Il Montaggio Video: come si costruisce una storia nella mente dello Spettatore

“Ieri pioveva molto forte. X non è venuto all’appuntamento”. In generale, un lettore comune, tende a concludere – direi istintivamente – che X non si è recato all’appuntamento perché pioveva forte. In realtà, le cause potrebbero essere state le più varie. Abbiamo due frasi, in sequenza l’una dopo l’altra, che presentano due dati di fatto, dunque due evidenze oggettive. Ma non esiste alcun nesso causale necessario tra questi due dati di fatto. Il nesso causale si crea nella mente del lettore. Questa è l’essenza del montaggio.

Fin qui, abbiamo due frasi emotivamente neutre, accostate l’una con l’altra. Facciamo un passo avanti.

Intorno al 1920, il regista russo Lev Vladimirovič Kulešov riprende il primo piano dell’attore attore Ivan Mozžuchin. Il suo viso non esprime alcuna emozione particolare. Quindi, crea tre sequenze. Tutte e tre accostano al primo piano, sempre lo stesso, di Ivan Mozžuchin: nella prima sequenza, l’immagine di una zuppa, nella seconda quella del cadavere di una bambina dentro una bara e, nella terza, quella di una ragazza [ma ci sono versioni anche differenti]. Viene chiesto agli spettatori, alla fine della visione, quali emozioni abbia loro trasmesso il viso dell’attore. Nel caso della zuppa: emozioni relative alla fame; nel caso della bambina morta: emozioni relative alla tristezza; nel caso della ragazza: emozioni relative al desiderio. Di più. Gli spettatori lodano addirittura la bravura dell’attore nell’esprimere di volta in volta quelle emozioni.

In questo modo, Kulešov dimostra come la storia di un film viene creata nella mente dello spettatore, attraverso una serie di associazioni che vanno ben al di là del contenuto oggettivo delle immagini e della loro sequenza. La magia del montaggio sta proprio in questo: nel provocare una determinata produzione di senso attraverso una ben calcolata giustapposizione di contenuti audiovisivi.

Di più: per ottenere effetti coinvolgenti attraverso il solo montaggio, non è necessaria alcuna ripresa, come invece ha fatto Kulešov: sono sufficienti materiali di repertorio (immagini, video, audio). 

Da un punto di vista visivo, il meccanismo è quello reso noto dalla trasmissione televisiva Blob. Prendiamo la scena del film nella quale un poliziotto, di fronte all’invasione del mostro informe e vorace, dice al suo collega: “È la cosa più orribile che abbia visto in vita mia” e facciamola seguire, per esempio, da quella di un noto personaggio politico.

Ora, è evidente che tra il mostro di cui parla il poliziotto il noto personaggio politico non c’è alcuna reale connessione. Al tempo stesso, nella mente dello spettatore comune, la connessione scatta in modo spontaneo. Quello che cambia è il vissuto emozionale: una forma di divertimento in chi non ama il noto personaggio politico, una forma di fastidio nei suoi fan. Il fatto interessante è che, pur essendo evidente a tutti il “gioco di montaggio”, questo non impedisce l’attivazione del nesso causale e la relativa (sia pur lieve – spero) risposta emotiva.

Facciamo un ulteriore passo avanti. Nella follia. Ėjzenštejn mostra come il montaggio possa riprodurre le stesse dinamiche proprie della schizofrenia o dei sogni. Rifacendosi agli studi dello psichiatra Ernst Kretschmer, nota come il pensiero astratto sia, nel profondo, costituito da immagini concrete, sorte in uno stadio antico dell’evoluzione. Immagini che tornano a emergere nei sogni e nella schizofrenia. Ma, per Ėjzenštejn, 

la prima cosa che ci affascina qui è che il principio del montaggio di per sé, anche al di fuori del suo stadio «intellettuale», è l’esatta riproduzione di quel meccanismo per cui, «in condizioni opportune, un’idea astratta può tornare a scomporsi nelle singole immagini di cui è fatta» [Sergej Michajlovič Ėjzenštejn, Il metodo, Marsilio].

Nel brano successivo Ėjzenštejn collega questa capacità del montaggio di riprodurre i meccanismi della schizofrenia e del sogno con quella di influenzare lo spettatore a livello emotivo.

Per essere precisi, rispetto alla schizofrenia, attraverso il montaggio si possono in qualche modo riprodurre quelli che sono i sintomi positivi della malattia, come uno stato allucinatorio, la perdita di contatto con la realtà, disorientamento spazio-temporale e uno stato di agitazione emotiva. Naturalmente, fatte sempre le debite proporzioni.

