In un tempo lontano, fatto di miti e leggende, di eroi mortali e dèi capricciosi, al di là delle Colonne d’Ercole “avvennero terribili terremoti e diluvi” e, in un solo giorno e una sola notte, l’isola-continente di Atlantide sprofondò negli abissi dell’oceano. Secondo Platone, tutto ciò ebbe luogo 9.000 anni prima della nascita di Solone, colui che il filosofo ateniese indicò come sua fonte principale e iniziatore del mito di Atlantide.

Il mito di Atlantide secondo Platone
La storia di Atlantide ebbe inizio con il Timeo e il Crizia, due dialoghi scritti da Platone intorno al 360 a.C. Attraverso i personaggi di Socrate, Ermocrate, Timeo di Locri e Crizia, suo antenato e capo dei Trenta Tiranni di Atene, il filosofo raccontò di Atlantide, un’isola-continente “più grande della Libia e dell’Asia”, all’epoca il Nord Africa e l’Anatolia, che si trovava nell’Oceano Atlantico e al di là delle Colonne d’Ercole.

La fonte di Platone era il politico Solone, che ne aveva scoperto l’esistenza durante un viaggio in Egitto: il sacerdote Sonchis gli parlò di un’antica battaglia fra Atene e Atlantide.

In origine, gli dèi si divisero le terre. A Poseidone toccò Atlantide e nella parte centrale dell’isola c’era una pianura, dove abitava una fanciulla di nome Clito. Il dio del mare se ne innamorò e con lei generò cinque coppie di gemelli; poi fortificò la pianura con cinque cerchi concentrici, due di terra e tre di mare, e rese Atlantide un regno fertile e prosperoso, che divise in dieci regioni, ognuna con a capo uno dei suoi figli con Clito.

Il maggiore di tutti, il leggendario Atlante, divenne il re dei re di Atlantide ed ebbe in dono la regione della pianura dove si erano conosciuti i genitori, quella più grande e rigogliosa. L’isola si trasformò in una grande potenza marittima e arrivò a controllare vaste porzioni dell’Africa, dell’Egitto e dell’Italia.

Ma col passare dei secoli i re persero di vista i principi di giustizia ed equità e si macchiarono di egoismo.

“Quando però la parte di divino venne estinguendosi in loro, mescolata più volte con un forte elemento di mortalità e il carattere umano ebbe il sopravvento, allora, ormai incapaci di sostenere adeguatamente il carico del benessere di cui disponevano, si diedero a comportamenti sconvenienti”.

Il pomo della discordia fu la guerra con Atene. Atlantide cercò senza successo di invaderla e si procurò l’ira di Zeus, che ne ordinò la distruzione. In un solo giorno e una sola notte, terremoti e tsunami si abbatterono sull’isola-continente, i suoi territori sprofondarono e restò solo un ammasso di fango che rese le acque impraticabili.

L’America e la Svezia
In età antica, e durante il Medioevo, Atlantide non suscitò grande interesse, ma, quando Colombo scoprì l’America qualcuno ipotizzò che l’esploratore fosse partito per provarne l’esistenza. In quest’ottica la leggendaria isola-continente, o, almeno, ciò che ne restava, era proprio l’America, e i nativi americani rappresentavano i superstiti del disastro naturale.

Anche se il filosofo ateniese aveva indicato la posizione di Atlantide vicino alle Colonne d’Ercole, ovvero l’odierna Gibilterra, la fantasia degli studiosi si scatenò.

A fine XVII secolo, lo scienziato svedese Olaus Rudbeck spostò Atlantide nelle regioni scandinave e, per giustificare il passaggio della Svezia a grande potenza europea, la identificò con la sua madre patria.

Rudbeck scrisse che l’Atlantide nordica era stata la culla della civiltà, il luogo dove erano vissuti Adamo ed Eva e dove si parlava lo svedese, dal quale erano derivati l’ebraico e il latino.

L’Atlantide iperborea di Bailly
Nel Settecento il francese Jean Sylvain Bailly unì il mito di Atlantide a un altro mito greco, quello della leggendaria Iperborea, e alle ipotesi paleoclimatiche di Jean Jacques Dortous de Mairan e Georges-Louis Leclerc de Buffon.

Per Mairan e Buffon in origine la terra era incandescente e inabitabile, e solo col passare dei secoli si era raffreddata fino a raggiungere le temperature a noi conosciute.

