Di notte, i freddi raggi della luna illuminano, attraverso l’arco naturale di roccia vulcanica, le sagome di porte e finestre di una “fortezza” in rovina, a guardia di un paradiso perduto. La strana casa si appoggia e si confonde con le rocce dei Caraibi, nell’estremo lembo ovest dell’isola di Bequia (arcipelago delle Grenadine), ma le sue stanze sono vuote, e l’intera struttura appare priva di vita. Ma non è sempre stato così, Moonhole è uno spettacolo magico in un luogo fuori dal tempo, ma ha anche una bella storia da raccontare…
Alla fine degli anni ’50, Thomas e Gladys Johnston decisero di abbandonare New York e il loro lavoro nel mondo della pubblicità per trasferirsi a Bequia, un paradiso di spiagge incontaminate privo di grandi alberghi, al contrario della vicina Mustique, meta prediletta di personaggi famosi e famiglie reali.
Quando arrivò sull’isola, la coppia prese in gestione una piccola locanda di 9 stanze, e fece amicizia con una famiglia del luogo, che possedeva l’estremità occidentale dell’isola, disabitata e raggiungibile solo dal mare o da uno scomodo sentiero attraverso le scogliere.
Laggiù, isolata ed indifferente svettava, allora come oggi, la roccia chiamata Moonhole (la tana della luna), perché in alcuni giorni la luna crescente sembra fermarsi proprio dentro l’arco, come un quadro naturale che nessun pittore potrà mai imitare.
Nel 1960 i Johnston acquistarono 12 ettari di terreno, l’intero lembo disabitato dell’isola, per costruire, quasi per un capriccio, una casa sotto l’arco naturale.
Gli operai arrivavano tutti i giorni dal villaggio vicino, con i materiali di costruzione e i viveri necessari, mentre già la coppia viveva tra le rocce del Moonhole, come novelli Robinson Crusoe.
Tom non era né architetto né ingegnere, ma ugualmente si occupò di ogni aspetto della costruzione, una sorta di mini-cittadella aperta sulla natura, con stanze collegate da scale che girano intorno alle rocce, fino al mare. La casa fu costruita seguendo la filosofia di Tom:
“Una casa non dovrebbe essere costruita per essere guardata, ma progettata in modo che i suoi occupanti possano guardare verso l’esterno e vivere fuori, godendo del mondo”.
Una della camere degli ospiti fu battezzata la “Stanza della Balena” perché svegliandosi al mattino “senza sollevare la testa dal cuscino, si potevano vedere le balene saltare nel mare, al largo.”
Il Moonhole, più piccolo borgo che casa, era arredato quasi interamente con materiale proveniente dai naufragi: legname per i pavimenti, catene di vecchie ancore come ringhiere, e tutto quanto era possibile riciclare, tanto che a Bequia divenne abituale dire: “Non si butta via niente, si vende a Tom Johnston”.
La casa non aveva energia elettrica, e l’acqua era quella piovana, raccolta in cisterne; le grandi finestre erano senza vetri, e molte delle camere non avevano abbastanza pareti per essere considerate vere e proprie stanze, ambienti costruiti intorno ad un albero o ad un angolo della roccia.
Gli amici e parenti dei Johnston, che dagli Stati Uniti andavano a trovarli nel loro lontano paradiso, si innamoravano dello stile di vita condotto dalla coppia; la non-casa attirò l’attenzione dei giornali dell’epoca, come il New York Times e il National Geographic.
Fu così che molte persone, in cerca del loro Eden privato, chiesero a Tom di costruire per loro una casa sull’isola. Nel 1964 i Johnston diedero vita alla Moonhole Company Limited, allo scopo di sviluppare la proprietà acquistata al loro arrivo a Bequia, per “preservare la gente”, scrittori, artisti, amici e persone che volevano allontanarsi da tutto. In circa 30 anni, la società costruì 16 case, uffici, alloggi per il personale, e un locale dove la comunità poteva riunirsi ogni domenica.
Nonostante questo inaspettato sviluppo immobiliare, Tom non rinunciò mai ai suoi rigorosi principi ecologici. Tutte le case, intimamente legate alla natura circostante, furono costruite con pietra locale, senza mai abbattere un albero e senza barriere tra interno ed esterno.
Johnston non fece mai nulla per avere una strada agibile che portasse alla sua proprietà, né mai richiese l’allaccio alla rete elettrica. Coloro che lo incaricavano della costruzione di una casa, dovevano non solo fidarsi di lui, ma condividere in pieno le regole che si era dato sin dal suo arrivo. Fra queste c’era anche quella del coinvolgimento della popolazione locale, a cui garantì posti di lavoro, assicurazione medica e spese scolastiche. La coppia fondò anche un ente di beneficienza che continua tutt’ora ad aiutare le persone dell’isola in difficoltà.
Tom Johnston morì nel 2001, lasciando come disposizione testamentaria l’espressa volontà di continuare, con la Moonhole Company Ltd, a preservare “l’architettura unica, lo stile di vita e la visione dei Johnston” per proteggere la fauna e la vita marina. Purtroppo le cose non andarono come sognato da Tom: molti proprietari delle abitazioni o erano morti, o erano troppo anziani per andarci, e la generazione successiva ha cercato di ottenere il controllo della Compagnia, intentando cause civili; anche il figlio di Johnston cercò di contestare la volontà del padre.
Mentre i soldi per il mantenimento della proprietà diminuivano, alcune case sono state modificate in modo completamente contrastante a quella che era la visione di Tom. Senza la sua guida e il suo personale interessamento, molti edifici sono caduti in rovina. La stessa villa sotto l’arco di roccia è ormai talmente trascurata da essere diventata inagibile.
Oggi, alcune di queste case, nate da un sogno realizzato e perduto, sono in vendita a prezzi che vanno dai 310.000 fino a quasi 2 milioni di euro.
Anche se la Moonhole Company odierna viene gestita da un consiglio di amministrazione e non da uno stravagante architetto con una visione utopica, vi è senza dubbio ancora un piccolo pezzo di paradiso in quella lontana colonia di sognatori alla Robinson Crusoe.
Le cause legali sono finite, e il tribunale ha deliberato in favore della Compagnia, che tenta di far rinascere il sogno dei Johnston. Le case ancora di proprietà della società sono in fase di ristrutturazione e si possono affittare.
I ricavi consentono alla Compagnia e alla comunità locale di mantenersi, e di preservare l’ambiente naturale, sia marino sia terrestre. La Moonhole Company precisa che questa parte di Bequia è un’oasi privata da preservare, e che viene gestita come tale, e non come una destinazione turistica… forse il sogno utopico di Tom Johnston non è morto del tutto.