Pochi individui al mondo possono affermare di non possedere dei jeans… o per lo meno di non averne posseduto almeno uno. Il simbolo del casual per eccellenza vede crescere la sua fama specialmente dagli anni 50, quando il cinema portò alla ribalta il pantalone simbolo di una “nuova gioventù”: il film Gioventù Bruciata, con James Dean, ne fu la manifestazione più intrigante e comunicativamente più forte per le masse che ne furono affascinate.
Gli Stati Uniti sono, quindi, la patria che associamo nell’immediato all’immaginario legato al jeans: fu infatti tra i tessuti principi utilizzati in tutto il repertorio cinematografico Western.
Se si procede a ritroso, questo capo fu di grande uso anche durante la Seconda Guerra Mondiale, sotto forma di salopette destinate a rivestire i lavoratori.
In realtà la storia del Jeans è assolutamente Europea e risale a diversi secoli prima.
Partendo da una testimonianza molto particolare, ci viene in aiuto il misterioso pittore denominato “IL MAESTRO DELLA TELA JEANS”. L’attività di questo artista ci riconduce in territorio italiano.
Genova, regina del commercio marittimo, fu nota come snodo di scambi di tessuti serici fin dai secoli XI e XIII. La produzione vera e propria iniziò nel XIII secolo, fino a divenire ufficiale nel secolo XV con la costituzione della Corporazione dell’Arte della Seta.
Tra i tessuti che passavano, venivano prodotti, e utilizzati a Genova vi era il fustagno. Tessuto molto resistente costituito da un’armatura a saia, il fustagno era costituito principalmente da cotone… almeno da dopo il Medioevo. Ogni città, però, vantava la sua varietà di fustagno. La particolarità legata a questo tessuto è che prendeva il nome a seconda della città di provenienza: da Genova veniva esportato il Jeane.
Il termine jeane o jannes era il vocabolo francese per denominare Genova; per storpiatura da parte degli inglesi, i quali ricevevano diversi tessuti dalla città italiana; il termine mutò gradualmente da jannes a jeane, a jeans, acquistandone la tipica pronuncia inglesizzata.
Il Fustagno, come il Jeans moderno nei suoi primi utilizzi, era impiegato principalmente nel contesto dei lavori di fatica; e in ogni caso dalle classi più umili. La marina genovese utilizzava questa stoffa per teloni e sacchi; dal XVI secolo venne impiegato anche per il confezionamento degli abiti utilizzati dai marinai.
Un prestigioso e curioso documento sulla fama dei tessuti “Jeans” è l’inventario dei beni di Re Enrico VIII, stilato dopo la sua morte. Tra le molte stoffe definite “jeane”, principalmente velluti con disegni del tutto nuovi (ritenuti infatti “of the new making”), vi erano anche altre tipologie tessili riconducibili a quel particolare fustagno antenato del nostro notissimo capo casual.
Le origini umili del Jeans, chiamato anche Tela di Genova, sono ben documentate proprio dai lavori del misterioso pittore qui citato.
Il Maestro della tela jeans deve il suo nome alla studiosa Gerlinde Gruber, la quale riunì sotto questo epiteto i quadri di un pittore “di genere” attivo in Italia settentrionale tra la fine del XVII secolo e l’inizio del XVIII secolo.
L’identità di questo artista è purtroppo ignota; viene così distinto grazie alla stoffa color blu indaco che ricorre in molti dei suoi personaggi.
La storia del “Maestro” è assai travagliata. Ora, la maggior parte delle sue opere sono state riunite grazie all’attività della Fondazione Canesso. Maurizio Canesso racconta di aver acquistato la tela Il barbiere nel 2004; e che il dipinto era identificato come di scuola napoletana. Tempo dopo, Canesso cercò spasmodicamente notizie su questo artista: l’autore Alessandro Morandotti gli segnalò una copia presente al Museo Baroffio del Sacro Monte di Varese… e qui iniziò l’intuizione su un’origine ben diversa da quella segnalata nel catalogo consultato primamente. Nel 2006, Canesso si imbatté in un articolo di Gerlinde Gruber del 2004, apparso sulla rivista «Nuovi Studi». Nell’intervento, il catalogo dell’artista, così “riconosciuto” da Canesso, era riunito sotto il nome di “Maestro della tela jeans”. Da lì, la Fondazione Canesso cercò di reperire più opere possibili riconducibili a questo artista. È curioso il racconto del ritrovamento di due opere che gli erano state segnalate ad Imperia: in fine le trovò a decorazione di un Bed and Breakfast (Pasto Frugale e Filatrice con due bambini).
