Gli inizi del 900 furono un periodo segnato dalle grandi emigrazioni, in particolare dall’Europa verso il nuovo Continente. La sempre più alta richiesta di spostamenti fece sì che anche l’industria navale iniziasse a svilupparsi, iniziando a concepire nuovi transatlantici sempre più lussuosi per tutte le classi e più tecnologici. Sicuramente i maestri del campo furono le società inglesi Cunard e White Star Line, quest’ultima, proprietaria del famoso Titanic.
Tuttavia anche l’Italia cercava di essere competitiva e competente nel settore transoceanico, grazie alla compagnia navale Lloyd Italiano. E fu quest’ultima compagnia che nei primi anni del 1900 sviluppo l’idea di due grandi piroscafi lussuosamente arredati per le rotte del nord America e del sud America. L’idea iniziale scaturì nella costruzione dei piroscafi “Principessa Jolanda” e “Principessa Mafalda”, dedicati ovviamente alle prime due figlie del Re Vittorio Emanuele III.
Col senno di poi diremmo che i due piroscafi nacquero sotto due stelle sbagliate. Infatti nel 1907 fu approntato per primo il Principessa Jolanda, il quale durante la fastosa cerimonia del varo, a soli pochi minuti dall’aver toccato l’acqua si rovesciò sul lato sprofondando a pelo d’acqua, rendendo la nave in seguito inutilizzabile e non recuperabile.
Destino migliore ebbe, almeno in fase iniziale, la sorella Principessa Mafalda che, grazie anche a degli accorgimenti fatti dopo il tragico destino del primo piroscafo, compì il viaggio inaugurale grandiosamente, con a bordo il Duca d’Aosta che si complimentò per le doti tecniche della nave ma soprattutto per il grande sfarzo e il lusso degli interni. Infatti il Principessa Mafalda nulla aveva da invidiare alle più belle regge e ville del mondo, con le sue cupole di cristallo, i suoi saloni sviluppati su più piani e le sue cabine spaziose e confortevoli così come gli alloggi di terza classe che erano piuttosto comodi con servizi igienici e cabine.
Il Principessa Mafalda:
Per anni fu considerata un’orgoglio dell’ingegneria navale italiana, venendo anche utilizzata come nave-alloggio durante la Grande Guerra, per poi riprendere la sua normale rotta, nonostante gli sviluppi tecnologici del post guerra, avessero fatto di essa un piroscafo ormai obsoleto e vecchio. Infatti negli ultimi anni di vita la nave fu quasi totalmente privata di qualsivoglia riparazione, rendendola un’ombra della lussuosa nave che era un tempo.
Il duca Emanuele Filiberto d’Aosta che inaugurò il piroscafo il 30 marzo 1909
Fu quindi deciso nel 1927, che la nave era ormai arrivata al capolinea, con quasi 20 anni di servizio alle spalle, ed era giunto il momento di demolirla, ma non prima di un ultimo viaggio verso il Brasile.
Una delle cabine di prima classe:
Così, martedì 11 ottobre 1927, il Principessa Mafalda, sotto il comando di Simone Gulì, caricò 1259 passeggeri diretti a Buenos Aires. Tra loro vi era il pasticciere Ruggero Bauli. Il comandante Gulì aveva quasi implorato la società armatrice di non far partire il piroscafo, da lui considerato poco sicuro, e addirittura chiese il trasferimento dei passeggeri sul Giulio Cesare, adducendo come scusa le poche prenotazioni di prima classe. Tuttavia la società riteneva la nave in grado di compiere quest’ultimo viaggio. Già alla partenza, il piroscafo fu bloccato in porto per problemi ai motori, che ritardarono il viaggio di 5 ore.
Il Salone:
Nel solo tratto Genova-Barcellona la nave si fermò 8 volte, in Spagna rimasero per 24 ore cercando di riparare il motore di dritta e alcune pompe, mentre ripreso il viaggio si dovette optare per una sosta forzata a Dakar per riparare un’asse dell’elica. In seguito furono riscontrati anche guasti alle celle frigorifere che portarono al deperimento degli alimenti e a conseguenti malesseri tra i passeggeri. Quindi la tappa fu a Sao Vicente per fare rifornimenti e aggiustare le celle. A seguito di quest’ultima riparazione il viaggio riprese tranquillamente, nonostante forti vibrazioni a causa di guasti al motore. Guasti che indussero il comandante a chiedere alla società di trasbordare i passeggeri su un’altra nave, richiesta che fu respinta.
Dopo quasi due settimane di viaggio, il 25 ottobre a 80 miglia da Rio la nave iniziò a navigare inclinata verso sinistra e il pomeriggio ci fu un forte boato che spaventò i passeggeri.
L’asse dell’elica di sinistra si era sganciato e nel farlo, rotando su se stessa aveva creato un enorme squarcio nelle paratie di poppa
Tramite telegrafo furono immediatamente avvertiti i bastimenti vicini, i quali pur raggiungendola non si avvicinarono per paura delle esplosioni. In questo contesto si risolse il dramma.
La nave fortemente inclinata non permetteva l’utilizzo di tutte le scialuppe, e quelle utilizzabili erano gravemente danneggiate, imbarcando acqua e distruggendosi. La gente era in preda al panico. Molti si spararono pur di porre fine al loro tormento. Molti si buttarono in mare venendo mangiati dagli squali, mentre i più fortunati riuscirono a raggiungere le scialuppe.
Il comandante Gulì chiese ai musicanti di suonare la Marcia Reale e decise di morire sulla sua nave.
Una rara immagine delle prime operazioni di evacuazione prima dell’affondamento
Alle 22.20 del 25 ottobre 1927, la poppa completamente sommersa sprofondò, e il Principessa Mafalda si issò dritto verso il cielo, per poi sprofondare verso gli abissi dell’Atlantico con molti passeggeri ancora a bordo. Le vittime non furono mai contate in modo preciso perché il regime fascista cercò di occultare la tragedia. Si stima che persero la vita dalle 300 alle oltre 600 anime.
L’allora Ministro delle Comunicazioni Costanzo Ciano: