“La nebbia agli irti colli”, cantata da Giosuè Carducci, e amata da Giovanni Pascoli (d’altronde la “sua” Romagna è terra nebbiosa per eccellenza) per quel senso di isolamento e quasi di intimità che conferisce all’ambiente, può in un certo senso (se non di deve guidare!) essere considerata una condizione atmosferica malinconicamente “romantica”.
Una barca sul lago di Lecco immersa nella nebbia
Immagine di Maupao 70 via Wikimedia Commons – licenza CC BY-SA 4.0
Oppure, può trasformarsi in un micidiale concentrato di veleni, capace di uccidere migliaia di persone. E’ quanto avviene a Londra, nel dicembre del 1952.
Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:
Certo, la città non è avvolta da una nebbia come quella descritta da Carducci, che “piovigginando sale” e quindi si dissolve in una sottile pioggerella. No, quella di Londra ha la consistenza e il colore di una pea soup, una “zuppa di piselli” densa e giallo-verdognola, quando non vira al nerastro.
Allora l’aria diventa irrespirabile, densa di fuliggine e anidride solforosa
Quel dicembre del 1952 è particolarmente freddo a Londra, e in tutte le case si brucia a più non posso carbone, per riscaldarsi. L’aria è stagnante, non tira un alito di vento, mentre tra il 4 e il 5 del mese si posiziona sulla città un anticiclone che provoca una stagnazione dell’aria fredda al di sotto di quella calda, così che tutti i fumi nocivi non possono disperdersi nell’atmosfera ma creano una nebbia fitta e sporca che ricopre Londra per cinque giorni, alterando il normale corso della vita: i trasporti si fermano (aerei, treni e bus) e funziona praticamente solo la metropolitana. In alcuni quartieri le persone non arrivano a vedere nemmeno i propri piedi, mentre i vigili devono usare delle torce per dirigere il traffico. Cinema e teatri chiudono, perché nessuno riesce a vedere il palcoscenico o lo schermo.
Molti abbandonano le auto lungo la strada
Non che una situazione così catastrofica arrivi così, di punto in bianco: intorno a Londra ci sono diverse centrali elettriche a carbone, mentre nelle case si brucia, sia per riscaldarsi sia per cucinare, sempre carbone, di pessima qualità, che produce anidride solforosa. In quei cinque giorni si disperdono nell’aria, quotidianamente, 1000 tonnellate di particelle di fumo, 140 tonnellate di acido cloridrico, 14 tonnellate di composti di fluoro e 370 tonnellate di anidride solforosa:
Londra si trasforma praticamente in una gigantesca camera a gas
La centrale elettrica a carbone di Battersea nel 1934
Immagine di pubblico dominio
Lo smog, che si insinua anche attraverso porte e finestre, entrando nelle case e coprendo ogni cosa con una viscida coltre nerastra, uccide nell’immediato qualcosa come 4.000 persone, soprattutto bambini e anziani, morti praticamente soffocati.
Gli ospedali sono al collasso, tutti i reparti devono accogliere i pazienti con difficoltà respiratorie, l’ossigeno a disposizione non è sufficiente, mentre finiscono addirittura le bare. Le ambulanze circolano a passo d’uomo, con un addetto che cammina a piedi davanti al mezzo, per far scansare i pedoni.
Nelle settimane e nei mesi successivi, ormai ad emergenza finita, infezioni polmonari, bronchiti, polmoniti, uccidono altre migliaia di persone. Sono all’incirca 12.000 le vittime del Grande Smog, anche se il governo parla di una concomitante epidemia influenzale per minimizzare la portata di quella tragedia: l’inquinamento è certamente un problema, ma di difficile soluzione, per le conseguenze economiche che deriverebbero dalla fine dell’uso del carbone.
Piccadilly Circus durante il Grande Smog di Londra, 1952
Immagine via Wikipedia – Giusto Uso
D’altronde, Londra aveva una pessima aria già nel 13° secolo, sempre a causa del carbone usato come combustibile, tanto che il Re Edoardo I, nel 1272, ne vieta l’uso (pare senza grandi risultati). Nel 17° secolo la situazione nella capitale inglese è, quanto a inquinamento, assai problematica. Così problematica che un eclettico studioso (giardiniere, scrittore, illustratore) di nome John Evelyn, nel 1661 scrive un opuscolo dal titolo lunghissimo (Fumifugium, ovvero, L’inconveniente dell’aer e del fumo di Londra dissipato insieme ad alcuni rimedi umilmente proposti da JE esq. a Sua Sacra Maestà, e al Parlamento ora riunito) dove spiega, rivolgendosi al Re Carlo II, quanto fosse grave il problema dell’inquinamento a Londra.
Evelyn suggerisce qualche soluzione: vietare l’uso del carbone di infima qualità, che saturava l’aria con un nauseabondo odore di zolfo, privilegiando come combustibile la legna; dislocare le industrie fuori dalla città e contemporaneamente piantare tanti, tanti alberi e fiori profumati. Per quanto praticamente sconosciuto ai più, il Fumifugium rappresenta una delle primi analisi, con i relativi rimedi, sull’inquinamento atmosferico.
Parole al vento, visto che dalla metà del ‘700 in avanti la crescita industriale non fa che peggiorare il problema.
Immagine di RV1864 via Flickr – licenza CC BY – NC-ND 2.0
In quei giorni di nebbia mortale del 1952, i Londinesi non si fanno prendere dal panico, tanto sono abituati allo smog (che peraltro è un neologismo di inizio ‘900 che unisce le parole smoke e fog, fumo e nebbia), che definisce la combinazione del particolato prodotto dalla combustione del carbone con la nebbia. Già nel 1820, un pittore anglo-americano residente a Londra aveva raccontato l’esperienza di “sgattaiolare a casa in una nebbia fitta e gialla come la zuppa di piselli della mensa”. E’ da questa frase che nasce il termine pea soup, per definire quella sporca e puzzolente nebbia, tipica della capitale britannica.
Trafalgar Square durante il Grande Smog del 1952
Immagine di NT Stobbs via Wikipedia – licenza CC BY-SA 2.0
Nei decenni si susseguono rapporti e opuscoli sul problema dell’inquinamento cittadino, ma ancora dopo il Grande Smog, a seguito delle contestazioni dell’opposizione sui mancati provvedimenti del governo per la riduzione dei fumi tossici, il ministro per l’edilizia risponde che bisogna “rendersi conto dell’enorme numero di ampie considerazioni economiche che devono essere prese in esame e che sarebbe del tutto sciocco ignorare”.
Nel 1956 viene introdotto il Clean Air Act, che incentiva l’uso di altri combustibili al posto del carbone e impone il trasferimento delle centrali elettriche in zone non così densamente abitate. Tuttavia, il problema dello smog non si risolve, tanto è vero che nel 1957 e nel 1962 si verificano altri due episodi di “grande smog”, che provocano meno vittime rispetto a quello del 1952, ma sono pur sempre letali per moltissime persone.
Sono passati quasi settant’anni da quel “grande smog” di Londra, eppure l’inquinamento atmosferico dell’intero pianeta, al quale si è aggiunto il problema del cambiamento climatico con le sue conseguenze, è una questione ben lungi dall’essere affrontata con provvedimenti che coinvolgano tutti i paesi industrializzati.
Si ha come l’impressione che le parole pronunciate dal ministro per l’edilizia britannico nel 1952 potrebbero essere ridette, magari in altri termini ma con lo stesso significato e in una situazione globale molto più grave, ancora oggi…