Il Re Creso e l’interpretazione errata degli Oracoli che gli costò il Regno

Creso, potente e ricchissimo re della Lidia, proprio non se la sente di combattere i temibili Persiani di Ciro il Grande senza aver prima consultato un oracolo.

Il Re Creso in un dipinto di Claude Vignon, 1629

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La posta in gioco è alta: il sovrano persiano ha già sottomesso la Media e certamente punta a conquistare la Lidia e le colonie greche della Ionia, peraltro in ottimi rapporti con Creso, che pensa bene di allearsi, in previsione dell’imminente conflitto, con l’Egitto, Babilonia e Sparta.

Creso però, per andare sul sicuro, decide di consultare un oracolo, anzi più d’uno, perché dopo tutto non è che ci azzecchino sempre e, tra l’altro, emanano responsi difficili da decifrare e buoni per ogni interpretazione (con il senno di poi).

Il sovrano quindi decide di mettere alla prova i più conosciuti e consultati oracoli dell’epoca, e nel 560 a.C. invia i suoi emissari

– a Delfi, il più celebre di tutti, dove la Pizia risponde per bocca di Apollo;
– ad Abe, in Focide, dove c’è sempre un oracolo di Apollo;
– a Dodona, in Epiro, dove c’è il più antico oracolo di tutta la Grecia (risalente forse al II millennio a.C.), dove la quercia sacra di Zeus fornisce responsi, interpretati dai sacerdoti, con lo stormire delle sue fronde;
– a Lebadea, in Beozia, dove si può consultare l’oracolo di Trofonio, un eroe trasformato forse in divinità o forse in demone;
– a Didima, nell’odierna Turchia, dove c’è un oracolo di Apollo;
– nell’oasi di Siwa, in Libia, dove c’è l’oracolo di Ammone, molto rispettato in Grecia e consultato persino da Alessandro Magno;
– l’oracolo di Anfiarao, a Oropo, una città tra l’Attica e la Beozia.

Il tempio di Amon nell’oasi di Siwa, in Libia

Immagine di Roland Unger via Wikimedia Commons – Licenza CC BY-SA 3.0

Le persone incaricate del delicato compito, devono porre la stessa domanda a ciascun oracolo, alla stessa ora dello stesso giorno:

“Cosa sta facendo il re Creso in questo momento?”

Secondo la narrazione di Erodoto, “…In tal modo Creso voleva verificare le conoscenze degli oracoli: se avesse riscontrato che conoscevano la verità, avrebbe inviato nuovi corrieri per chiedere se poteva intraprendere spedizioni militari contro la Persia”. (Erodoto, Storie – Libro I, XLVI)

Il grande Tempio oracolare di Apollo a Didima

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Sempre Erodoto riporta che Creso aspetta il ritorno di tutti i corrieri e legge i responsi uno dopo l’altro, ma solo due lo soddisfano. Uno è quello emesso dalla Pizia di Delfi, che vaticina in versi:

“Io della spiaggia conosco le arene e il volume del mare, il sordomuto comprendo e se pure non parli l’intendo. Di tartaruga dal cuoio robusto un odore mi giunge, Cotta nel bronzo insieme con pezzi di carne di agnello: Bronzo v’è sotto disteso, ed essa di bronzo vestita”. (Erodoto, op. cit.)

Creso è soddisfatto perché ha escogitato qualcosa difficile da indovinare: come poteva la Pizia sapere, se non grazie a una divinazione, che lui stava personalmente cucinando una tartaruga e un agnello, in una pentola di bronzo chiusa da un coperchio, pure di bronzo? L’oracolo di Delfi è dunque affidabile.

Tempio di Apollo a Delfi

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Erodoto continua il suo racconto confessando di non essere in grado di dire quale fosse stata la risposta dell’oracolo di Anfiarao, perché “nemmeno il testo di questo oracolo ci viene tramandato, ma posso dire che Creso giudicò di aver ricevuto un vaticino veritiero”. (Erodoto, op. cit.)

L’Anfiareo di Oropo

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Arrivati al dunque, Creso decide quindi di consultare, riguardo alla guerra contro i Persiani, sia l’oracolo di Delfi sia quello di Anfiarao. I suoi emissari rivolgono il medesimo quesito e ottengono la stessa risposta:

“Alle loro domande entrambi gli oracoli diedero identica risposta, preannunciando a Creso che, se avesse mosso guerra ai Persiani, avrebbe rovesciato un grande regno; e gli consigliarono di trovare quali fossero i Greci più potenti e di assicurarsene l’amicizia.” (Erodoto, op. cit.)

Creso dunque, rincuorato dai vaticini e certo di sconfiggere i Persiani, attacca l’esercito nemico e il resto è storia: Ciro il Grande vince e fa prigioniero Creso. Il grande e ricco regno di Lidia praticamente scompare:

Le profezie della Pizia e dell’oracolo di Anfiarao si sono avverate

Non bisogna incorrere nell’errore di considerare Creso uno sprovveduto credulone, perché nel mondo ellenico gli oracoli rivestivano una grande importanza per tutti ed erano, tra l’altro, una immensa fonte di guadagno per i sacerdoti che se ne occupavano.

Il santuario di Dodona

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Gli oracoli fanno la loro comparsa in tempi antichissimi, prima ancora della completa definizione del Pantheon Olimpico: tutti i vaticini erano pronunciati dalla Madre Terra – la cui autorità era indiscussa – per tramite delle sue sacerdotesse.