L’unica zona mite era l’estremo nord dell’Eurasia, la Siberia, dove, secondo Bailly, sorse la società atlantidea-iperborea, che creò le arti e la scienza e, quando il pianeta cominciò a raffreddarsi, si spostò verso sud per civilizzare i cinesi e gli egizi.

L’Atlantide antidiluviana di Donnelly
Nel 1882, lo statunitense Ignatius Donnelly pubblicò Atlantis: The Antidiluvian World, un trattato pseudo-archeologico in cui riportò Atlantide nell’Oceano Atlantico, dove era stata una prosperosa culla della civiltà, poi distrutta da una catastrofe naturale.

L’esodo dei sopravvissuti aveva dato vita al mito del diluvio universale e gli stessi dèi greci, indù, fenici e scandinavi erano i re, le regine e gli eroi dell’isola, la cui memoria aveva subito delle storpiature attraverso la tradizione orale.

Donnelly rielaborò anche diversi capitoli di storia. Gli atlantidei erano stati i primi a lavorare il bronzo e il ferro, avevano creato un alfabeto da cui era derivato quello fenicio, capostipite di tutti gli alfabeti europei, e avevano trasmesso parte della loro cultura ai Maya.

La teoria teosofica delle razze-radice
Sempre in quegli anni, il mito di Atlantide divenne oggetto di studio della teosofia e, grazie ad alcuni suoi esponenti, come Helena Blavatsky, Annie Besant e Rudolf Steiner, si giunse alla cosiddetta tesi delle razze-radici.

I teosofi, la cui dottrina filosofico-religiosa mischiava misticismo e indagine scientifica, pensavano che l’umanità fosse divisa in sette razze-radice e a ciascuna di esse corrispondesse sia un’epoca storica sia un tipo di sviluppo delle capacità umane. Le prime cinque razze di questa teoria sono la Polare, l’Iperborea, la Lemuriana, l’Atlantidea e l’Ariana.

Quest’ultima è la nostra razza attuale e le ultime due ancora non sono comparse, ma porteranno le persone a trascendere la loro natura umana per trasformarsi in esseri divini. Ogni razza-radice, a sua volta, ha sette sotto-razze e noi della razza Ariana deriviamo dalla quinta sotto-razza degli Atlantidei, i Protosemiti. La prima sotto-razza atlantidea erano i Rmoahals, che svilupparono il linguaggio; seguirono i Tlavatli, gli artefici della nascita della memoria, e i Tolteki, la cui civiltà corrispondeva al periodo di massimo splendore di Atlantide.

La decadenza ebbe inizio con i Turanici, puniti con terremoti e tsunami per il loro egoismo. Le ultime tre sotto-razze erano i Protosemiti, gli Accardi e i Mongoli, che cercarono di porre rimedio agli errori dei predecessori.

Il punto in comune di queste sotto-razze è che tutti gli Atlantidei possedevano poteri sovrannaturali e la distruzione dell’isola fu colpa dei Turanici, che iniziarono ad abusare della magia per scopi personali e a mettersi gli uni contro gli altri.

La teoria delle razze-radice ebbe un seguito con il Terzo Reich, il cui interesse per l’esoterismo è ben noto. Alcuni gerarchi nazisti, fra cui Alfred Rosenberg ed Heinrich Himmler, diedero adito alla leggenda della discendenza atlantidea degli ariani e, per cercare i resti dei loro mitologici antenati, promossero una serie di spedizioni, ovviamente infruttuose.

L’eruzione del Thera e la distruzione di Santorini
Misticismo e razze a parte, qualcuno ipotizzò che l’impossibilità di giungere a una localizzazione certa fosse imputabile a Solone, ovvero alla fonte storica di Platone, e che i sacerdoti egizi che gliene avevano parlato fra il VII e VI secolo a.C. avevano sbagliato a tradurre le date: anziché esser stata distrutta 9.000 anni prima, Atlantide era affondata 900 anni prima.

Questo dubbio sulla datazione ci porta intorno al 1628 a.C., quando, nel mar Egeo, Santorini fu vittima di una violentissima eruzione del vulcano Thera, a cui seguì un terribile maremoto, che fece collassare la parte centrale dell’isola, lasciò intatte le zone esterne e le diede l’attuale conformazione.

