Il monaco demoniaco: la leggenda del monastero maledetto di Sicignano degli Alburni

Fra la valle del Tanagro e le grotte dei monti Alburni, nel 450 a.C. il tribuno della plebe Lucio Siccio Dentato fondò la città che oggi è conosciuta con il nome di Sicignano degli Alburni. Situato nella provincia di Salerno, in quella parte della Campania lontana dal mare, Sicignano ha attraversato millenni di storia illustre, che l’hanno condotta dall’appartenenza al Regno delle Due Sicilie al suo stato odierno: un meraviglioso comune italiano all’ombra di un castello e di un monastero abbandonato.

Il Castello di Sicignano degli Alburni

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Una strada sterrata sull’orlo di un pendio e una scala di gradini di pietra conducono in cima all’altura dove si trovano le rovine del monastero. Dal portone sfondato che dà accesso al cortile interno e dalle finestre rimaste aperte si possono ancora intravedere pentole e utensili abbandonati, ma le grigie pareti dell’edificio sono ormai prive della vita che un tempo l’aveva animato.


Il monastero venne costruito all’inizio del XVII secolo, e la sua fondazione avvenne sotto una buona stella, poiché secondo la leggenda fu Dio stesso a scegliere il luogo dove esso doveva sorgere. Circa un secolo dopo, tuttavia, un’ombra maligna calò sull’edificio, le cui mura oggi sono diventate teatro della ribellione della natura, dove l’erba cresce incolta e l’edera s’inerpica fino al tetto.

Nel cortile interno sono rimaste solo una tomba di pietra con una croce inclinata e una quercia avvizzita che incombe su di essa.

La ragione di questa incuria e di questo abbandono è da ritrovarsi, secondo un’inquietante leggenda, nella presenza dello spettro di un monaco che, trecento anni fa, strinse un patto con il diavolo.

La storia del vagabondo

Nell’anno del Signore 1720, il monastero di Sicignano degli Alburni era abitato da monaci benedettini, molto amati dagli abitanti della città: la regola benedettina prevedeva infatti la carità e il prestare aiuto a chi si trovava in difficoltà, compito che i monaci eseguivano volentieri e con solerzia.

Un giorno, a Sicignano degli Alburni giunse un giovane vagabondo, che si presentava con il nome di Giovanni. Pur essendo un uomo ancora nel fiore degli anni, la stanchezza e la denutrizione avevano reso il suo fisico esile e debole. Giovanni non aveva mai avuto una famiglia, e la solitudine aveva gettato sul suo volto un velo di tristezza e rassegnazione mentre il suo carattere era divenuto remissivo e taciturno; il giovane vagabondo era tuttavia umile e molto gentile.

Giovanni si fermò a Sicignano, dove mendicava agli angoli delle strade o andava di casa in casa chiedendo l’elemosina o un po’ di cibo: data la sua natura mite e gentile, le autorità e gli abitanti tolleravano la sua presenza, ma nessuno gli offrì mai ospitalità né si mostrò amichevole nei suoi confronti.

Veduta di Sicignano degli Alburni

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Giovanni era abituato alla solitudine, e dunque non si curava dell’indifferenza dei cittadini; tuttavia, con il trascorrere delle settimane la situazione peggiorò. L’arrivo dell’inverno portò con sé il freddo, la pioggia e la neve, e la scarsità di viveri spinse molte persone a essere meno disponibili a fare la carità.

Giovanni trascorreva interi giorni senza mangiare, dimagrì ancora di più e ben presto si ammalò.

Una notte, il giovane vagabondo venne colto da un forte temporale e, stanco e infreddolito, decise di percorrere la strada che conduceva all’altura dove sorgeva il monastero: aveva sentito spesso parlare della bontà dei monaci di Sicignano, e sperava di poter ricevere il loro aiuto.

Quando quella notte il monaco portinaio venne svegliato di soprassalto da un bussare furioso, nel momento in cui aprì la porta del monastero ebbe quasi l’impressione di trovarsi di fronte a un fantasma: un giovane uomo macilento e pallido come un cadavere, avvolto in un mantello logoro e bagnato, che faticava a camminare e a respirare, con gli occhi febbricitanti.