La Gruber è riuscita nell’attribuzione delle opere grazie allo studio comparato di queste. Quando non si conosce l’identità di un artista, sono gli elementi peculiari a fare la differenza. Proprio la costante della presenza del tessuto indaco portò, così, la proposta del nome. La Gruber fa riferimento alla già citata storia della Tela di Genova e ai suoi utilizzi nelle classi più umili.
Il dipinto Madre mendicante con due bambini venne presentato per la prima volta, nel 1998, come esempio di pittura lombardo-veneta nella mostra “Da Caravaggio a Ceruti. La pittura di genere e l’immagine dei Pitocchi nella pittura italiana”. La Gruber riconduce quindi il Maestro a queste origini geografiche e stilistiche, fino ad attribuirgli l’onore di antesignano del più noto Giacomo Ceruti.
Nel 1700, la Lombardia vide il fiorire di una corrente realista largamente diffusa nella pittura e nella scultura, in un contesto di gusto caratterizzato dal Barocco maturo. Il Barocco fu contraddistinto dall’irregolarità delle forme e dal movimento scenografico di figure rappresentanti maggiormente gli aspetti psicologici ed emotivi, rispetto a quelli contemplativi dell’arte classica. Comunque, il Barocco mutuò dal classicismo il gusto per la grandiosità delle forme rivendicando, però, la libertà dal “canone” estetico, il tutto unendovi la vitalità realistica del Caravaggismo, senza riprodurne il crudo naturalismo sociale. La corrente realista lombarda, invece, riprese chiaramente il carattere sociale di ascendenza caravaggesca, da cui trasse anche gli effetti di luce e il cromatismo. Il massimo esponente del realismo lombardo fu Giacomo Ceruti detto il “Pitocchetto”: il soprannome deriva dai soggetti delle sue tele. Il Ceruti scelse di rappresentare la vita quotidiana, i reietti, i pitocchi… ossia i mendicanti. Questo artista fu anche un umile pittore di soggetti religiosi ma si distinse positivamente come ritrattista. Il Ceruti illustrò senza indulgenza il lavoro dei fanciulli, i vecchi costretti a mendicare, il “bisogno” che in certi casi spinge alla disonestà. Riuscì a comunicare il suo messaggio restando nella sobrietà e senza mai scendere nel pittoresco.
Proprio da questi tratti si riconduce Giacomo Ceruti al suo presunto antesignano: il Maestro della tela jeans.
Il Maestro ritrae anch’esso la quotidianità e la povertà tramite figure evocative che spiccano su uno sfondo scuro. In Madre mendicante con due bambini, una donna si regge a una stampella mentre si rivolge allo spettatore tendendo la sua ciotola; e nel suo abito è ben distinguibile la “tela jeans”, come anche nei due bambini che la affiancano. Il giovinetto di questa tela compare anche nel Piccolo mendicante con focaccia ripiena: il personaggio tiene il suo pasto guardando lo spettatore e con la mano destra si regge una spalla da sotto gli abiti, in tela jeans, con fare sofferente. Già da queste opere si evince il marcato chiaroscuro e la straordinaria attenzione per la mimica. Il gesto verso la spalla ferita del Piccolo mendicante riconduce a un’altra opera: Donna anziana con fanciullo, in cui il bambino che affianca la sofferente e inquietante vecchina ha la testa fasciata, e il viso segnato dallo sporco e da una espressione di dolore fisico e psicologico. La vegliarda probabilmente deriva dallo stesso modello riconducibile alla donna del Pasto frugale con due bambini, nel quale si consuma un tipico pasto umile e vi traspare sempre il vivido gusto per la gestualità. Mimica, gesti, oggetti collocati nella parte inferiore della tela; chiaroscuro marcato, velature grigie dei tessuti bianchi e vivo cromatismo della tela jeans sono le peculiarità che permettono di condurre le attuali opere annoverate come di mano del Maestro della tela jeans.
La Gruber evidenzia come questi elementi riconducano il Maestro all’area lombarda del 1700; il tutto unito all’uso di particolari tecniche come l’accentuazione del contorno occhi con un tratto di colore chiaro su una prima stesura più scura del fondo (come in Donna che cuce con due bambini e nel Piccolo mendicante).
