Venezia, 26 maggio 1575. Nel Ghetto della Serenissima è da poco passato mezzogiorno quando una donna di religione ebraica inizia a partorire. La notizia in sé non ha nulla di eccezionale, ma intorno alle 16:53 i primi vagiti del nascituro riecheggiano nelle orecchie dei presenti e subito si diffonde una voce che ha dell’inquietante:
La donna ha dato alla luce due bambini deformi.

Nello stesso anno, il tipografo veneziano Domenico Ferri stampa un opuscolo anonimo intitolato: Discorso sopra il significato del parto mostruoso nato a Venezia da un’ebrea il 26 maggio dell’anno 1575. Il testo è un’accurata disamina della lunga tradizione scritta e orale di un argomento affrontato fin dagli albori della civiltà, e le sue pagine sono permeate di quella che era la mentalità di allora, una miscellanea di miti, leggende, credenze popolari e pseudoscientifiche.
La comparsa di gemelli deformi, denominati “siamesi”, ha sempre destato scalpore e curiosità, attirando l’attenzione anche di illustri menti del passato. Ne è un esempio il primo caso documentato di tentativo di separazione del X secolo.

Il contenuto del Discorso potrebbe sembrare un semplice compendio di teorie antiquate, ma all’epoca suscitò un grande interesse, e già nel 1576 fu dato alle stampe un secondo opuscolo ampliato: il Discorso sopra gli accidenti del parto mostruoso nato da una ebrea nel Ghetto di Venezia il 26 maggio dell’anno 1575. Dove si ragiona altamente del futuro destino degli ebrei. Di nuovo ristampato e ampliato con le annotazioni di Giovanni Giuseppe Gregorio Cremonese.

Entrambi i testi sono dedicati a due uomini d’alto lignaggio, Giovanni da Lezze, conte di Santa Croce e procuratore di San Marco, e Pietro de’ Medici, figlio di Cosimo I e granduca di Toscana, probabilmente mecenati degli autori. In particolare, nel caso del Discorso sopra gli accidenti, il Cremonese ritiene di vitale importanza che Pietro, così come ogni altro Principe, possa godere della ristampa ampliata di un documento da lui definito à guisa d’un gioiello.

L’ammirazione nei confronti dell’autore del 1575 si palesa fin dalle prime righe, dove ne loda il lavoro e chiarisce che le annotazioni hanno il mero scopo di aiutare i meno dotti a comprenderne le tante digressioni. In effetti, nell’introduzione del Discorso sopra il significato, l’anonimo veneziano si presenta come un grande erudito e non disdegna di citare chi, prima di lui, si è cimentato nel ragionare su quegli “errori di natura” apparsi sulla Terra.

In principio furono i sette sapienti, personaggi di spicco della cultura ellenica fra il VII e VI secolo a.C., a seguire, gli Auguri, che traevano presagi dal garrire degli uccelli, poi i libri sibillini ai tempi di romani e Aristrando da Telmeso, veggente personale di Alessandro Magno.

Gli antichi non si limitarono a trattare l’argomento, ma, citando le sacre scritture e la legge delle XII tavole, antesignana del diritto romano, l’autore evidenzia l’esistenza di precise istruzioni su come rapportarsi alla comparsa di quello che viene definito “un mostro”. Nella maggior parte dei casi l’imperativo era sempre lo stesso: uccidere l’abominio.

Secondo l’autore, però, quello di Venezia è un parto mostruoso di cui non se n’è mai visto né sentito, perché la donna ebrea ha dato alla luce due gemelli congiunti all’altezza dell’addome. I loro capi terminano l’uno ai piedi dell’altro, hanno quattro braccia, quattro gambe; quello che dovrebbe essere l’ombelico, invece, funge da orifizio per gli escrementi. Vista la loro particolare costituzione, li paragona ad Anfesibena, un serpente mitologico nato con due teste, di cui una al posto della coda.

Dopo un’attenta descrizione dei neonati, l’autore suddivide il suo discorso in tre parti e decide di adottare il punto di vista di Medici e Filosofi, degli Astrologi e degli Aruspici.