Giovanni fece appena in tempo a domandare un riparo per la notte, prima di perdere i sensi sulla soglia della porta.

Il monaco portinaio corse a svegliare il priore, il quale ordinò che il giovane vagabondo venisse trasportato in una delle celle del monastero. I monaci cercarono di curarlo, ma le sue condizioni erano talmente gravi che il priore ordinò che gli venisse amministrata l’estrema unzione.

Tuttavia, Giovanni sopravvisse.

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Ripresosi dopo molti giorni di febbre e di delirio, il giovane vagabondo ringraziò i monaci per l’ospitalità e, nonostante fosse ancora debole, fece per andarsene. Il priore, tuttavia, glielo impedì, e anzi insistette affinché restasse fino a che non si fosse rimesso in forze.

Con grande stupore di Giovanni, i monaci gli assegnarono una cella e gli diedero dei vestiti puliti, invitandolo a consumare i pasti con loro nel refettorio e a partecipare alle funzioni religiose nella cappella del monastero.

Grazie alle cure dei monaci, il giovane vagabondo non solo guarì completamente, ma divenne più forte e robusto, e la sua espressione smise di essere triste: gli sembrava di aver trovato nei monaci la famiglia che non aveva mai avuto.

Giovanni voleva ripagare i monaci per la loro gentilezza e ospitalità, e si offrì di svolgere alcuni lavori nel monastero. Cominciò così a estirpare erbacce nell’orto, a riparare oggetti, a svolgere piccole commissioni, e ben presto per il priore e gli altri monaci divenne una presenza indispensabile.

Ormai Giovanni viveva al monastero lavorando in cambio di vitto e alloggio, e condivideva ogni momento della giornata con i monaci, apprezzandone la vita tranquilla dedita alla contemplazione e alla preghiera.

Sentendo di aver finalmente trovato una casa e una famiglia, mosso da gratitudine, dopo un anno Giovanni decise di prendere i voti.

La storia del monaco

La nuova vita da monaco sembrò il raggiungimento di un sogno, per Giovanni, ma tutti i sogni presto o tardi si scontrano con la realtà.

Dopo qualche mese, il giovane monaco si rese conto di aver compiuto una scelta sbagliata. Non aveva mai avuto una vera e propria vocazione, né possedeva una fede cristiana così forte da permettergli di sopportare una vita di clausura, fatta solo di lavoro e preghiere a ogni ora del giorno e della notte, di regole ferree e di rinunce. Anche l’idillio che aveva percepito nel suo rapporto con gli altri monaci si rivelò un’illusione: ora che faceva parte del monastero, Giovanni si accorgeva di quanto l’invidia, la gelosia, la cattiveria e la meschinità fossero presenti anche fra tutti quegli uomini che avevano giurato di servire Dio.

Ormai, però, aveva fatto la sua scelta, e non poteva tornare indietro.

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La consapevolezza di essere intrappolato in una vita che non desiderava, e che in breve tempo iniziò a odiare, peggiorò il suo umore e la sua condotta: Giovanni partecipava alle preghiere e svolgeva i compiti che gli erano assegnati, ma divenne scontroso e irritabile. Il priore e il suo confessore cercarono di capire le motivazioni di quel cambiamento, ma il giovane monaco, per non deluderli, si rinchiuse in uno stoico silenzio e ben presto iniziò a divenire inviso anche agli altri abitanti del monastero.

Un giorno, però, accadde qualcosa che sembrò far tornare il giovane monaco gentile e spensierato come un tempo.

Mentre era affacciato alla finestra della sua cella, Giovanni vide da lontano una ragazza molto bella, dalla pelle abbronzata e i capelli scuri e ricci, che raccoglieva delle erbe nei pressi delle mura del monastero.

Il giovane monaco se ne innamorò all’istante.

Con uno stratagemma, riuscì a incontrare la ragazza e venne a sapere che si trattava di una contadina della vicina Sicignano degli Alburni. Anche la ragazza s’innamorò perdutamente di lui, e così i due amanti iniziarono a vedersi di nascosto.