Kretschmer, dopotutto, scrive una «psicologia medica» e naturalmente lo interessano in primo luogo quelle «condizioni opportune» che portano al sogno e alla schizofrenia. Eppure, vediamo che un «tuffo» molto simile a questo si compie anche quando, per esempio, l’arte non si pone solo lo scopo di informare, ma anche quello di influenzare il più possibile lo spettatore in modo sensibile ed emotivo. Il mezzo magico del montaggio, questo potentissimo fattore di influenza emotiva immediata di cui il cinema è capace, come vediamo, per sua stessa natura «siede in sella» alle leggi dell’influenza [Sergej Michajlovič Ėjzenštejn, Op. Cit.].

Quindi:

– La storia di un film (o altro prodotto audiovisivo) viene creata nella mente dello spettatore attraverso una ben calcolata giustapposizione di immagini, frutto di un montaggio realizzato ad hoc (es.: l’espressione dell’attore e le tre immagini – zuppa, bambina morta e ragazza).

– Anche quando è evidente a tutti il “gioco di montaggio”, ovvero la palese finzione, ciò non impedisce l’attivazione di un nesso causale tra le immagini e la relativa risposta emotiva (es.: blob/noto personaggio politico).

– Attraverso il montaggio si possono in qualche modo provocare stati simili a quelli della schizofrenia o dei sogni: perdita di contatto con la realtà, disorientamento spazio-temporale / assenza o non percezione del tempo e dello spazio, libere associazioni e uno stato di agitazione emotiva. In questo modo è possibile influenzare in vario modo gli spettatori. (es.: Ėjzenštejn che applica alla tecnica del montaggio gli studi di Kretschmer).

– In conclusione: attraverso il montaggio, nella mente dello spettatore avviene una determinata produzione di senso, che può andare dal divertimento (o altra emozione) consapevole della finzione, sino all’induzione di stati alterati di coscienza simil-psicotici od onirici, influenzando in modo anche importante gli spettatori. Lo stesso Ėjzenštejn dichiara apertamente di fare un cinema di propaganda utilizzando precise tecniche di montaggio. E scrive una frase definitiva, che sintetizza tutto ciò:

[Il montaggio] suggerisce che sia possibile anche dirigere l’intero processo del pensiero [Sergej Michajlovič Ėjzenštejn, Op. Cit.].

Per venire ai giorni nostri, un film che, anche attraverso un uso sapiente del montaggio, induce a disorientamento spazio-temporale e a una sorta di stato confusionale – in questo caso per motivi puramente estetici – è Oculus (2013). Vediamo un paio di brani che ne parlano.

Quali sono i fattori che fanno sì che un horror sia definibile un buon film? In “Oculus”, l’ultimo lavoro del regista emergente Mike Flanagan, la cui magia consiste nel confondere passato e presente, realtà e fantasia, grazie a un sapiente gioco di luci e di montaggio [https://www.ecodelcinema.com/oculus-recensione.htm].

L’occhio della macchina da presa coincide costantemente con quello dei suoi personaggi, asseconda le visioni e si lascia trascinare in un vortice allucinatorio che non lascia spazio ad un filtro critico cosciente e distaccato, per abbandonarsi lentamente al potere dello specchio e lasciarsi guidare da una schiera di fantasmi in una dimensione orrorifica in cui la razionalità è annullata dal terrore [https://www.sentieriselvaggi.it/oculus-di-mike-flanagan/].

Quindi, una notizia, due buone notizie e una cattiva notizia.

Notizia. 

Oggi, chiunque abbia competenze informatiche medie, può realizzare un video dotato di una o più delle caratteristiche che abbiamo visto. Figuriamoci chi abbia a disposizione un budget, anche limitato.

Buona notizia 1.

I software per fare video editing sono molti, anche gratuiti o disponibili a costi limitati. La “curva di apprendimento” per realizzare un montaggio e una color correction di base, per chi ha competenze informatiche medie, è piuttosto bassa. 

Buona notizia 2. 

Dato che il montaggio è un linguaggio, se si vuole fare un buon lavoro, anche solo per hobby, è necessario conoscerlo. Di manuali sull’argomento c’è una buona scelta, mi sembra. Importante che trattino, anche attraverso apposite illustrazioni, le basi del montaggio in quanto linguaggio, senza distinzione tra analogico e digitale. Quindi, evitare manuali che si riferiscano al montaggio collegato a uno specifico software o solo all’ambito digitale. 

Tutto quanto visto in queste due Buone notizie rappresenta la base per dare espressione alla creatività, individuale o di gruppo. E che può portare, per esempio, alla realizzazione di video a tema, piccole fiction, videoclip, videocv, video istituzionali, video pubblicitari/promozionali. Nei primi tre casi, è chiara la distinzione tra il mondo del video e quello al di fuori di esso. Negli ultimi tre casi è chiara l’intenzione che regge il discorso audiovisivo, ovvero, rispettivamente, la promozione di sé a fini lavorativi, la presentazione di un’organizzazione e delle sue attività, la promozione di prodotti e/o servizi. Quindi non si pone alcun problema di tipo etico.

Cattiva notizia. 

