Il Martirio di Ipazia di Alessandria: la Libertà di Pensiero uccisa dal Fanatismo Religioso

Alessandria d’Egitto, fondata nel 331 da Alessandro Magno, è stata per molti secoli la capitale culturale del mondo ellenistico, grazie alla fondazione del Museo (che in realtà assomigliava a un’università) e della famosa Biblioteca, dov’erano conservate qualcosa come 500.000 pergamene, o forse più.

Interno dell’antica Biblioteca di Alessandria secondo un’incisione ottocentesca di fantasia

Nelle strade della città egizia si incontrano (tra il III e il II secolo a.C.) eminenti filologi, come Zenodoto di Efeso, che cura un’edizione critica dei poemi omerici, o il poeta Callimaco di Cirene, che stila una gigantesca bibliografia degli scrittori di lingua greca e intanto litiga, forse passeggiando nei pressi del grande Faro, con Apollonio Rodio, sulla preminenza della poesia lirica rispetto all’epica. Entrambi hanno probabilmente modo di discutere con Eratostene di Cirene, grande studioso di svariate discipline e conosciuto sopratutto come geografo.

Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:

Il Museo e la Biblioteca perdono gradualmente d’importanza dopo la conquista romana, nel 48 d.C., quando probabilmente la biblioteca (o forse un deposito) viene parzialmente distrutta, per continuare a declinare nei secoli a venire, durante il conflitto tra l’imperatore Aureliano e la regina Zenobia (270 d.C.), fino al preciso intento di cancellare la “saggezza pagana”, perseguito da Teodosio I con l’editto del 391, anche se la definitiva distruzione della Biblioteca (nel 642) viene attribuita, ma non senza contestazioni storiografiche, agli arabi del Califfo ‘Omar.

Quando nel 364 l’impero romano, seppure ancora non definitivamente, viene diviso in due (sarà riunificato sotto Teodosio nel 392 e definitivamente scisso nel 395), Alessandria finisce nell’area orientale. La magnifica città non ha pace: cristiani, ebrei e pagani sono in perenne conflitto e la Biblioteca viene probabilmente distrutta, insieme al Museo e al tempio di Serapide, per il preciso volere del vescovo Teofilo (“Per sollecitudine di Teofilo, l’imperatore ordinò di distruggere i templi degli elleni in Alessandria e questo avvenne per l’impegno dello stesso Teofilo” – cit. da Socrate Scolastico).

Il vescovo Teofilo di Alessandria in piedi sul Serapeo distrutto dai suoi fanatici seguaci

La distruzione del Serapeo (dove forse erano conservate le ultime pergamene della Biblioteca) sconvolge oltremodo i cittadini di fede pagana, che devono tuttavia subire l’evento.

In un contesto così conflittuale non ha vita facile una donna fuori dal comune, Ipazia, troppo colta e troppo libera intellettualmente per piacere ai tanti che non tolleravano i suoi insegnamenti perché scissi da un credo religioso.

Ipazia di Alessandria, illustrazione del 1908


Ipazia, il cui anno di nascita è sconosciuto (può collocarsi all’incirca tra il 350 e il 370) ha la fortuna di avere come padre Teone, matematico, astronomo e filosofo che in quegli anni dirige il Museo o forse il Serapeo. A lui si deve la sopravvivenza dell’opera di Euclide, Elementi, giunta a noi solo grazie alla copia commentata da lui redatta.

Ipazia, allieva del padre, non solo diventa una matematica e un’astronoma di grande importanza, ma supera il suo maestro: “fu di natura più nobile del padre, non si accontentò del sapere che viene dalle scienze matematiche alle quali lui l’aveva introdotta, ma non senza altezza d’animo si dedicò anche alle altre scienze filosofiche”. (Damascio, Vita Isidori)

Anche se il Museo probabilmente non esisteva più, Alessandria ha comunque una scuola di grande prestigio per quanto riguarda la matematica, ed è proprio Ipazia a dirigerla, almeno a partire dal 393.

Hypatia – Julius Kronberg, 1889

La studiosa non si occupa però solo di matematica e astronomia, ma “era giunta a tanta cultura da superare di molto tutti i filosofi del suo tempo, a succedere nella scuola platonica riportata in vita da Plotino e a spiegare a chi lo desiderava tutte le scienze filosofiche. Per questo motivo accorrevano da lei da ogni parte tutti coloro che desideravano pensare in modo filosofico” (Socrate Scolastico).

Ipazia dunque non riserva i suoi insegnamenti solo agli allievi della scuola alessandrina: “La donna, gettandosi addosso il mantello e uscendo in mezzo alla città, spiegava pubblicamente a chiunque volesse ascoltarla Platone o Aristotele o le opere di qualsiasi altro filosofo”. (Damascio, Vita Isidori)

Illustrazione per il romanzo ottocentesco “Hypatia, o New Foes with an Old Face”


Ipazia insomma condivide il suo sapere con chiunque abbia voglia di ascoltarla, in una città dove il vescovo ha fatto distruggere tutti i templi pagani e persegue l’annientamento della cultura ellenistica, proprio quella che Ipazia vuole mantenere in vita, diffondendola al maggior numero di persone possibile.

