Sono le 7 di mattina del 12 ottobre del 1798 e la flotta inglese dà inizio alla battaglia di Tory Island. L’obiettivo è impedire all’esercito francese di sbarcare sulla costa e di sostenere la rivolta irlandese contro la Corona, ma è una sfida a senso unico, perché gli inglesi sanno il fatto loro quando combattono sui mari. Fra le tante vittime delle disfatta francese c’è anche il vascello della Hoche, agli ordini del commodoro Jean Baptiste François Bompart. Alle 10 e 50 minuti è tutto finito. Bompart issa bandiera bianca e si arrende ai britannici, che requisiscono la nave e internano l’equipaggio nei pressi di Liverpool.

Quando il comandante della prigione lo chiama per dare un’occhiata a un detenuto con abitudini alimentari insolite, il dottor Johnston certo non si aspetta di trovarsi di fronte un uomo forte e robusto, alto quasi due metri, magro, con i capelli castani, gli occhi grigi e una carnagione chiara. Sembra in buona salute, nulla da obiettare, ma se lo hanno chiamato lì è perché qualcosa non torna. Johnston, che è a capo della Sick and Hurt Commissioners, l’ente incaricato dei servizi medici per la Royal Navy e della supervisione del benessere dei prigionieri di guerra, si avvicina al soggetto misterioso e lo interroga.

Insieme al dottor Cochrane, membro del Royal College of Physicians di Edimburgo, scopre la sua storia, fa esperimenti – più per curiosità personale che scientifica – e cerca di formulare una diagnosi. L’uomo è analfabeta, ma non soffre di alcun disturbo mentale. In altre parole non è la pazzia che lo ha spinto a mangiare gatti e topi della prigione, oltre a chissà cos’altro di disgustoso.
Allora cosa lo affligge? E perché non è obeso?

Le domande del medico non hanno risposta, e a Johnston non resta che inserire la sua testimonianza nel The London Medical and Physical Journal, unica fonte della storia di Charles Domery, il soldato prussiano che si era unito ai francesi con l’unico scopo di mangiare il più possibile.

La storia familiare
Quando Johnston lo incontrò per la prima volta nel febbraio del 1799, Domery disse di avere 21 anni; il che suggerisce che sia nato in un giorno imprecisato del 1778 in qualche territorio prussiano. Stando a ciò che raccontò al dottore, il suo insaziabile appetito comparve a 13 anni, ma in famiglia non era il solo a soffrirne, perché anche i suoi otto fratelli mangiavano con un’ingordigia fuori dal comune.
Il padre, invece, era una buona forchetta, di quelle che a tavola banchettavano con ingenti quantità di carne.
Si trattava di un fattore ereditario?
Da come stavano le cose era impossibile saperlo. Charles confidò a Johnston di non ricordare se la fame del genitore eguagliasse quella dei figli.

Dall’esercito prussiano alla diserzione
Durante l’adolescenza lasciò la casa di famiglia e si unì all’esercito prussiano nella Guerra della Prima Coalizione contro l’Armée révolutionnaire française, ma le razioni erano misere e il suo stomaco gli suggerì di cercare maggior fortuna altrove. L’occasione perfetta fu l’assedio della città di Thionville, quando, anziché insidiare le difese francesi insieme ai suoi commilitoni, Charles entrò in città e si arrese al nemico.

La diserzione gli valse un melone, che, a detta sua, divorò senza risparmiare la buccia, e l’accesso a una doppia razione di cibo, più lauta, ma comunque insufficiente. Dilapidò i suoi pochi spiccioli per procurarsi la carne, preferibilmente consumata a crudo, e si trasformò nel più grande incubo dei gatti.
Sulla base di una testimonianza di un commilitone di Domery, il dottor Johnston scrisse:
“Se il pane o la carne erano scarsi, ne compensava la mancanza mangiando quattro o cinque libbre di erba al giorno; e in un anno dichiara di aver divorato 174 gatti, vivi o morti. […] A volte li uccideva prima di mangiarli, ma quando era molto affamato non aspettava di svolgere questo compito umano. Cani e topi soffrivano ugualmente delle sue mascelle misericordiose; e, se molto pizzicate dalla carestia, le viscere degli animali diventavano la sua preda”.

È interessante notare che proprio nel periodo della sua permanenza nell’Armée, tra le fila dei francesi c’era anche il celebre Tarrare (ne abbiamo parlato in un articolo dedicato), l’unico uomo il cui appetito superava quello di Domery.
Chissà come sarebbe finito un duello culinario fra loro due…

La battaglia di Tory Island e la prigionia
L’avventura di Charles proseguì sui mari e l’esercito lo assegnò alla Hoche, un vascello diretto in Irlanda per sostenere la rivoluzione contro gli inglesi. Il 12 ottobre del 1798 si consumò la battaglia di Tory Island, e il vascello cadde nelle mani della Corona, ma delle gesta militari di Domery non sappiamo nulla. In compenso un suo compagno raccontò a Johnston un aneddoto tanto particolare quanto disgustoso.

