Barattin “Il segreto di Don Pancino”), avrebbe avuto un ruolo importante nelle ultime fasi del conflitto, in virtù della sua amicizia di lungo corso con la famiglia Mussolini, per la quale portò avanti alcune importanti missioni diplomatiche, ma non solo.
Don Giusto è un personaggio controverso, sfuggente, che esce dalle nebbie della storia avvolto da un’aura di misteri. Secondo alcuni fu anche una sorta di agente segreto per conto dei nazisti, per altri collaborò con i partigiani del CLN. Di certo non fu solo il parroco di un remoto paesino delle montagne friulane, ma il depositario di molti segreti, un “protagonista nell’ombra” (questo il titolo di un altro libro a lui dedicato, scritto da Don Matteo Pasut), che si confrontò, sebbene dietro le quinte, con molti dei protagonisti principali della grande storia, compresi Mussolini e Hitler.
Ma veniamo al racconto in questione. Siamo all’inizio dell’estate del 1945. La guerra è finita da qualche settimana, ma ogni tanto si spara ancora, tra processi sommari e vendette, come sempre avviene nelle guerre civili, quelle che si combattono spesso anche tra compaesani, vicini di casa, alle volte perfino tra parenti. Gente che si conosce, insomma, e che non è disposta a dimenticare così in fretta le violenze e i soprusi subiti solo perché politici e generali hanno firmato qualche foglio di carta.
Insomma, in quei giorni concitati la situazione è tutt’altro che tranquilla. Ai primi di maggio gli ultimi tedeschi stanno cercando di tagliare la corda in fretta e furia per tornarsene a casa. Una dozzina di soldati, che fanno parte della guarnigione della Werhmacht ad Erto, dopo essere stati disarmati, vengono accompagnati da alcuni giovani del luogo lungo i sentieri della Val Zemola. Sono convinti che verranno portati sulla strada d’Alemagna, attraverso la spalla del monte Duranno, per evitare la bassa valle del Piave, che è già saldamente nelle mani dei partigiani e degli alleati. Ma la vendetta non si fa attendere:
Vengono tutti freddati a colpi di piccone e gettati in un orrido nel mezzo della valle, poco prima delle ghiaie del torrente omonimo
Erto come appare oggi con il monte Toc sfregiato dalla frana che causò il disastro del Vajont:
In questo clima di precipitosa smobilitazione e di terrore alcuni strani personaggi arrivano a Erto su due lussuose berline per prendere in consegna un paio di cassette lucchettate, dalle mani del pievano, Don Giusto Pancino. C’è poi una terza cassetta, di legno con i rinforzi in ferro, anch’essa chiusa con un lucchetto, ma il parroco la tiene per sé, per affidarla poi a due ragazzi del paese, giovanissimi ma già esperti rocciatori, affinché la nascondano in un luogo sicuro.
Cosa ci fosse in quella cassetta è a tutt’oggi argomento di ipotesi e congetture, dalle più realistiche alle più suggestive. Le memorie dello stesso Don Pancino? Uno stralcio dei diari di Galeazzo Ciano, che il prete di Erto ebbe, per certo, in custodia per un breve periodo? Altri carteggi riservati riguardanti i contatti tra la Repubblica Sociale e gli Alleati attraverso la Santa Sede per intavolare una trattativa di pace?
Sotto, Galeazzo Ciano:
Quella dei diari di Galeazzo Ciano è l’ipotesi più suggestiva, oltre ad essere piuttosto verosimile. Furono oggetto di una ricerca forsennata da parte di nazifascisti ed alleati perché i segreti che contenevano erano tali, si diceva, da creare seri imbarazzi a diversi statisti di entrambi gli schieramenti.
