All’incirca 11.000 anni fa scomparve dalla faccia della terra, per motivi ancora sconosciuti, una specie di felino chiamato Leone delle Caverne (Panthera leo spelaea), che viveva nei territori euroasiatici (dalla Spagna fino alla Siberia) e in Nord-America, anche in regioni dal clima molto freddo.
Scheletro di un leone delle caverne

Il nome che gli è stato dato non deve trarre in inganno: non è probabile che vivesse nelle caverne, semplicemente i resti di questi animali sono stati trovati all’interno di grotte, dove talvolta si addentravano per cacciare gli orsi, mentre questi erano in letargo.
Ricostruzione museale di un Leone delle Caverne

Si trattava di un felino ancor più grande dei leoni moderni, che doveva spaventare molto gli uomini del Paleolitico. Proprio i nostri lontani progenitori ci hanno lasciato delle pitture rupestri, così come statuette d’argilla e d’avorio, a testimonianza del ruolo importante che il leone aveva nella loro vita e nei loro riti. Le pitture rupestri ci mostrano un animale grande e poderoso, quasi senza criniera e con un mantello forse a strisce.
Replica di pitture rupestri nella grotta di Chauvet – Francia

Nel 2015 sono stati rinvenuti due esemplari di cuccioli della specie, perfettamente conservati, rimasti intatti grazie al Permafrost che li avvolgeva, in una regione della Siberia orientale, la Yakutia, non nuova a simili ritrovamenti.
Uno dei cuccioli di leone ritrovati nel 2015

I piccoli di leone delle caverne sono praticamente intatti, “completi di tutte le loro parti del corpo: pelliccia, orecchie, tessuti molli e perfino baffi”, in condizioni così perfette che qualche scienziato ha parlato della possibilità di procedere con la de-estinzione, ovvero riportare in vita la specie estraendo il DNA e poi utilizzando una leonessa come madre surrogata.
I due cuccioli, chiamati Uyan e Dina, sono stati ritrovati vicino al fiume Uyandina – poco sotto il circolo polare artico – grazie all’aumento di livello dell’acqua, che ha creato crepe e fessure.

In una di queste fessure, all’interno di una tomba di ghiaccio, sono stati trovati i due leoncini, morti pochissimi giorni dopo la nascita, forse solo uno o due. I ricercatori presumono che la madre si fosse rifugiata con i cuccioli dentro una caverna o una buca, per proteggerli da potenziali predatori. Poi forse una frana ha intrappolato i piccoli, in un periodo compreso tra i 25.000 e i 50.000 anni fa, e la mancanza di ossigeno ha consentito la loro conservazione.
Nel 2017 c’è stata un’altra importante scoperta: sulle rive del fiume Tirekhtykh, sempre in Yakutia, è stato rinvenuto un altro cucciolo di Panthera spelaea, congelato nel permafrost con ancora la testa appoggiata sulle piccole zampe, 50.000 anni dopo la morte.
Mappa della Yakutia

Questo terzo cucciolo si è conservato ancor meglio degli altri due, con i lineamenti della testa chiaramente riconoscibili. Il professor Albert Protopopov, paleontologo dell’Accademia delle Scienze della Repubblica di Sakha, ha dichiarato: “Tutti erano stupiti (della scoperta del 2015) e non credevano che una cosa del genere fosse possibile, e ora, due anni dopo, un altro leone delle caverne è stato trovato nel distretto di Abyiski”.
Il cucciolo ritrovato nel 2017 era più “ vecchio” degli altri due, morto quando aveva uno o due mesi. Rispetto ai primi lenocini, coperti solo da una leggera lanugine, l’ultimo esemplare aveva già i denti e soprattutto un mantello folto, dal colore inaspettato: “Molto probabilmente era grigio fumo. In precedenza gli scienziati hanno immaginato l’aspetto dei leoni dai disegni dell’uomo antico lasciati nelle caverne” dice Protopopov, “Gli antichi disegnavano con l’ocra, quindi non potevano mostrare in modo reale sfumature e colori.”
Un leone delle caverne con una renna – Dipinto di Heinrich Harder

Intanto, nel marzo del 2016, un esperto di clonazione sud-coreano, Hwang Woo-suk , ha prelevato dei campioni di pelle e tessuto muscolare dai resti di Dina, mentre il fratello Uyan viene tenuto congelato, perché “i metodi di ricerca migliorano costantemente”, ed è quindi preferibile studiare le carcasse in tempi diversi.
E se per il momento nessuna novità è emersa sugli eventuali esperimenti di clonazione, le ricerche sui cuccioli potrebbero svelare il motivo dell’estinzione del leone delle caverne. La teoria più accreditata, a oggi, parla di un cambiamento nella catena alimentare: forse era considerevolmente diminuito il numero delle prede dei leoni preistorici, orsi e renne.
Ma l’idea di riportare in vita un animale estinto migliaia di anni fa è davvero saggia?
Fonte: Siberian Times
Tutte le citazioni virgolettate sono del Professor Albert Protopopov.