Il Mostro di Ravenna: leggendario presagio della Pasqua di Sangue del 1512

Ravenna, Quaresima del 1512. In una piccola abitazione attigua a un convento (di cui è proibito rivelare il nome e l’ubicazione) una donna sta partorendo tra atroci sofferenze. La balia incita a tenere duro, ad affrontare l’ultimo sforzo. Riesce quasi a intravedere la testa del neonato, quando un urlo lancinante si leva dalla camera da letto. Non proviene dalla partoriente ma dalla balia stessa, che cade svenuta a terra. Il neonato ha connotati innominabili e mostruosi:

Un corno cresce sulla fronte, una gamba ha squame di serpente e un occhio si apre orribilmente sul ginocchio sinistro

Questo demonio sarà conosciuto come Mostro di Ravenna. Nato da un blasfemo rapporto sessuale tra una suora e un monaco, viene abbandonato nelle pinete circostanti su ordine diretto di papa Giulio II, per cancellare il segno tangibile del peccato della Chiesa.

Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:

Anche se è superfluo specificarlo questa è una leggenda, addirittura una delle tante versioni che al tempo iniziarono a circolare sulla presunta nascita della Creatura di Ravenna.

Come in tutte le leggende è plausibile l’esistenza di un fatto reale alla sua radice:

In questo caso la nascita di un neonato gravemente deforme

Una bizzarria talmente disturbante da rimanere impressa nella memoria collettiva. Sin dall’antica Roma l’ostentum, creatura nata da donna e non avente forma umana, e il monstrum, creatura avente forma umana ma gravemente deforme, sono prodigi che attirano la morbosità del pubblico. I più grandi giuristi dell’antichità hanno discusso sulla loro stessa natura umana, la popolazione superstiziosa ha da sempre riconosciuto in essi l’avvertimento divino che una sciagura stia per compiersi. Un oscuro presagio di sventura da cui guardarsi e avere timore.

E come volevasi dimostrare, sul finire della Quaresima di quel 1512 sulla città di Ravenna iniziano a spirare venti di guerra.

Quelli sono gli anni delle cosiddette Guerre d’Italia. Con la morte di Lorenzo de’ Medici e la discesa del re di Francia Carlo VIII (1494) si infrange il decennale equilibrio politico tra gli Stati italiani, e la Penisola viene attraversata da eserciti stranieri che se la contendono col ferro e col fuoco. I potenti Regni di Francia e di Spagna bramano il dominio sul Regno di Napoli e l’egemonia sulle terre italiche. I piccoli principati padani si barcamenano tra un’alleanza e l’altra per garantire la propria stessa esistenza.

Per quanto ci riguarda, accontentiamoci di sapere che a fronteggiarsi presso Ravenna, sulle rive del fiume Ronco, l’11 aprile 1512, giorno di Pasqua, si trovano da una parte il Regno di Francia e il Ducato di Ferrara, e dall’altra il Regno di Spagna, lo Stato Pontificio e la Serenissima Repubblica di Venezia, coalizzati nella Lega Santa. La Lega di Cambrai in funzione antiveneziana, costituita da Giulio II qualche anno prima, è stata sciolta, e tutti gli stati in campo si sono coalizzati contro la Francia temendone una pericolosa espansione. L’esercito franco-estense ha dalla sua una preponderanza schiacciante per quanto riguarda l’artiglieria, con 40 pezzi contro i 24 portati in campo dall’esercito avversario.

Disposizione dei due eserciti nella prima fase della battaglia. Mario Savorgnano – Arte militare terrestre e marittima, secondo la ragione e l’uso de’ più valorosi capitani antichi e moderni. Xilografia del 1559:

In questo periodo la cavalleria, incontrastata regina del campo di battaglia per tutto il Medioevo, sta cedendo il passo alla fanteria a causa dell’utilizzo strategico dei cannoni come vero e proprio “rullo compressore” capace di decidere le sorti del conflitto. E questa innovazione è compresa e assecondata Alfonso d’Este, Signore di Ferrara. Uomo passionale e irruento, sin da giovane età il Duca ha due grandi passioni, per non dire ossessioni: il sesso, divenendo leggendaria la sua attività di focoso amatore circondato da legioni di amanti e figli illegittimi (un vizietto di famiglia, ereditato dall’avo Niccolò III, che aveva dato adito al proverbiale “al di qua e al di là del Po, tutti figli di Niccolò”), e l’artiglieria.

