Ai Romani, si sa, piaceva costruire strade, infrastrutture che contribuirono non poco al successo militare e commerciale della Città Eterna. Oltre alle strade i Romani costruiscono, quando è necessario, anche ponti, disseminati in tutte le province dell’impero. Un ingegnere statunitense, Colin O’Connor, si è preso la briga di stilare un elenco di Ponti Romani, che comprende 330 strutture in pietra, 34 in legno e 54 ponti di acquedotti (altro punto di forza della civiltà romana, insieme al sistema fognario). Il Professor Vittorio Galliazzo, dell’Università Ca’ Foscari, ne conta 900 (nel suo libro del 1995 I Ponti Romani).
Ponte di Tiberio a Rimini
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E’ impossibile sapere quanti ponti abbiano costruito i Romani nel corso della loro lunga storia, quanti siano andati distrutti dall’usura del tempo o da eventi bellici e naturali. Di certo c’è solamente la grande capacità di approntare, anche in tempi brevissimi, strutture solide e funzionali, che all’occorrenza venivano di proposito demolite, anche nel volgere di pochi giorni.
Nel 58 a.C, il proconsole Caio Giulio Cesare che sgomita per conquistare prestigio e potere, si convince della necessità di conquistare la Gallia (all’epoca era provincia romana solo la Gallia Narbonense) a scopo preventivo: la miglior difesa, da che mondo e mondo, è l’attacco…
Il mondo romano nel 58 a.C. prima della conquista della Gallia
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La campagna militare, raccontata da lui stesso nel De bello gallico, si protrae per otto anni, dal 58 al 51/50 a.C. Otto anni di battaglie, scontri cruenti, stermini e conquiste di interi popoli: Cesare, con i suoi legionari, se la deve vedere con gli Elvezi, i Germani, i Belgi, i Celti, i Britanni, divisi in innumerevoli tribù, alcune delle quali si arrendono senza nemmeno combattere, mentre altre già sottomesse si ribellano.
Nel 55 a.C. il fiume Reno rappresenta un confine naturale tra i territori abitati dai Germani e la Gallia. Sulla sponda orientale del fiume premono però popolazioni sospinte verso sud-ovest dagli Suebi (o Svevi), che migrano da territori vicino al Mar Baltico.
Tencteri ed Usipeti attraversano la Mosa e poi il Reno, e svernano sul lato ovest, incoraggiati anche da alcune tribù galliche. Cesare, quando viene a conoscenza della cosa, accorre sul luogo. I rifugiati Germani offrono la loro alleanza ai Romani, in cambio del permesso di rimanere su quelle terre. Il generale romano sdegnosamente rifiuta: come possono pretendere di occupare il suolo di altre popolazioni, visto che non sono stati in grado di difendere i propri dai Suebi?
Cesare, magnanimamente, suggerisce loro di riattraversare il Reno e stabilirsi nei territori degli Ubi, unico popolo germanico in relazioni amichevoli con i Romani. Accade però che, ancora durante la trattativa, uno squadrone di cavalleria romana viene messo in fuga dai Germani. Cesare è furibondo e non fa attendere la risposta: massacra tutti quelli che trova nell’accampamento, mentre i sopravvissuti guadagnano la riva opposta del Reno.
La probabile posizione del ponte di Cesare sul Reno
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Potrebbe finire qui, ma visto che vale sempre il principio che la miglior difesa è l’attacco, Cesare decide di passare il Reno, una mossa fatta sicuramente più a cuor leggero di quando poi, nel 49 a.C., alla fine della campagna in Gallia, decide di attraversare il Rubicone, con un atto di ribellione agli ordini del Senato, che avrebbe in seguito cambiato la storia di Roma.
Ponte romano sul Rubicone, a Savignano
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Cesare vuole dare una dimostrazione della sua forza ai Germani, e sostenere gli Ubi che avevano chiesto il suo intervento, offrendogli anche le loro navi per attraversare il Reno.