Talvolta Giovanni riusciva a eludere la sorveglianza degli altri monaci e incontrare la donna che amava nei campi circostanti al monastero, ma molto spesso la conduceva con sé nei sotterranei dell’edificio.

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I confratelli di Giovanni si accorsero subito che il suo umore era notevolmente migliorato, che partecipava con più entusiasmo alle preghiere e che era più benevolo con tutti, ma solo uno di loro notò che spesso egli lasciava la sua cella di nascosto, durante la notte.

Una sera, Giovanni e la sua amata si diedero appuntamento nei sotterranei del monastero, e il monaco che da tempo aveva osservato i movimenti dell’ex vagabondo li scoprì e corse a riferire la notizia al priore.

La punizione per i due innamorati fu terribile.

I monaci, forse invidiosi o forse plagiati dalle superstizioni del tempo, credettero che la ragazza fosse una strega e che avesse usato la magia nera per sedurre il loro confratello. Il priore ordinò che venisse torturata fino a farle confessare il peccato di stregoneria, dopodiché venne arsa viva su un rogo allestito nel cortile.

Il giovane monaco era stato rinchiuso nei sotterranei del monastero, da dove poté solo udire impotente le urla della donna che amava, mentre veniva torturata e poi bruciata viva.

Anche dopo la morte della ragazza, il priore ordinò che Giovanni rimanesse rinchiuso nei sotterranei, affinché espiasse la sua colpa pregando e implorando il perdono del Signore.

Solo dopo un intero anno trascorso al buio e in completa solitudine, il giovane monaco poté uscire e, perdonato, tornare alla vita di sempre.

Ma qualcosa di sinistro si era ormai impossessato del monastero.

La storia del diavolo

Giovanni non era più quello di prima: non solo un intero anno di reclusione l’aveva fatto tornare il macilento e triste giovane vagabondo che aveva bussato alla porta del convento in una notte di pioggia, e non solo appariva disperato per la morte dell’amata – sembrava aver perduto il senno.

Il giovane monaco smise d’indossare il saio come tutti i confratelli, sostituendolo con un altro nero, il cui cappuccio teneva sempre calato sul capo. Si aggirava in silenzio per i corridoi e le stanze del monastero, sedeva in disparte durante la messa e nel refettorio, non rivolgeva mai la parola a nessuno; eppure, gli altri monaci spesso lo scoprivano a spiarli sogghignando, o lo udivano intrattenere delle lunghe conversazioni con se stesso, a bassa voce in modo da non poter essere compreso.

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Il priore e tutti gli altri monaci si convinsero che fosse impazzito, ma questa spiegazione all’apparenza logica cozzava con le sensazioni spiacevoli che tutti all’interno del monastero iniziarono a provare nei riguardi di Giovanni. I confratelli presero a evitarlo, nessuno voleva rimanere da solo nella stessa stanza con lui e molti avevano l’impressione che li stesse osservando anche quando non era presente.

Presto, fatti strani e inquietanti cominciarono ad accadere nel monastero.

Alcuni dei monaci che avevano partecipato alla tortura e all’esecuzione della presunta strega scomparvero nel nulla. I confratelli ispezionarono tutto il convento e li cercarono anche a Sicignano, ma senza successo.

Il priore e molti dei monaci giustificarono la sparizione con una fuga, ma altri erano convinti che dietro a quella scomparsa misteriosa ci fosse Giovanni: nel monastero iniziò a circolare la voce secondo la quale, mentre era rinchiuso nel sotterraneo, l’ex vagabondo avesse fatto un patto con Satana in persona, offrendogli la sua anima in cambio della vendetta per la morte della donna amata.

Quella voce divenne una terrificante certezza nella mente dei monaci quando le sparizioni misteriose, non solo continuarono, ma ad esse si aggiunsero anche delle morti orrende. Tutti i monaci che avevano partecipato al supplizio della ragazza furono ritrovati cadaveri uno dopo l’altro, morti in maniere atroci – uno venne rinvenuto annegato sul fondo del pozzo del monastero, un altro impalato nell’orto e un terzo bruciò vivo mentre cercava di accendere il camino.