Con i cannoni rivali che martoriavano la Hoche e il commodoro Bompart che si apprestava a issare bandiera bianca, Charles notò una gamba d’uomo ancora calda e la afferrò. Un marinaio lo sorprese mentre se ne stava cibando, gliela strappò dalle mani e la gettò a mare.
La giustificazione di Domery fu che stava semplicemente morendo di fame

Nemmeno in prigione il suo appetito diminuì, e le guardie assistettero a cose che, prima, sembravano impossibili. Un giorno Charles adocchiò la carcassa di un gatto morto e la divorò, poi si diede alla caccia ai topi – meglio la quantità che la qualità – e ne divorò circa una ventina. A quel punto il suo stomaco dell’orrore divenne l’attrazione principale della prigione. Iniziò a cibarsi di medicine, avanzi e tutto ciò che gli capitasse a tiro. Gli altri detenuti gli donavano parte dei loro pasti, i carcerieri gli procuravano razioni per dieci uomini, ma niente…
Il suo stomaco non smetteva di brontolare

Gli studi del dottor Johnston
La sua fama, o fame, che dir si voglia, giunse alle orecchie del comandante della prigione, che convocò il dottor Johnston per una consulenza. Il medico studiò a fondo il paziente e fece delle scoperte sorprendenti. A proposito delle sue feci scrisse:
“Va all’utensile comunemente mattina e pomeriggio, in quantità minore o maggiore, a seconda delle vettovaglie che mangia. Ma le feci non sono affatto proporzionate all’ingesta (a ciò che mangia; n.d.r.), e, anzi, raramente superano quelle degli altri uomini”.

Quanto al resto, Charles era magro, aveva battito cardiaco e temperatura corporea nella norma, non vomitava mai, nemmeno dopo aver banchettato con i cibi più disgustosi, e non presentava alcuna forma di malattia mentale, anzi, per quanto analfabeta, si dimostrò un abile conversatore. In compenso, aveva un’insolita routine notturna.
“Si corica verso le otto di sera e subito dopo inizia a sudare. […] Dura fino all’una del mattino, dopodiché si sente sempre affamato, anche se si è sdraiato con lo stomaco pieno. Quindi mangia pane o carne di manzo, o qualsiasi altra provvista che può aver riservato durante il giorno. E se non ha nulla, inganna il tempo fumando tabacco. Verso le due va a dormire di nuovo e si sveglia alle cinque in una sudorazione violenta, con un gran caldo. Questo lo abbandona quando si alza e quando ha mangiato un carico fresco di carne cruda”.

Per Johnston, il paziente era un caso molto interessante e, insieme al dottor Cochrane, tentò un’impresa impossibile: saziare l’appetito di Charles. L’esperimento ebbe inizio alle 4 di mattina del 7 settembre del 1799, con una colazione a base di mammelle crude di mucca, per un totale di quattro libbre. Ovviamente, la cavia gradì il buongiorno, ma, per sua fortuna, il meglio doveva ancora arrivare.

Alle nove e mezza gli servirono la prima vera ondata di cibo, con un menù che prevedeva cinque libbre di manzo crudo (circa due chili e tre etti), dodici candele di grasso bovino e una bottiglia di birra. Ciò che seguì andò ben oltre le aspettative.
“Finì alle dieci e mezza“, scrisse il dottor Johnston. “All’una gli furono nuovamente messi davanti cinque libbre di manzo e una libbra di candele, con tre bottiglie di birra. In quel momento fu rinchiuso nella stanza con travi poste alle finestre per impedirgli di buttare via qualsiasi provvista. Alle due, quando l’ho rivisto con due amici, aveva quasi finito tutte le candele e gran parte della carne di manzo, ma non aveva né l’evacuazione con il vomito, né con l’utensile (la defecazione; n.d.r.), né con l’urina. […] Dopo un quarto d’ora, quando doveva essere riportato in prigione, aveva divorato tutto e aveva dichiarato che avrebbe potuto mangiare di più”.

Quel giorno, Charles mise le mani, anzi, la bocca, su circa 1,8 chilogrammi di mammelle di mucca, 4,5 chilogrammi di carne di manzo, quasi un chilo di candele di grasso bovino e tre bottiglie di birra. Ma la cosa che stupì di più i medici fu che il suo corpo non gli presentò alcun conto. Nessun rigurgito, nessun mal di pancia.
Niente di niente

Le cause della sua anomala voracità sono ignote. Johnston esaurì le ipotesi quando constatò l’assenza di malattie mentali, che era l’unica spiegazione possibile per la medicina dell’epoca, e in seguito si pensò all’ipotiroidismo o, in alternativa, a un danneggiamento dell’amigdala e del nucleo ventromediale dell’ipotalamo, due parti del cervello che potrebbero causare la patologia di Domery.

Quanto al nostro insaziabile prigioniero di guerra, non si sa cosa gli accadde, se rimase a Liverpool o se fu rispedito in patria. A differenza del compagno d’armi (e di tavola) Tarrare, nessun medico riuscì a mettere le mani sul suo cadavere e sezionarlo per scoprire qualche particolare in più. Così, dopo oltre 200 anni, l’appetito gargantuesco di Charles Domery resta un mistero senza alcuna spiegazione.
Fonti:
Charles Domery – Wikipedia inglese.
The London Medical and Physical Journal, pag. 208-213 – Ebook disponibile gratuitamente su Google Libri.