Scrive il condottiero nel De bello Gallico:
“Portata a termine la guerra contro i germani, per molte cause Cesare prese la decisione di passare il Reno; e la più importante di queste cause fu il fatto che, vedendo che tanto facilmente i germani si facevano indurre a entrare in Gallia, volle che essi temessero anche per i loro beni, rendendosi conto che l’esercito del popolo romano aveva i mezzi e il coraggio di attraversare il Reno.
Si aggiungeva un’altra considerazione: la parte della cavalleria degli Usipeti e dei Tenteri che, come abbiamo detto, attraversata la Mosa a scopo di razzia e in cerca di grano, non aveva partecipato alla battaglia, dopo la fuga dei suoi si era rifugiata al di là del Reno, nelle terre dei Sigambri, unendosi a essi.
Per i motivi che ho ricordato, Cesare aveva deciso di oltrepassare il Reno, ma riteneva che l’impiego delle navi non fosse abbastanza sicuro e non lo giudicava consono alla dignità sua e del popolo romano.
Così, sebbene si presentassero gravi difficoltà per costruire un ponte – come la larghezza e la profondità del fiume, la rapidità della corrente – egli tuttavia stimava necessario adottare tale soluzione oppure rinunciare all’impresa.” (Cesare, De bello gallico)
L’unica soluzione è costruire un ponte, in un punto relativamente poco profondo (9 metri), forse in una località dove oggi sorge la città di Neuwield, a valle di Coblenza.
Tela dell’architetto John Soane del 1814, in cui è rappresentato il ponte romano
Immagine di pubblico dominio
La costruzione deve essere solida, per resistere alla correnti e ad eventuali attacchi: i sostegni sono cavalletti a due gambe, formati da robusti pali uniti da traverse. Il ponte, lungo all’incirca 500 metri, diviso in 56 campate da 8 metri, viene iniziato e finito nel giro di 10 giorni. Cesare passa al di là del Reno con le sue truppe, ma ad aspettarlo ci sono solo gli Ubi: tutte le altre tribù si sono ritirate verso est.
Schema della costruzione del ponte. Immagine de Lo Scaligero, pseudonimo di Andrea Bertozzi, condivisa con licenza Creative Commons via Wikipedia:
Tanto per non fare un viaggio a vuoto, il condottiero si spinge nel territorio dei Sigambri (rei di aver accolto le tribù in fuga), lascia un brutto ricordo compiendo devastazioni e stragi e poi torna sui suoi passi. Ovviamente distrugge il ponte, che certo non può rimanere lì, ad uso dei nemici.
La struttura, costruita a tempo di record, rimane in piedi per soli diciotto giorni
Ma ancora una volta, non finisce qui. Due anni dopo Cesare decide nuovamente di passare il Reno, per punire i Suebi degli aiuti forniti ai Treviri, popolo ribelle della Gallia Belgica. Allora costruisce un altro ponte “un poco più a monte del luogo dove aveva attraversato il fiume la volta precedente”. (Cesare, De bello gallico)
I Suebi non stanno però lì ad aspettarlo: anche questa volta si ritirano nei luoghi più impervi del loro territorio, dove Cesare preferisce non avventurarsi.
“Cesare, per lasciare ai barbari il timore di un suo ritorno […] una volta ricondotto l’esercito in Gallia, fece tagliare l’ultima parte del ponte per una lunghezza di circa 200 piedi, ed all’estremità fece costruire una torre di quattro piani, oltre ad una fortificazione imponente munita di ben 12 coorti, assegnando il comando al giovane Gaio Vulcacio Tullo.” (Cesare, De bello gallico)
Cesare dunque demolisce solo in parte il ponte, lasciandone un troncone sul lato ovest, come monito per i nemici, un pro-memoria sul pericolo di sfidare Roma, che è sempre lì a difendere i suoi confini.
Pericolo che, là in Germania, pochi si sentono di correre per almeno altri trecento anni, quando i Romani sbagliano qualcosa con i Goti, ed è l’inizio della fine.