Quando assumono maggiore importanza le divinità maschili, anche i templi oracolari cadono sotto la loro protezione e i sacerdoti si sostituiscono alle sacerdotesse, costrette nel tempo a servire i nuovi dei. Ed è così che l’oracolo di Dodona e quello libico di Siwa, consacrati inizialmente all’antica dea Dione, vengono espropriati da Zeus e Ammone, e dai loro sacerdoti. Lo stesso accade a Delfi, dove Apollo subentra alla Madre Terra, che vaticinava per bocca della sua profetessa Dafni, seduta su un tripode a inalare vapori psicotropi per emettere oscuri responsi. La famosa Pizia (nome che designava le tre diverse sacerdotesse di Apollo prescelte per il culto) ugualmente inspirava quei vapori ed emetteva i suoi responsi – incomprensibili – che venivano poi “tradotti” e scritti in versi da un sacerdote.

Più affascinanti e misteriosi sono però altri due oracoli, consultati anch’essi da Creso, dedicati non a divinità conosciute, ma a due eroi: Trofonio e Anfiarao.

Trofonio raffigurato nella Historia Deorum Fatidicorum, 1675

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Trofonio, figlio del re Ergino, si impegna, insieme al fratello Agamede, nella costruzione di un tempio a Delfi, in onore di Apollo. Quando il sacro edificio è completato, l’oracolo suggerisce ai due di distrarsi per sei giorni con attività di loro gradimento, così nel settimo giorno avrebbero visto esaudirsi il loro desiderio più grande.
E’ così dunque che nel fatidico giorno i due muoiono perché, come poi scrisse un poeta, forse ispirato dalla loro fine, “coloro che gli dei amano muoiono giovani”.

A Lebadea c’è una grotta, luogo del misterioso culto di Trofonio, un oracolo non certo facile da consultare.

Il supplice deve purificarsi per svariati giorni, poi viene lavato da due fanciulli nel fiume Ercina. A quel punto deve bere a una fonte da dove sgorga la miracolosa Acqua del Lete, capace di fargli dimenticare tutto il suo passato, e poi alla fonte dell’Acqua della Memoria, che gli farà ricordare ciò che vede e sente durante la consultazione. A quel punto, abbigliato come una vittima sacrificale, deve scendere nelle profondità della voragine oracolare, sette metri sotto terra. Giunto lì deve infilare le gambe in un pertugio, tenendo fra le mani un pane d’orzo. All’improvviso qualcosa o qualcuno gli tira le caviglie, mentre tutto il suo corpo sembra essere travolto un gorgo, sente un colpo alla nuca e ha la sensazione di morire. In quello strano stato di vigile incoscienza, una voce senza corpo gli racconta il futuro e altri misteriosi segreti.

Non appena la voce tace, il povero supplice (chissà se sapeva a cosa andava incontro?) sviene, e qualcuno lo riporta, a piedi in avanti, all’imbocco della voragine (senza il pane). Viene poi fatto sedere sul Trono della Memoria, dove deve ripetere quanto appreso durante la consultazione. Infine, ancora intontito, ritorna nella casa del Buon Genio, dove rinviene e riesce nuovamente a sorridere. Ma di chi è la misteriosa voce udita nelle profondità della terra? E’ di uno dei Geni Buoni, scesi dalla Luna durante l’età dell’oro proprio per presiedere agli oracoli e correre in aiuto dei mortali. Il Genio è però solo un intermediario tra l’uomo e l’ombra di Trofonio (tramutato in serpente) che si accontenta di una forma di pane per dispensare i suoi responsi.

Insomma, ci voleva un bel coraggio o una grave necessità per consultare Trofonio!

Anfiarao è invece un eroe mitologico, sovrano di Argo, che partecipa alla spedizione dei Sette contro Tebe. Partecipa nonostante sappia in anticipo, grazie ai suoi poteri divinatori, che sarebbe morto proprio lì: scampato al duello con Lastene, fugge sopra un cocchio, inseguito da Periclimeno. I misericordiosi Zeus e Apollo aprono una voragine che inghiotte l’eroe con tutto il cocchio.

Proprio in quel punto sorge l’Anfiareo di Oropo, il santuario dedicato all’eroe, venerato come divinità ctonia.

I resti della stoà nell’Anfiareo di Oropo

Immagine di George E. Koronaios – pubblico dominio

Molto più semplice la procedura di consultazione, che si basa sull’incubatio: i pellegrini arrivano al santuario, sacrificano degli arieti (non prima di aver pagato la quota necessaria), e poi dormono nella pelle dell’animale, su panche di marmo poste intorno al tempio, nella stoà, e probabilmente anche in qualche celletta interna. Durante il sonno arrivano le risposte alle domande poste alla divinità, che manda sogni rivelatori.

Immagine di Nefasdicere via Wikimedia Commons – licenza CC BY 2.5

Phillipp Vandenberg, autore di un libro illuminante (anche se ormai datato e difficile da trovare), Oracoli, scrive:
“L’oracolo di Anfiarao era una vera e propria “fabbrica dei sogni” in cui, con metodi dubbi, le persone venivano addormentate per giorni e programmate per sognare il proprio futuro.”

Nell’antichità e ancora oggi, le fabbriche dei sogni (di qualsiasi tipo esse siano) hanno sempre avuto grande successo. L’Anfiareo, così come l’oracolo di Delfi, rimase attivo probabilmente ben oltre l’avvento della religione cristiana, addirittura forse fino al V secolo d.C., a dimostrazione che spesso religione e superstizione hanno continuato a camminare di pari passo per molto tempo, e forse lo fanno tuttora…


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