Della causa propinqua per opinione de Filosofi e de Medici
La disamina ha inizio chiarendo che gli errori di natura nascono tali per motivi legati all’atto della procreazione. Se il seme è sporco, con alta probabilità saranno “o tutti animali brutti, come serpi, e altri simili; o parte brutti, e parte humani”, come il dio Pan, dotato degli arti inferiori di una capra. In mancanza di una normale consistenza di seme accade che il bambino viene alla luce senza gli arti, come una fanciulla priva di braccia e gambe che “havea forma piuttosto d’un bottaccio”.

I gemelli veneziani rientrano in una terza teoria medica, ovvero l’abbondanza di seme, dove si distinguono due possibili casi: l’immissione di un solo seme in gran quantità, che favorisce la formazione di molti più arti, come Briareo, mostro greco con cinquanta teste e cento braccia, o di due semi. In quest’ultimo caso la spiegazione si dipana, a sua volta, in altri due scenari: l’immissione di due semi differenti l’uno dopo l’altro o a distanza di un certo intervallo di tempo.

Rifacendosi a Ippocrate e all’opinione di altri filosofi, l’autore ragiona su cosa avviene all’interno dell’utero col verificarsi dell’abbondanza di seme. Per quanto concerne i gemelli veneziani è plausibile che i due semi siano stati immessi nella donna a distanza di un dato intervallo di tempo per poi essere rivestiti da due membrane differenti che, a causa dell’eccessiva vicinanza, si sono rotte e poi congiunte in una. Eppure, qualcosa non torna. Com’è possibile che uno è nato “Agrippa“?

L’etimologia di questo termine, che appartiene alla tradizione medica latina ed era usato per indicare il parto podalico, è spiegata, seguendo le annotazioni del Cremonese, dallo scrittore romano Gaio Giulio Solino, che indica il console Marco Vipsanio Agrippa come l’unico feto sopravvissuto a un parto del genere.

Il Discorso entra nel vivo. Secondo i medici, i feti stanno nel ventre con i piedi in giù, ma, girandosi all’approssimarsi del parto, si calano con la testa, che è la parte più pesante del corpo. Con i gemelli veneziani deve essere successo che uno dei due ha compiuto il moto per girarsi, ma, allo stesso tempo, ha impedito all’altro di fare lo stesso per mancanza di spazio. Tuttavia, ciò non spiega la congiunzione dei corpi.
In circostanze normali, il moto avviene in automatico, quando il feto è abbastanza grande e, muovendosi, induce il travaglio. Fra le varie complicazioni che possono sorgere c’è l’eventualità che fattori esterni non legati alla gravidanza spingano il feto a pretendere un parto precoce.
Tirando le somme, l’autore deduce che fattori esterni hanno indotto al parto uno dei due gemelli veneziani, che ha compiuto il moto a testa in giù, ma l’altro deve aver opposto resistenza ed è rimasto “Agrippa“. Il tutto deve essere successo entro il settimo mese, quando, secondo la concezione dell’epoca, lo sviluppato del feto non è ancora completo e i due mostri sono venuti a contatto all’altezza del bacino, per poi completare i propri corpi in quelle condizioni.

Della causa remota secondo l’opinione degli Astrologi
In secondo luogo, l’autore si rivolge alle interpretazioni astronomiche e asserisce che, storicamente, la nascita di un mostro è causata dalla corruzione del feto per mezzo degli influssi celesti negativi. A sostegno dell’attendibilità degli Astrologi cita l’esempio di Alberto Magno, vescovo e filosofo del XIII secolo, che aiutò un uomo coinvolto nella nascita di una mucca con arti umani. L’evento aveva suscitato lo sdegno della popolazione locale e un tribunale lo aveva riconosciuto colpevole dell’abominio, ma il filosofo intervenne e dimostrò che la mutazione genetica fosse imputabile al moto dei pianeti e non al pastore.

L’autore procede calcolando la data del concepimento dei neonati veneziani, il 7 settembre del 1574 alle ore 14:58, e la sfrutta per studiare la posizione dei pianeti in quel giorno. La premessa alla base di tutto è che, secondo gli insegnamenti di Tolomeo, la nascita di due gemelli si ha quando buona parte dei pianeti sono nello stesso segno zodiacale.

