Il Parto nel Medioevo: una questione complessa

Il Medioevo viene, a livello popolare, tramandato come un periodo buio, soppresso dall’ignoranza e dal predominio di credenze religiose imposte dalla chiesa come dogmi. Una di quelle più diffuse, e che si pensa sia stata tramandata fino al XVIII secolo e poi sradicata dall’Illuminismo, è quella che vede i bambini trattati come degli adulti in miniatura, visti dai genitori solo come una bocca in più da sfamare e braccia utili al lavoro manuale.

In realtà, l’arrivo di un figlio in una famiglia medievale era motivo di grande felicità, sia per i nobili, perché significava dare prospettiva alla dinastia, sia per i poveri, perché i figli rappresentavano un aiuto per il sostentamento della famiglia.

Nonostante i bambini venissero amati e accuditi anche nel Medioevo, non tutti avevano la fortuna di poter conoscere l’affetto familiare subito dopo la nascita: per estrema povertà o, peggio, perché nati da una relazione adulterina, molti neonati venivano “esposti” sulle ruote dei conventi, gli unici luoghi, ben prima degli orfanotrofi, che accoglievano e curavano i neonati senza fare troppe domande su chi fossero i genitori e perché li avessero abbandonati.

Il luogo del parto

Com’è facile intuire, durante il Medioevo non esistevano i reparti di ginecologia e ostetricia e il luogo più comune per partorire era casa propria. Le donne nobili, o comunque ricche, avevano la possibilità di avere una stanza dedicata esclusivamente al parto, con tutte le accortezze richieste: i mobili avevano gli angoli smussati, vi era un letto morbido, calde coperte e tende che riparavano dalla luce del sole, un camino che riscaldava l’ambiente e l’acqua per poter lavare bambino e madre. Tutti questi dettagli servivano a ricreare, nella mentalità dell’epoca, lo stesso ambiente del grembo materno, in modo da non traumatizzare in modo irreversibile il neonato.

Chi assisteva al parto

Oggi sappiamo che, una volta entrate in sala parto, l’ostetrica farà del suo meglio affinché tutto si svolga senza incidenti, coinvolgendo eventualmente dei medici, uomo o donna, in caso di complicazioni. Nel Medioevo, ma ancora fino a pochi anni fa (basti ricordare l’iconica sequenza di Pane, Amore e Fantasia in cui Marisa Merlini, nelle vesti della levatrice, veniva accompagnata da due partorienti da Vittorio de Sica, l’inimitabile maresciallo Carotenuto), era impensabile che degli uomini, soprattutto se estranei alla famiglia, assistessero al parto. Immancabile era naturalmente la figura della levatrice, donna con una certa esperienza sul campo (fino ad almeno gli anni Sessanta del Novecento le levatrici erano delle dipendenti dello Stato Italiano), seguita da un’apprendista che sarebbe diventata una levatrice a sua volta in futuro, e dalle amiche e parenti della partoriente. Il medico, quindi un uomo, veniva chiamato solo in casi estremi di vita o di morte. A volte neanche in quelli, e i casi documentati sono innumerevoli.

Come avveniva il parto

Non avendo conoscenze mediche e anatomiche, il parto veniva gestito secondo le esperienze personali: si pensava che dovesse avvenire esattamente dopo venti contrazioni, mentre oggi sappiamo che il travaglio può richiedere anche diverse ore; se il periodo di travaglio si fosse prolungato, tutta la famiglia si sarebbe adoperata ad aprire e chiudere finestre, ante degli armadi, armadietti, cassetti e addirittura scagliare frecce. Tutte queste azioni, secondo le credenze dell’epoca, simulavano l’apertura dell’utero e dunque aiutavano il neonato a uscire dall’utero.

Per agevolare il parto, la donna doveva stare accovacciata o seduta; se questo non fosse stato abbastanza, l’ostetrica avrebbe spalmato un unguento nella cavità vaginale della partoriente per stimolare il travaglio.

Nel caso il parto fosse particolarmente complicato o addirittura letale per la madre ma non per il bambino, veniva chiamato il medico per effettuare un cesareo e salvare il neonato. Il cesareo, infatti, veniva fatto soltanto quando non era possibile in nessun modo effettuare il parto naturale, in modo da far nascere il bambino e battezzarlo immediatamente dopo.

Dopo il parto

Appena nato, il neonato veniva lavato con acqua, nelle case più povere, o con latte e vino, nelle case più ricche, e immediatamente fasciato dalle spalle fino ai piedi, una pratica in voga fino agli inizi del XX secolo e poi abbandonata perché non adatta ai neonati, in quanto può portare a malformazioni varie. Subito dopo veniva spalmato del miele sul palato del neonato per stimolarne l’appetito, come consigliava Trotula di Salerno, per poi mettere del sale in vista del battesimo.

