Il Rituale segreto del Cannibalismo iniziatico della Società Hamatsa dei Nativi Americani

Tra i popoli Kwakwaka’wakw, nativi americani originari del Pacifico Nord-Occidentale, esisteva quella che potrebbe definirsi una “società segreta” chiamata Hamatsa, dedita al cannibalismo rituale. Secondo l’antropologo Franz Boas, che studiò le tribù Kwakwaka’wakw durante la fine degli anni ’80 dell’800, esistevano quattro società principali: la società della guerra (Winalagalis), la società della magia (Matem), la società dell’aldilà (Bakwas), e appunto la società “cannibale” (Hamatsa).

La società Hamatsa era la più prestigiosa di tutte. I rituali che compivano i Kwakiutl non sono del tutto chiari, ed è difficile definire con l’accezione moderna di “cannibalismo” le loro pratiche religiose. Questo era un cannibalismo di tipo iniziatico e religioso, ben lontano dal cannibalismo che praticavano i lontani popoli delle Fiji nello stesso periodo storico, e il termine “cannibale” va quindi assurto a puro significato simbolico e letterale. A causa della natura segreta della società Hamatsa, probabilmente non si giungerà mai a una comprensione completa dei rituali che questi nativi erano soliti praticare.

Il percorso di iniziazione

I giovani venivano introdotti nella società a 25 anni, durante un percorso che durava diverso tempo e che era articolato e complesso. Il ragazzo veniva tenuto nella foresta in un luogo segreto, dove doveva digiunare e lavarsi in acque gelide per purificare il proprio spirito. Il percorso gli faceva perdere quello che si potrebbe definire il suo “odore umano”, per essere adeguatamente puro da avvicinarsi agli spiriti.

Poco prima della fine del suo esilio, gli veniva portato un cadavere nella capanna, per giungere alla parte finale del rituale

Sotto, una fotografia di Edward Curtis del 1914 ritrae uno Sciamano Hamatsa mentre è “posseduto” dagli spiriti della natura. Fonte: Wikipedia

Il cadavere

Il corpo della persona deceduta era di uno dei membri dei Kwakwaka’wakw, che usavano seppellire i propri morti sugli alberi. Veniva messo in una bara in legno di ridotte dimensioni, e le scatole posizionate sopra un albero. Sui rami venivano accatastati più feretri, e i corpi venivano così mummificati.

Il rito dell’essiccazione

Quando un giovane doveva entrare a far parte della società segreta, e aveva terminato il percorso di purificazione, si prelevava una cassa, si estraeva la mummia e la si immergeva nell’acqua salata. Lo sciamano prendeva dei ramoscelli, ai quali venivano tolte le foglie, e rimuoveva la pelle, lasciando la carne sottostante scoperta. Il ventre veniva aperto e svuotato, e l’iniziato doveva affumicare ciò che rimaneva del cadavere all’interno della propria capanna (come dall’immagine sottostante, di Edward S. Curtis – 1910).

Il Rituale Finale

Uno degli aspetti poco chiari del rituale finale è quello di chi mangiasse la carne, se solo l’iniziato o tutti i membri della società Hamatsa. Probabilmente era solo il giovane ad ingoiare pezzi interi di carne essiccata, che vomitava poco dopo grazie all’ingestione di grandi quantità di acqua di mare.

Durante il rito, l’iniziato indossava una maschera, che era parte vitale dell’arte e della cultura degli Kwakiutl, e raffigurava esseri mitologici, animali, forze della natura o altri esseri umani. Normalmente la maschera veniva realizzata con legno di cedro. Durante le danze rituali veniva raccontata una storia mitica, del gigante cannibale Baxbaxwalanuksiwe, e l’iniziato mordeva (scherzosamente) alcuni dei presenti. Alla fine, venivano offerti dei doni a tutti coloro i quali avessero partecipato al rituale, e veniva riconosciuto il giovane come nuovo membro della società segreta.

Sotto, l’eccezionale documentario diretto da William Heick con la danza rituale Hamatsa, riprodotta da alcuni Nativi Americani in British Columbia nel 1951.

Fotografia originale di Edward Curtis, libreria del Congresso statunitense

Fonti: WikipediaHamatsa: The Enigma of Cannibalism on the Pacific Northwest Coast di Jim McDowell

Matteo Rubboli

Sono un editore specializzato nella diffusione della cultura in formato digitale, fondatore di Vanilla Magazine. Non porto la cravatta o capi firmati, e tengo i capelli corti per non doverli pettinare. Non è colpa mia, mi hanno disegnato così...