Nel caso veneziano, la Luna e il capo del dragone erano in Gemelli; Saturno, Marte e la coda del dragone nel Sagittario.

A questo punto è bene introdurre il concetto delle infortune. Le infortune, ovvero la parte della sfortuna, sono un concetto dell’astronomia medievale che si ricavava attraverso lo studio di quei pianeti accostati alle sventure e alle difficoltà, ovvero Marte e Saturno.

Il fatto che entrambi i pianeti in questione si trovavano nel Sagittario è un’ulteriore conferma che il parto sarebbe stato gemellare, ma l’aggravante mostruosa è da imputare ai due luminari, il Sole e la Luna, a loro volta infortunati e in posizioni negative.
“Perché li doi luminari cadenti sono, la Luna cade giù dell’angolo dell’Oriente, il Sole dal principio della linea della nona casa; oltra ciò sono infortunati dalle doi infortune, che li guardano di quadrato“.

Della causa finale secondo l’opinione degli Aruspici
Come scrive il Cremonese in una delle prime annotazioni del Discorso sopra gli accidenti, gli Aruspici erano dei sacerdoti che fin dai tempi degli Etruschi analizzavano le viscere degli animali per trarre indizi sull’interpretazione dei fenomeni.

Riferendosi a loro nella terza e ultima parte dell’opuscolo, l’autore chiarisce che non intende far riferimento a quelli che Ennio definì Aruspici villani, ovvero impostori di cui “non se ne debba tener conto alcuno”. Nel quadro generale del testo, la premessa consente di distinguere l’operato dei ciarlatani da quello di coloro che davvero interpretarono i segni della natura per prevedere sciagure, tuttavia senza essere ascoltati. Ai tempi della congiura di Catilina, “in Roma s’accese il ciel di fiaccole, venne il terremoto, furono fulminati li simulacrii delli Dei, le torri del Campidoglio, le statue de gli antichi”; allo stesso modo i tebani non colsero i presagi né cercarono di rimediare all’ira divina e Alessandro Magno rase al suolo Tebe.

L’autore, poi, si focalizza sulla nascita dei mostri, che auspicavano la morte di un’ingente quantità di uomini. Ad esempio, ai tempi dei romani nacque un maiale dal volto umano, a cui seguì la Prima guerra macedonica contro Filippo V. Nel caso di neonati congiunti, il presagio diventa più specifico e si rivolge alle congiure. Nell’antica città di Dafne il parto di un “fanciul doppio in tutte le parti” precedette il tradimento di Claudio Silvano ai danni dell’imperatore Costanzo II; poco prima dell’elezione pontificia di Alessandro VI (conosciuto anche come Papa Borgia), i cui anni furono segnati dal sangue versato in nome dei Borgia, a Roma ci fu un altro parto di gemelli siamesi.

Nel 1552 in Inghilterra videro la luce delle gemelle siamesi molto simili a quelli veneziani e nel 1553 re Edoardo VI, l’agognato erede maschio di Enrico VIII, morì a causa di una febbre scaturita, secondo l’autore, da un veleno “per tradimento de suoi famigliari“. Lo stesso avvenne nel 1572, poco prima della strage di San Bartolomeo contro gli Ugonotti.

L’invettiva antisemita
Con tutti questi esempi l’autore conclude la sua analisi e, dopo una lunga digressione storico-filosofica, l’opuscolo si trasforma in una feroce invettiva antisemita.

Il motivo di tale accanimento è legato al contesto culturale della Venezia cinquecentesca. Tra il XIII e il XVI secolo, gli ebrei avevano subito persecuzioni in mezza Europa e in molti trovarono rifugio nella Serenissima. All’alba del Cinquecento, la loro comunità si andò consolidando sempre più: vennero costruite Sinagoghe e il governo li abilitò alle attività di prestito. Alcuni godevano di un considerevole patrimonio e la dottrina cattolica riteneva immorale prestare soldi in cambio di un tasso d’interesse, ma non quella ebraica. Un generale malcontento dei veneziani, dovuto anche a una serie di insuccessi militari, portò a una rapida emarginazione degli ebrei, additati come causa dei lori mali. Nel 1516 la questione divenne di cruciale importanza e il Consiglio dei Pregadi, l’organo costituzionale della Repubblica, con 130 voti a favore e 44 contrari, decise di isolarli tutti in una località comune, poi denominata “Ghetto”. Era nato il primo Ghetto della storia.