Trotula di Salerno

Il battesimo era una parte chiave dell’esistenza delle persone nel medioevo, epoca in cui la religiosità regolava in modo ferreo la vita quotidiana. Quando il parto si rivelava difficile e letale per il bambino, dunque non c’era il tempo per andare a chiamare un officiante, la levatrice vantava una speciale delega conferita dai vescovi per poter battezzare il bambino prima che morisse, in modo da assicurargli un posto in paradiso, lontano dalle sofferenze dell’inferno. Per essere sicuri che tutto fosse eseguito al meglio, erano i chierici a insegnare alle levatrici le formule corrette.

Se invece il parto andava per il meglio, la madre restava a letto per due o anche tre settimane, per riprendersi dalla fatica. Questo valeva per le donne nobili e ricche, difficilmente una popolana poteva contare sull’aiuto di qualcuno per mantenere la famiglia. Il bambino veniva portato in chiesa dalla famiglia, dove veniva battezzato e così accolto nella comunità e strettamente legato ai padrini.

I padrini erano una figura cardine nella socialità dell’epoca. Si tentava di legarsi a famiglie di ceto più elevato del figlioccio, potevano essere in tre, di sesso misto, e dovevano essere degli estranei della famiglia più stretta, in modo da legare più famiglie insieme. Il compito principale dei padrini era quello di insegnare le preghiere ai propri figliocci: la cerimonia del battesimo non poteva avere luogo se prima i padrini non avessero recitato al prete le preghiere che avrebbero insegnato al bambino.

La pratica in sé del battesimo rappresentava un trauma per il neonato, strappato dal seno materno per essere portato in un luogo freddo ed essere immerso in una vasca d’acqua, che in inverno era inevitabilmente ghiacciata.

Le sante protettrici del parto

In epoca medievale si inizia a legare ogni aspetto della vita quotidiana ad un santo, come sarà poi in epoca successiva, la cui vita si era distinta per la fede in Dio fino alla morte e associata a un particolare aspetto della vita. Anche il parto aveva le sue protettrici: Sant’Anna, la madre di Maria, i santi Giulitta e Quirico e santa Margherita d’Antiochia.

Secondo l’agiografia ufficiale, Giulitta era una nobile vedova di Iconio, in Turchia, e si stava dirigendo a Tarso in fuga dalle persecuzioni di Diocleziano. Quirico era il figlioletto di tre anni. Nel 304 furono arrestati e condannati durante le persecuzioni contro i cristiani, la punizione di Giulitta fu quella di essere torturata per ammettere la propria fede. La conseguenza fu di vedere il figlio gettato dagli scalini del tribunale, dopo aver dichiarato la propria fede, e in seguito la madre venne giustiziata. Julitta e Quiricus rappresentavano dunque la santità del rapporto madre-figlio, e le loro figure erano ricamate sui corsetti utilizzati appositamente durante la gravidanza, augurando alla madre un rapporto sano e consacrato come quello dei due santi.

Un’altra martire venerata era Margherita d’Antiochia, patrona delle partorienti, vissuta nel III secolo. Dopo la morte della madre venne cresciuta da una balia, che la educò con i valori della religione cristiana. Alcuni anni più tardi, tornò a casa del padre, sacerdote pagano, che la cacciò via quando scoprì la sua fede religiosa. Tornò dalla balia, per la quale faceva pascolare il gregge. Un giorno, fu notata dal prefetto Ollario, che tentò di sedurla. Margherita però aveva deciso di consacrare la propria verginità a Dio, e respinse il prefetto, dichiarando la propria fede. Il seduttore offeso la denunciò come cristiana e la fece imprigionare. In cella Margherita ricevette una visita dal demonio, il quale si trasformò in un drago e la inghiottì. Ma la ragazza, armata della croce, riuscì a squarciare il ventre del drago e uscire indenne. Venne comunque condannata a morte per decapitazione pochi giorni dopo, all’età di quindici anni. Proprio a seguito dell’episodio del drago, veniva invocata affinché il parto fosse semplice e rapido.

Santa Margherita e il drago – Immagine di pubblico dominio condivisa via Wikipedia

Le credenze legate al parto

Il parto, nel Medioevo ma come in tantissimi altri periodi storici, era legato a credenze e superstizioni. Al giorno d’oggi sappiamo che la pulizia e la sterilizzazione degli strumenti durante un momento così delicato come un parto o un’operazione chirurgica sono i fattori principali per la buona riuscita degli stessi. Il cordone ombelicale veniva tagliato immediatamente e bruciato, non tanto per motivi igienici come oggi, quanto perché rappresentava l’atto peccaminoso dietro il parto: il coito. Gli strumenti utilizzati erano spesso forieri di batteri e non era raro che la mamma e il bambino soffrissero di infezioni subito dopo il parto, se non addirittura di malattie letali. Un altro motivo di infezione era la mancata rimozione della placenta dal corpo della madre.