Il New York Times già nel 1944 lì definì: “Uno dei documenti storici più importanti della Seconda Guerra Mondiale”. Ad occuparsene per conto degli americani fu nientemeno che Allen Welsh Dulles, il futuro capo della nascitura Cia, all’epoca direttore dell’Oss in Europa, che concentrò le sue indagini in Svizzera, dove era riparata Edda, figlia del Duce e moglie di Galeazzo. Dulles riuscì infine nel gennaio del 1945 a farsi consegnare da Edda 5 agende, che furono fotografate. I diari, quantomeno quelli che furono consegnati all’Oss, furono poi pubblicati a puntate dal Chicago Daily News e vennero utilizzati come prove d’accusa al processo di Norimberga, in particolare contro l’ex ministro degli esteri del Reich, Joachim von Ribbentrop, che fu condannato a morte. E’ confermato anche da Edda Ciano nelle sue memorie che quei carteggi rimasero per un certo periodo di tempo fisicamente in possesso dello stesso Don Pancino.
Mauro Corona, scultore e scrittore oggi di fama internazionale, custode della memoria e aedo di queste montagne, ha raccontato questa storia qua e là in alcune delle sue novelle, parlando di uno dei due ragazzi, del quale però ha sempre coperto la vera identità, chiamandolo con lo pseudonimo di “Gispo”.
Sotto, l’autore dell’articolo Piergiorgio Grizzo e Mauro Corona:
“Conoscevo bene il ragazzo a cui Don Pancino consegnò la famosa cassetta. Quando era già piuttosto in là con gli anni e infermo per una brutta malattia, mi diceva spesso in dialetto ertano: tu che sei bravo ad arrampicare, perché non provi ad andare a recuperare la cassetta? Mi raccontava che Don Pancino gliela aveva consegnata subito dopo la guerra perché la nascondesse in un luogo sicuro, all’asciutto, raccomandandogli di ricordarsi per filo e per segno dove l’avesse nascosta”.
Le versioni sono discordanti. Per Corona il ragazzo dei fatti era uno solo; per altri erano invece due. Due ragazzi di vent’anni o poco più.
“Gispo era bravissimo ad arrampicare – continua lo scrittore di Erto – i migliori del paese, forse di tutte le nostre montagne, erano lui e altri due, sempre della classe 1922, Pine de Bado e Vittorio de Crosta, due formidabili rocciatori. Questi due ovviamente non c’entrano con questa faccenda”.
“Ebbene, quando gli chiesi cosa ci fosse dentro questa benedetta cassetta, mi rispose: una pistola Luger, un po’ di roba d’oro e poi una grande quantità di scierte, di carte.”
“Mi raccontò che aveva deciso di nascondere la cassetta in un piccolo anfratto su una parete a strapiombo del Monte Cornetto, tra balze di roccia e strette cenge, un luogo da camosci”.
“Ovviamente Gispo non sapeva nulla sul contenuto di quelle carte, ma, conoscendo i trascorsi di Don Pancino, i suoi rapporti confidenziali con Mussolini ed Edda Ciano, e la cautela con la quale aveva affidato quel materiale all’ignaro ragazzo, perché lo nascondesse, è verosimile che si trattasse di documenti estremamente importanti e riservati”.
“Mi disse anche che per trovare il piccolo antro avrei dovuto arrampicare e che la parete era trist, difficile. In ertano, infatti, i gradi alpinistici sono solo due: bon, facile, e trist, difficile”.
“Negli anni a venire di tanto in tanto ho svolto qualche ricerca frettolosa sulle pareti del Cornetto, ma senza risultati. Mi sono sempre ripromesso di dedicarmici nuovamente, stavolta con il giusto zelo, e prima o poi lo farò.
“Qualcuno nel frattempo ci ha provato, ma ha trovato solo dei fucili arrugginiti”.
Anche Italo Filippin, altra famosa memoria storica di queste montagne ha tentato un recupero. Armato di metal detector, ha perlustrato una parte della parete che guarda verso Erto. Ma in quel teorema infinito di cenge, balze, canaloni, antri e spaccature individuare il pertugio, che nasconde la cassetta, è come cercare un messaggio infilato in una bottiglia e consegnato al mare.
Mauro Corona ne è convinto: “La cassetta di Don Pancino, con i suoi segreti, è ancora là, nascosta da qualche parte e prima o poi la troverò.”