Della reazione di Ipazia, durante i tumultuosi avvenimenti accaduti sotto Teofilo, nulla si sa. Certamente però la sua grande influenza culturale le conferisce anche un importante prestigio in politica, tanto da essere consultata prima di ogni importante decisione dai “capi della città”. Si fida dei suoi consigli anche Oreste, governatore cristiano di Alessandria, che deve però contrastare la sete di potere del nuovo vescovo, Cirillo (nipote di Teofilo). Il religioso segue le orme dello zio quanto a repressione delle altre religioni, ma non solo. Lui vuole “dominare la cosa pubblica oltre il limite consentito all’ordine episcopale” (Socrate Scolastico).

Il vescovo Cirillo

Oreste, che vuole mantenere il controllo sulla vita civile della città, e Cirillo, che vorrebbe avere voce in capitolo non solo su questioni religiose, sono quindi in lotta fra loro.

Poi, com’era prevedibile, tutte quelle tensioni sfociano in un tragico fatto di sangue: nel 414 un numero imprecisato di cristiani viene massacrato da alcuni ebrei, stanchi di essere oggetto dell’odio di qualche fanatico “maestro” cristiano, e minacciati dallo stesso Cirillo, che fomenta la discordia. Di conseguenza Oreste caccia dalla città l’intera comunità ebraica, ma nulla può contro Cirillo, che ci aveva messo del suo, perché non ha l’autorità per prendere provvedimenti contro un membro del clero, mentre l’Augusta Ella Pulcheria, reggente dell’impero in nome del fratello Teodosio II, appoggia il vescovo.

Tra Cirillo e Oreste la frattura è insanabile, tanto che il governatore viene preso di mira da una setta di religiosi, i parabolani, che oltre a occuparsi di ammalati si preoccupano della protezione del vescovo. Probabilmente vogliono uccidere Oreste, ma quando si rendono conto che è troppo difficile volgono la loro attenzione verso un bersaglio più facile, ma altrettanto importante.

In città c’è qualcuno che diffonde una subdola voce, secondo la quale sarebbe Ipazia a impedire una riconciliazione tra Cirillo e Oreste

Un vescovo del VII secolo, Giovanni di Nikiu, scriverà poi, a giustificazione della morte della filosofa:

“In quei giorni apparve in Alessandria un filosofo femmina, una pagana chiamata Ipazia, che si dedicò completamente alla magia, agli astrolabi e agli strumenti di musica e che ingannò molte persone con stratagemmi satanici. Il governatore della città l’onorò esageratamente perché lei l’aveva sedotto con le sue arti magiche. Il governatore cessò di frequentare la chiesa come era stato suo costume”.

Insomma, una “moltitudine di credenti in Dio”, convinta che Ipazia sia una strega, vede la sua uccisione come un atto meritorio, perché quella donna pagana “aveva ingannato le persone della città e il prefetto con i suoi incantesimi”. Tutto ciò a dimostrazione di come, da sempre, le donne che si distinguono per cultura e autonomia, siano considerate delle streghe: solo le arti magiche, e non il semplice intelletto, possono giustificare un insolito livello di conoscenza e indipendenza!

Corre l’anno 415, ed è periodo di quaresima, quando, secondo il racconto di Socrate Scolastico (che pure è cristiano)

“…un gruppo di cristiani dall’animo surriscaldato, guidati da un predicatore di nome Pietro, si misero d’accordo e si appostarono per sorprendere la donna mentre faceva ritorno a casa. Tiratala giù dal carro, la trascinarono fino alla chiesa che prendeva il nome da Cesario; qui, strappatale la veste, la uccisero usando dei cocci. Dopo che l’ebbero fatta a pezzi membro a membro, trasportati i brandelli del suo corpo nel cosiddetto Cinerone, cancellarono ogni traccia bruciandoli. Questo procurò non poco biasimo a Cirillo e alla chiesa di Alessandria. Infatti stragi, lotte e azioni simili a queste sono del tutto estranee a coloro che meditano le parole di Cristo.”

Morte della filosofa Ipazia

Giovanni di Nikiu invece racconta che “la trascinarono attraverso le strade della città finché lei morì. E la portarono in un luogo chiamato Cinaron, e bruciarono il suo corpo. E tutte le persone circondarono il patriarca Cirillo e lo chiamarono ‘il nuovo Teofilo’ perché aveva distrutto gli ultimi resti dell’idolatria nella città”.

Quanta responsabilità abbia avuto il vescovo Cirillo nella fine di Ipazia è ancora argomento controverso, ma ad oggi potrebbe non essere più così importante determinarlo. Cirillo perseguitò novaziani, ebrei e pagani, fu un importante teologo, e viene ancor oggi venerato come Santo dalla chiesa Cattolica e da quella Ortodossa.

Il matematico australiano Michael Deakin, autore di una biografia su Ipazia (Hypatia of Alexandria: Mathematician and Martyr), tira le somme sulla storia della filosofa e sulla vita civile ad Alessandria:  “Quasi sola, praticamente l’ultima accademica, rappresentava i valori intellettuali, la matematica rigorosa, il neoplatonismo ascetico, il ruolo cruciale della mente e la voce della temperanza e della moderazione nella vita civile”.

Tanto che Ipazia è diventata nel corso dei secoli un simbolo di libertà per tutti e di autonomia per le donne, una martire pagana sacrificata sull’altare del fanatismo religioso.
Fanatismo, religioso e non che sempre è la negazione di ciò che dovrebbe contraddistinguere gli uomini e le donne di questo pianeta: l’accettazione dell’altro da sé.


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