Tornando al Discorso sopra il significato, l’autore ribadisce che la nascita del parto mostruoso è sinonimo di sventure, ma si augura che sarà proprio la razza a cui esso appartiene a pagarne le conseguenze.
Ma questo tocca a te populo infelice della perversa, et ostinata Sinagoga
L’invettiva non si limita al contesto razziale e assume i connotati di un’accusa teologica, perché sottolinea che i gemelli sono nati nello stesso anno in cui, secondo l’interpretazione di una profezia presente nel Libro di Daniele (Vecchio Testamento), gli ebrei aspettano la venuta del loro Messia, ovvero nel 5335° giorno dalla creazione del mondo, che, nel calendario giuliano, predecessore del gregoriano attuale, corrispondeva proprio al 1575.

Le ingiurie dell’autore non sono che all’inizio e si spingono ben oltre, accusando gli ebrei di non aver tenuto conto della parola di Dio nel Deuteronomio e di aver rinnegato Gesù Cristo come Messia.
“Esso ti sarà capo, e tu gli sarai coda. E venirà sopra di te tutte queste maledizioni; e quelli che ti perseguono ti apprenderanno infino, che tu venghi ad estrema ruina, perché non hai udito le parole, ne hai servato li comandamenti del Signor Dio tuo, ne le cerimonie, che ti ha insegnate“.

E ancora: “Vedi qui in questo capo descritta la tua ruina; e questa sia il tuo Messia, questa sia il tuo Scilo, che nel 1580 aspetterai per la tua interpretazione della profezia di Giacobbe“.
Pur volgendo al termine, l’opuscolo si addentra sempre di più in un serratissimo dibattito religioso e il discorso si accanisce contro la falsa interpretazione di un’altra profezia messianica, presente nel capitolo 49 della Genesi.

Il testo esaurisce la sua vena antisemita e si chiude senza alcun chiarimento sul destino dei gemelli, ma l’autore si augura che, obbedendo alla legge aruspica, gli ebrei se ne sbarazzino. Ciò che sappiamo degli eventi successivi provengono dalle note del Cremonese, il cui Discorso sopra gli accidenti è posteriore alla vicenda, e da un ordine scritto del capo-rabbino della Serenissima, Shemuèl Yehudà Katzenelenbogen.
Dapprincipio, il popolo del Ghetto si rifiutò di uccidere i bambini per evitare di seppellirli e, di conseguenza, rendere quella storia di pubblico dominio. Tuttavia, morirono due giorni dopo la pubblicazione dell’opuscolo originale, quindi il 4 giugno del 1575, e i loro cadaveri diedero vita a un macabro business. Furono offerti al pubblico dietro lauto compenso e divennero a tutti gli effetti un fenomeno in grado di attirare i curiosi delle città vicine, finché il capo-rabbino di Venezia intervenne, obbligò i familiari a seppellirli e condannò allo Cherem il padre per la sua condotta, una punizione che assomiglia in tutto e per tutto alla scomunica cristiana.

La vicenda in sé non passò inosservata e rimase impressa nella memoria del Cinquecento. Ne è un esempio lo scrittore italo-ebreo Abraham Yagel, che, vissuto dal 1553 al 1623, nell’opera Ge Ḥizzayon narra del suo, metaforico, incontro con i gemelli.
“Come udii queste parole interrogai il padre mio sul loro conto, […] gli domandai perché fossero uniti l’uno all’altro, e se fosse uno o due. Mio padre mi rispose, dicendomi: «Queste sono le anime dei bimbi che nacquero tre anni orsono a Venezia»”.

In conclusione, il Discorso sopra il significato è un grande esempio dell’interesse verso lo studio dei fenomeni e degli esseri contro natura; un interesse che ha accompagnato l’uomo fin dagli albori della civiltà. Arricchito, se così si può dire, da un feroce antisemitismo, quest’opuscolo di circa cinquecento anni fa è uno dei tanti precursori di quella discriminazione che raggiungerà il suo apice nella metà del XX secolo.