Nonostante precedenti accostamenti ad area francese e incertezze sulla cronologia e sull’attribuzione, la Gruber sostiene che sia poco dubbia l’appartenenza delle opere del Maestro al genere della pittura della realtà di area lombardo-veneta.
È curioso che da un ultimo restauro della Madre mendicante sia spuntato un filone di pane sotto l’abito della bambina: qui ci ritroviamo nell’ambivalenza del bene e del male che è difficile da ridurre a semplicistiche osservazioni e spiegazioni nel contesto di un disagio di vita così forte (tratto molto evidente nel Ceruti).
Il catalogo del Maestro della tela jeans comprende anche Pasto frugale (proveniente dal famoso Bed and Breakfast insieme alla Filatrice con due bambini, e acquistato dalla Fondazione Canesso), e Il Barbiere. Non essendo nota la cronologia delle opere, si è riusciti a creare una ideale successione grazie alla graduale semplificazione dei tessuti adoperata dal maestro: da questa prospettiva il Piccolo mendicante sarebbe l’espressione della prima fase dell’artista; mentre Il Barbiere la naturale evoluzione finale. L’unico dipinto a non presentare la tela jeans è la Filatrice con due bambini, ricondotto comunque al Maestro per le “mosse” dello sguardo della filatrice e le tipiche sfumature grigie sull’abito della donna. Del Pasto frugale e della Donna che cuce con due bambini esiste una rispettiva copia, con poche varianti.
La capacità rappresentativa del Maestro si evince non solo dalla presenza, quasi ossessiva, della tela di Genova… ma anche da un’altra singolare scelta: nel Barbiere non viene rappresentata la classica scena del “cavadenti” o un’operazione in corso; vi è infatti già rappresentato il mestiere nel concetto moderno.
Considerando la tipologia della tela rappresentata dal Maestro, in realtà, non dovrebbe essere fatta confusione tra il jeans e il denim, quando quest’ultimo indica il tessuto fatto di cotone e nylon, e jeans ne indica il tipico taglio e la trama. Il fustagno, come il jeans, era intrecciato in una particolare e tipica trama diagonale, e come già detto era principalmente fatto di cotone; nel jeane si univano probabilmente i significati di entrambi i termini citati.
Anche la Francia ha un ruolo: il vocabolo denim deriva dalla città di Nîmes in Francia. Furono i francesi, tramite l’intercessione dello snodo di Genova, a inviare negli Stati Uniti il primo paio di jeans. Infatti, fu a Genova che venne cucito il primo prototipo, di cotone robustissimo e dal tipico colore blu: questo strano capo arrivò con un grosso carico negli Stati Uniti e fu preso a modello dal sarto Jacob W. Davis, del Nevada. Nel 1873, fu commissionato a Davis un paio di pantaloni adatti per il lavoro: dovevano servire per il marito della sua committente; il sarto ebbe l’intuizione di ispirarsi al capo venuto da Genova e di aggiungere dei rivetti di rame come rinforzo. Il suo lavoro ottenne pieno consenso e molta molta fama… da quel momento le commissioni aumentarono esponenzialmente e Davis si rivolse al mercante LEVI STRAUSS. I due fecero un accordo e crearono una filiera produttiva a San Francisco.
Da allora nacque il jeans come lo conosciamo tutt’ora. Questo capo “sportivo”, e informale, è passato attraverso le classi umili per arrivare poi tra i beni di Re e famiglie prestigiose; è stato persino “nobilitato” dall’arte di un pittore della realtà che ne ha preso in prestito il nome. La storia è sempre più complessa delle apparenze. Sicuramente, come capo di abbigliamento, e non come tessuto, va ricordata la venuta dal basso del jeans; oggi questo capo ha assunto, però, una dignità di stile entrando a far parte dei beni di lusso. Lo stilista Calvin Klein fu il primo che nei primi anni 80 rese il jeans un pezzo di prestigio.
Come secoli fa, Il jeans si divide ancora tra umiltà ed eleganza… riuscendo però a mantenere un ruolo importante da molti più secoli di quanti si poteva sospettare.
BIBLIOGRAFIA DELLE FONTI PRINCIPALI:
AA.VV, IL MAESTRO DELLA TELA JEANS. Un nuovo pittore della realtà nell’Europa del XVII secolo, Galleria Canesso, Parigi 2010; Vittorio Caprara in Dizionario Biografico degli italiani, vol. 24; Popsoarte, Musei di Genova.