A partire dagli albori della letteratura, il mistero che si cela sotto la crosta terrestre è stato esaminato da illustri poeti, scrittori e studiosi. Per citare qualche nome, Dante Alighieri accede al sottosuolo con Virgilio nella Divina Commedia e Jules Verne in “Viaggio al centro della Terra” ne immagina lo scenario con vivide descrizioni.
Spingersi oltre i margini, gli ostacoli, che madre natura ci impone, è da sempre un desiderio dell’uomo, e naturalmente, degli scienziati.
Sotto, il video del pozzo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:
Per questi ultimi scoprire cosa celi il rivestimento terrestre è una prerogativa da molto tempo. Numerosi progressi sono stati raggiunti, anche e soprattutto grazie all’invenzione di macchinari adatti alla perforazione delle dure rocce sottostanti la crosta terrestre.
Al posto di interrogarsi lasciando spaziare l’immaginazione, gli scienziati, alla fine degli anni Cinquanta del Novecento, affrontarono di petto il problema: vennero fatte costruire enormi trivelle con lo scopo di scoprire i segreti del sottosuolo.
Questo avvenne principalmente negli Stati Uniti e in Unione Sovietica, dove, alternativamente alla corsa verso lo spazio, se ne sviluppò una verso il nucleo terrestre.
Negli Stati Uniti il progetto ebbe inizio nel 1957, e venne nominato “Project Mohole” e si stabilì al largo della costa del Pacifico del Messico. Sebbene armati delle migliori intenzioni, gli americani furono costretti a interrompere le attività, nel 1966, a causa della mancanza di fondi.
Sotto, una delle sei boe sommerse utilizzate per il posizionamento dinamico del Project Moonhole. Calate a circa 60 metri, venivano disposte in cerchio, con la trivella che si trovava ad operare al suo centro:
Quasi contemporaneamente i rivali russi iniziarono le loro operazioni di trivellazione, situate nella Penisola di Kola, sulla costa Baltica. Il progetto venne chiamato “Kola Superdeep Borehole” (Kolskaya sverkhglubokaya skvazhina, in russo), ovvero “Il profondissimo pozzo di Kola”, e cominciò il 24 Maggio 1970.
A partire da quell’anno, sino al 1994, i russi riuscirono a penetrare ben un terzo della crosta continentale Baltica, realizzando un pozzo che, ancor oggi, è il punto artificiale più profondo al mondo
Sotto, il sito nel 2007. Fotografia di Andre Belozeroff condivisa con licenza CC BY-SA 3.0 via Wikipedia:
Nel 1970, anno di inizio dei lavori, l’obiettivo era raggiungere circa 14 chilometri nelle profondità del sottosuolo. Per ottenere ciò furono trivellati diversi pozzi che, attraverso una ramificazione, avrebbero portato a quello principale.
Il ‘ramo’ più profondo di essi si chiama SG-3 e nel 1989 aveva raggiunto una profondità di 12 chilometri
I russi si prefissarono l’obbiettivo, entro il 1990, di raggiungere i 13 chilometri, e infine i 14 chilometri entro il 1993.
Tuttavia e inaspettatamente, le temperature raggiunte a quella profondità resero impossibile continuare i lavori, e si fermò tutto. Gli scienziati avevano stimato che, alla profondità di 12 chilometri, ci si sarebbe potuti aspettare una temperatura di circa 100 gradi centigradi: ve ne erano invece 180.
Prendendo atto del rilevamento, venne decretato irrealizzabile continuare a perforare più a fondo di 14 chilometri, poiché si sarebbe raggiunta l’impraticabile temperatura di 298 gradi centigradi. Le perforazioni vennero effettuate impiegando la trivellatrice Uralmaš 4E e più tardi la Uralmaš della serie 15000.
La profondità finale raggiunta fu di 12.261 metri
Dunque, le operazioni di trivellazione si fermarono alla fine degli anni Novanta, e il progetto venne stabilito concluso nel 2006. Le strutture vennero abbandonate e dismesse nel 2008, e sono tutt’oggi presenti sul luogo, dove vengono visitate dai curiosi.
Sotto, il francobollo commemorativo realizzato nel 1989:
Nonostante sia stata un’opera incompiuta, il Kola Superdeep Borehole diede al mondo scientifico grandi soddisfazioni: è stato possibile infatti fare numerosi rilevamenti e scoperte riguardo la struttura del sottosuolo terrestre.
Una delle più interessanti è senz’altro quella del ritrovamento di ammassi di plancton fossile, rinvenuti a 6 chilometri sotto la superficie terrestre. Nonostante le alte temperature, i fossili erano incredibilmente intatti, quindi adatti allo studio scientifico.
Sotto, il sito oggi, completamente in stato di abbandono. Fotografia di Bigest condivisa con licenza CC BY-SA 3.0:
L’ambizioso progetto mise in luce quanto ancora la natura sia invalicabile, sotto certi aspetti, e di quanto invece dimostri un’impareggiabile capacità di resilienza.