La placenta era pericolosa anche per la levatrice: no, non infettava direttamente la donna che aiutava la partoriente, ma nel caso la mamma o il bambino si fossero ammalati o, peggio, trovassero la morte, la levatrice poteva esser accusata di aver praticato un maleficio utilizzando la placenta.

Dopo il parto la donna non poteva recarsi in chiesa per diverso tempo, Quest’usanza deriva direttamente dalla tradizione ebraica, secondo la quale le donne impure, come le partorienti, non potevano frequentare i luoghi sacri.

Avvisaglie del parto e contraccettivi

Oggi la prima avvisaglia di una possibile gravidanza è un ritardo nel ciclo mestruale delle donne. Nel Medioevo, però, le donne soprattutto delle classi più basse non avevano un ciclo regolare, essendo normale a causa di malnutrizione e malattie veder saltare il ciclo per diversi mesi, e dunque scoprivano di essere incinte non prima del quinto mese, quando l’addome comincia a gonfiare.

Inoltre, l’anatomia era ancora una scienza sconosciuta (bisognerà aspettare Leonardo da Vinci e i suoi controversi studi sui cadaveri) e di conseguenza la conoscenza del corpo umano era approssimativa. Basandosi soltanto sull’estetica, la donna era identica all’uomo tranne negli organi genitali, che all’epoca si pensava fossero gli stessi dell’uomo ma sviluppati all’interno del corpo.

Ora come allora, la Chiesa vietava qualsiasi forma di aborto, nonostante ci fossero pratiche già ben consolidate sin dall’antichità, in quanto si pensava che si trattasse a tutti gli effetti di infanticidio. Insomma, tempi diversi, stessi dubbi morali.

Ciò non significa che non venisse praticato. Chi ricorreva più spesso all’aborto erano le prostitute, in quanto per loro avere un figlio significava smettere di lavorare e rischiare di morire di fame. Ma non erano le sole. Anche le donne ricche e nobili spesso ricorrevano all’aborto, perché, banalmente, erano le uniche che potevano permetterselo economicamente. Le donne, per ragioni più che note, dovevano arrivare vergini al matrimonio e, in caso di relazione adulterina, era meglio far sparire tutto piuttosto che farsi ripudiare dal marito.

Nonostante il coito fosse accettato dalla società solo per la necessaria procreazione dei figli, ciò non toglie che la gente avesse costumi più libertini e spregiudicati. Esistevano già dei metodi contraccettivi primordiali. Paradossalmente, conosciamo queste pratiche dagli scritti dei chierici perché erano le uniche persone in grado di saper leggere e scrivere. Basta leggere i testi di Avicenna o, in modo ludico, le Canterbury Tales di Geoffrey Chauser.

Ma andiamo nel dettaglio della contraccezione.

Uno dei più diffusi era la spugna contraccettiva, che veniva inserita nella vagina con lo scopo di assorbire lo sperma e ucciderlo con un miscuglio di burro e miele.

Si usavano molto le erbe, come l’artemisia, il pepe, il lupino, la peonia, la liquirizia, il melograno e il cipresso. Grazie alla loro diffusione capillare sul territorio erano le preferite dalle donne, senza sapere che in grande quantità alcune di queste piante sono letali.

Il metodo preferito, per la facilità d’impiego e per la presunta efficacia, era il coitus interruptus, ovvero l’interruzione del rapporto prima dell’eiaculazione maschile, ma oltre questa pratica, scelta per l’immediatezza e presunta efficacia, c’erano anche varie indicazioni da seguire durante il rapporto per evitare una gravidanza indesiderata: bastava per esempio farlo solo in alcune posizioni, oppure, se il rapporto fosse stato tradizionale, la donna avrebbe dovuto saltare o urinare subito dopo per espellere lo sperma dal proprio corpo, oppure lavare accuratamente la cavità vaginale, fatti poi nell’Ottocento con il mercurio.

Non potevano certo mancare rimedi magici: si pensava infatti che la pelle di mulo appesa sopra il giaciglio dei due amanti fosse più che sufficiente per evitare una gravidanza, così come si usava portare i testicoli di donnola attaccati alle cosce, o anche usare il ditale da cucito.

In Germania gli anticoncezionali erano ancora più variegati: bastava sdraiarsi su tante dita quanti erano gli anni desiderati senza gravidanze, per le meno schizzinose bastava sputare tre volte nella bocca di una rana, oppure andare sulla tomba di una sorella deceduta, ammesso di averne una, e urlare per tre volte di non avere figli. Come diceva un detto dell’epoca, “si non caste tamen caute”, traducibile in se non casta almeno cauta, che significava che se non si riusciva a trattenersi dall’avere rapporti, bisognava almeno prestare attenzione a come li si faceva.

Nonostante siano passati diversi secoli, la visione della Chiesa riguardo i contraccettivi e l’aborto non è cambiata, ma sempre più paesi abbracciano la libertà di decisione sull’interruzione di gravidanza alle donne.


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