Una mattina, il cadavere del priore fu rinvenuto nel cortile, completamente smembrato.

Gli assassini della presunta strega erano ormai tutti morti, e gli altri monaci sperarono che la sete di vendetta di Giovanni si fosse placata, ma così non fu. Il monaco demoniaco continuò a esercitare la sua influenza sul monastero, uccidendo o facendo sparire strategicamente altri monaci fino a essere eletto, nel terrore generale, nuovo priore del monastero.

I pochi monaci rimasti, temendo di scomparire nel nulla o di venire uccisi, non poterono fare altro se non sottomettersi al dominio di terrore del monaco demoniaco e – ormai ne erano certi – del diavolo.

Un’aura di malignità avvolse il monastero, estendendosi anche alla città: chiunque si avvicinasse troppo al monastero scompariva a sua volta, o veniva ritrovato cadavere, e con il tempo gli abitanti di Sicignano degli Alburni presero a evitare quel luogo maledetto.

In una notte piovosa, proprio come quella in cui il vagabondo si era presentato alla porta del monastero, un nobile e sua moglie, giunti a Sicignano in carrozza come tappa per il loro viaggio di nozze, decisero di raggiungere la cima dell’altura e chiedere ospitalità per la notte.

La mattina dopo, il cavallo discese la strada verso Sicignano, ancora legato alla carrozza: quando questa entrò nel centro abitato, i sicignanesi poterono vedere che a cassetta era seduto il cadavere dell’uomo, con il cranio fracassato. La moglie era scomparsa, e di lei non si ebbero mai più notizie.

Questo fu l’episodio che fece mobilitare le autorità cittadine, le quali chiesero al sovrano di mandare un’ispezione presso il monastero. Quando gli uomini del re arrivarono, trovarono pochi monaci sopravvissuti, terrorizzati e quasi morti di stenti, che raccontarono come il priore avesse stretto un patto con il diavolo e ucciso tutti i loro confratelli.

Giovanni non oppose resistenza all’arresto, si lasciò anzi condurre nel cortile con uno strano sorriso sulle labbra, avvolto nel suo saio nero. Non smise di sogghignare neppure quando, dopo un processo sommario, venne impiccato a uno dei rami della quercia.

La storia dello spettro

Il monastero venne abbandonato.

Nel 1885 l’edificio venne convertito in un collegio, nel 1926 divenne un liceo ma chiuse definitivamente nel 1973. Tutt’oggi il monastero resta in balia della natura, e a Sicignano esiste la regola non scritta di non avvicinarvisi dopo il tramonto.

Si dice infatti che lo spettro del monaco demoniaco si aggiri ancora fra le mura del monastero, e che appaia soprattutto nelle ore notturne.

Alcune testimonianze riportano di scricchiolii, rumori di passi e sussurri provenienti dalla cappella, mentre altre affermano di aver visto un globo di luce aggirarsi per i sotterranei del monastero.

Una leggenda urbana racconta che nel 1989 un gruppo di ragazzi abbia deciso di sfidare la sorte e di recarsi in cima all’altura dopo il tramonto. Lì avrebbero scorto la figura di un monaco, in piedi di fronte alle mura del monastero. Tutti rimasero pietrificati dal terrore, ma prima che potessero domandare a quell’uomo la sua identità, il monaco iniziò ad avanzare verso di loro.

I ragazzi, presi dal panico, scapparono attraverso il bosco circostante.

Nella confusione, uno di loro si separò dai compagni e finì impigliato in un cespuglio di rovi, venendo raggiunto dal monaco vestito di nero: la figura spettrale si chinò sul ragazzo terrorizzato e gli sussurrò nell’orecchio alcune frasi in una lingua sconosciuta, prima di scomparire nel nulla.

Ancora oggi, si dice che al calare del sole il monaco demoniaco possa essere intravisto mentre si aggira nel cortile del monastero; alcuni sostengono che sia in attesa del suo amore perduto, ma altri credono fermamente che aspetti l’arrivo di intrusi, su cui poter perpetrare ancora una volta la sua vendetta.


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