I problemi nascono quando le tecniche di montaggio vengono utilizzate per “dirigere l’intero processo del pensiero” in contesti che si presentano e si qualificano come informativi. In questo caso, se attuata da persone disoneste e in malafede, la direzione dell’intero processo del pensiero diventa manipolazione del pensiero. Teniamo presente che anche un canale YouTube, una pagina Facebook, un account Twitter e un blog possono essere considerati contesti informativi, quando si presentano come tali, anche se non fanno riferimento a organi di informazione ufficiali o a persone iscritte ad Albi professionali relativi al tema trattato (es. sul Covid: virologi o altri medici/scienziati) o all’informazione in genere (sempre restando al Covid: giornalisti/giornalisti scientifici). Comunque, anche in questi casi, disonestà e malafede certo non mancano [https://www.jedanews.com/giornalisti-e-pennivendoli-corrotti].

Anna Maria Lorusso, professoressa di semiotica presso l’Università di Bologna, spiega in modo chiaro ed efficace il fenomeno delle echo chambres [Anna Maria Lorusso, Postverità, Laterza]. Vediamo. Ognuno di noi, non riceve, né attraverso le News di Google (o servizi simili), né attraverso i social, le stesse notizie e informazioni che ricevono gli altri. Le notizie e le informazioni che riceviamo sono basate sulle nostre preferenze esplicite e sulle nostre navigazioni nel web. Risultato: fruiamo una massa di notizie e informazioni che, su uno o più argomenti, confermano le nostre convinzioni. Prendiamo un utente che non sia consapevole di questa dinamica, e che abbia uno scarso atteggiamento razionale, sostituito dall’acritica adesione alla crociata di turno.

Il nostro utente, legge nel flusso di Facebook titoli dove continua a trovare conferme alla sua convinzione, sulla quale si fonda la sua partecipazione alla crociata di turno (un esempio attuale potrebbe essere quello che vede lo scontro tra no-vax e pro-vax). Per lui, tutto ciò rappresenta una costante conferma che ha ragione e che ciò in cui crede sia la Verità. Quindi, condivide in modo compulsivo questi contenuti. Che vengono letti da gente che la pensa lui. E tutti trovano in queste “informazioni” conferma delle loro certezze. E così via. Ma trovare continue conferme della giustezza della loro lotta, fa accrescere la loro rabbia e li carica emotivamente.

Perché non sto parlando di avatar o di personaggi virtuali. Sto parlando di persone reali, che attraverso il web (Facebook in questo esempio), trovano conferme della loro “verità” e che, fisicamente, vanno poi in giro, nelle città reali, con questo carico di rabbia e senso di ingiustizia subita. Fenomeni come il cyberbullismo e il revenge-porn hanno ampiamente dimostrato come quanto accade online possa avere effetti anche molto gravi sulle persone.  

Aggiungiamo a tutto questo una serie di individui che creano e mettono in rete video realizzati secondo le tecniche viste sopra e che appoggiano la crociata di turno. Video che, attraverso il solo montaggio, manipolano i processi di pensiero e innescano dinamiche emotive che rafforzano, al tempo stesso, quella rabbia e quella certezza di avere ragione e di stare subendo un’ingiustizia. 

La regola dovrebbe essere sempre questa: verificare, nel guardare un video, che la finzione sia dichiarata o che gli obiettivi siano espliciti; in caso contrario prendere in seria considerazione la possibilità di essere in presenza di un prodotto realizzato in malafede e, probabilmente, con obiettivi assai poco nobili e corretti.

Luca Baroni

1989 – 1991. In un’agenzia di cinema e spettacolo mi occupo di gestire l’archivio, collaborare agli eventi e realizzare servizi fotografici. 1994 – 1999. Dopo lavori vari, nel 1994 inizio come educatore con persone con disturbi psichici o cognitivi. Tra il 1999 e il 2001 conseguo laurea magistrale in Filosofia, con specializzazione in Teoria e tecnica delle comunicazioni sociali; Perfezionamento post-laurea in Bioetica e Critica letteraria. Dopo un periodo come addetto alla biblioteca di un’associazione, nel 2002 seguo un corso per Formatore e dall’aprile di quello stesso anno comincio la mia attività nel campo. Intanto, dal 2007, comincio a realizzare prodotti multimediali: dvd tratti dai miei corsi, presentazioni e video, qualche sito web. Nel 2011 la mia attività nel campo della formazione risente di una crisi notevole. Così invio alcune email mirate, focalizzando l’attenzione anche sulla mia attività in campo multimediale. L’iniziativa funziona e, per circa tre anni, realizzo servizi video nel Terzo Settore. Nel 2014 la mia attività come formatore riprende a buon ritmo e si affianca, tornando a essere quella principale, a quella di comunicatore e autore multimediale. Situazione che dura ancora oggi. All’interno di questo percorso, ho pubblicato, sempre dietro regolari incarichi, un romanzo per ragazzi, articoli, due ebook, un corso multimediale.