Si presume che l’eruzione del Thera abbia contribuito alla fine della civiltà minoica, e alcuni superstiti sarebbero fuggiti in Egitto, dove i sacerdoti ne tramandarono i racconti attraverso una veste mitologica.

La Sardegna
Un’altra teoria identifica Atlantide con la Sardegna e si basa su una serie di analogie con i dialoghi di Platone. Il filosofo parla delle Colonne d’Ercole, ma anziché dello stretto di Gibilterra potrebbe trattarsi del canale di Sicilia.

Le fonti egizie del II millennio a.C., infatti, citano gli Shardana, presunti antenati dei sardi, come uno dei Popoli del Mare che, sul finire dell’età del Bronzo, invasero l’Anatolia, la Siria, la Palestina, Cipro e l’Egitto.

La stessa Sardegna ha una conformazione del territorio che ben si sposa con la descrizione di Atlantide, e la grande pianura centrale dove Poseidone incontrò Clito corrisponderebbe alla pianura del Campidano. La capitale protetta da cinque cerchi concentrici di acqua e di terra coinciderebbe con la città di Santadi, che a livello urbanistico si sviluppa in cerchi concentrici con porzioni montuose. Ma anche l’intera zona ha continui rimandi toponomastici al testo di Platone e agli interventi del dio del mare.

Il filosofo scrisse: “Egli stesso poi abbellì facilmente, come può un dio, l’isola nella sua parte centrale, facendo scaturire dalla terra due sorgenti di acqua, una che sgorgava calda dalla fonte, l’altra fredda”.

Nei pressi di Santadi, il comune di Nuxis ha tre frazioni che si chiamano Acquacadda, S’acqua callenti de basciu e S’acqua callenti de susu, rispettivamente acqua calda, l’acqua calda di sotto e l’acqua calda di sopra. Spostandoci più a nord, dalle parti di Siliqua, troviamo le sorgenti d’acqua di Zinnigas e il Castello di Acquafredda.

L’utopia del governo ideale e la Sicilia
In questo mare di ipotesi, però, tutti gli studi relativi alla teoria della deriva dei continenti hanno escluso che possa essere esistita una terra emersa e affondata come quella di Atlantide, e gli unici ragionamenti sensati appartengono alla vera natura dei dialoghi platonici.

Nel 404 a.C., Atene perse la guerra del Peloponneso contro Sparta e nella polis si insediò un governo di oligarchi, i famosi Trenta Tiranni, poi rovesciati da una rivolta civile che ristabilì la repubblica. Tutti questi sconvolgimenti spinsero Platone a elaborare una sua teoria politica, con i filosofi al vertice della piramide sociale perché garanti della giustizia e dell’armonia fra le classi, ma quel governo ideale non era attuabile ad Atene.

Dal 390 al 360 a.C., compì tre viaggi a Siracusa e tentò, senza successo, di influenzare i due tiranni della città, Dionisio I e Dionisio II. Nemmeno in Sicilia la sua utopia trovò spazio e, quando tornò ad Atene, scrisse i dialoghi di Timeo e Crizia per mostrare, attraverso il mito di Atlantide, cosa succede a una società altamente civilizzata se si ha la decadenza dei costumi.

L’intento allegorico dei dialoghi è quasi universalmente condiviso, ma ciò non esclude che, per creare Atlantide, Platone abbia comunque preso spunto dalla realtà. Se il mito del cataclisma assomiglia agli eventi che portarono alla distruzione di Santorini, sul fronte geografico, il filosofo mise insieme diversi elementi della Sicilia, che ebbe modo di visitare in lungo e largo durante i tre soggiorni siracusani.

Atlantide aveva una grande pianura, proprio come la Sicilia ha la piana di Catania, che si estende per 430 km².

Il palazzo reale atlantideo si trovava in una zona decentrata, con attorno cinque cerchi concentrici; una posizione che sembra richiamare l’isola di Ortigia, dove vi era il palazzo dei tiranni di Siracusa, e, per come è collocata all’interno della laguna dello Stagnone di Marsala, l’antica isola di Mozia, oggi San Pantaleo.

Ma giunti a questo punto, l’unico pensiero che ben si sposa con la storia di Atlantide e la sua affascinante civiltà, è di un allievo di Platone.

È inutile arrovellarsi su dove si trovasse e su cosa le sia successo. Come disse Aristotele:
Atlantide, chi l’ha inventata, l’ha fatta anche scomparire