Siamo nelle fonderie di Ferrara. Come nei laboratori sotterranei dei Nibelunghi al di sotto del fiume Reno, tra i fumi del crogiolo, i bagliori del fuoco e del bronzo fusi alla creatività distruttrice dell’uomo sembra confondersi con pratiche alchemiche. Il duca assiste personalmente da un soppalco alla costruzione dei suoi cannoni con somma soddisfazione. Le pupille dilatate del principe riflettono le scintille delle colate e la sua mano tocca gelosamente il pezzo appena liberato dalla terra. Il suo è un piccolo stato regionale italiano, un’inezia in confronto alle grandi monarchie europee, ma che può vantare un arsenale di armi da fuoco impressionante.

Lo si può paragonare all’odierna Corea del Nord, piccolissima ma estremamente militarizzata e in grado di sostenere un confronto con gli Stati Uniti d’America

Sotto, cannone d’epoca, immagine di pubblico dominio via Pixabay:

Il parco d’artiglieria estense si rivela devastante sul campo di Ravenna, grazie anche alla maestria tattica col quale viene gestito. Gli ispano-pontifici sono asserragliati dietro a una barriera di carri e un fossato (vero e proprio accampamento fortificato), su cui si infrangono inutilmente la cavalleria e le fanterie francesi. A questo schema statico il Duca Alfonso, da vero pioniere della guerra di movimento (e degno ascendente di Napoleone), oppone una geniale manovra che si rivelerà decisiva.

Sotto, raffigurazione di una battaglia rinascimentale:

Egli ordina di portare i pezzi sul fianco dell’esercito avversario, ben attento a celarne lo spostamento dietro i ranghi di fanti lanzichenecchi, guasconi e piccardi. Il devastante fuoco incrociato delle artiglierie estensi sull’immobile schieramento nemico ne fa strage, gettandolo nel panico. Le palle spente attraversano lo schieramento della Lega, strappando ad ogni rimbalzo le teste e gli arti dei soldati. Tra sangue, terra e schegge, il comandante della cavalleria spagnola Fabrizio Colonna non regge al bombardamento. Disobbedendo agli ordini, egli abbandona la posizione e ordina in preda alla disperazione una carica disordinata:

E’ la rotta

A battaglia già vinta, il comandante generale francese Gaston de Foix, la Folgore d’Italia, tanto cavalleresco quanto sanguinario, traduce il suo ardore guerriero in un’azione suicida. Caricando alla testa di un drappello di cavalieri l’ultimo quadrato, ancora resistente, di picchieri e archibugieri spagnoli (formazione che darà origine al tercio, escamotage tattico di difesa dalle cariche di cavalleria) Gaston sarà accerchiato, disarcionato e crivellato a colpi di picca.

Monumento funebre a Gaston de Foix di Agostino Busti detto il Bambaja (Castello Sforzesco, Milano). Fotografia di G.Dallorto condivisa con licenza Creative Commons via Wikipedia:

Nello scontro si affrontano ancora una volta, dopo dodici anni, alcuni protagonisti della famigerata Disfida di Barletta (1503): i capitani italiani Ettore Fieramosca da Capua, Romanello da Forlì e Fanfulla da Lodi (che sarà fatto prigioniero) da un lato e il cavaliere francese La Palice dall’altro.

Infine la città si arrende senza condizioni alle forze franco-estensi, subendo un brutale saccheggio

Tra gli incendi, le urla disperate, gli stupri, le rapine e gli sgozzamenti nelle pubbliche vie, in un’atmosfera allucinata e diabolica da dipinto di Hieronymus Bosh ecco sopraggiungere una figura sfuggente e tremenda.

Il Mostro di Ravenna sta correndo in città con andatura claudicante, un ghigno soddisfatto gli solca il volto e un riso sguaiato gli esce dalla bocca insieme a una bava giallastra e alla lingua biforcuta. Sta godendo della sofferenza della città che lo aveva cacciato senza pietà, abbandonandolo al suo triste destino.


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