La Old Parr Lane a Banbury, nell’Oxfordshire, è un luogo dalla tipica atmosfera inglese: splendidi giardini, case in mattoni e porte d’ingresso verniciate di colori sgargianti. Non molti dei suoi abitanti, probabilmente, conoscono l’origine del nome “Parr”: questi era un omicida che fu impiccato nel 1746, il cui cadavere venne chiuso in una gabbia di ferro, lasciato a marcire su un palo ai bordi della strada.
In copertina: l’esecuzione di John Keal nel Lincolnshire nella fotografia a sinistra ed esposizione della gabbia nel municipio di Winchelsea in Inghilterra in quella di destra.
Sotto, disegno di Thomas Rowlandson, fonte Wikipedia:
Parr era stato condannato a morte nella gabbia sospesa
Quella della gabbia sospesa, in inglese gibbeting “ingabbiamento”, è un sistema di tortura ed esecuzione che affonda le radici nel medioevo, ma a seconda delle diverse parti d’Europa in cui venne utilizzato cambiava radicalmente. Mentre in Italia le gabbie erano più ampie e non realizzate con le fattezze di un uomo, come ad esempio quella ancora presente all’ingresso del Borgo Medievale di Corciano, in Umbria, in Inghilterra o in Germania le gabbie venivano spesso realizzate con la forma di un essere umano, non lasciando la possibilità al condannato di muoversi.
Sotto, la gabbia all’ingresso di Corciano, in Umbria. Fotografia via Wikipedia, CC BY-SA 3.0:
La gabbia sospesa poteva essere sia uno strumento di tortura sia di esecuzione, ma diventava anche un sistema di deturpamento ed esposizione del cadavere, che veniva squartato e ricomposto all’interno della gabbia.
La gabbia dove venne esposta Marie-Josephte Corriveau, che assassinò il secondo marito:
Fra i principali esperti mondiali del “Gibbeting” c’è Sarah Tarlow, professoressa di Archeologia presso l’Università di Leicester e capo del progetto di ricerca Harnessing the Power of the Criminal Corpse. “Le gabbie a forma di persona sono progettate per tenerne insieme i resti, e fargli assumere una postura umana“. La Tarlow è una vera luminare delle gabbie, che ha catalogato e numerato in tutta l’Inghilterra, dove ne sono conservate soltanto 16, spesso in piccolissimi musei di provincia, di cui solo una (immagine di copertina) conserva ancora il cranio del suo ultimo occupante.
Sotto, l’esecuzione postuma di Oliver Cromwell, Henry Ireton e John Bradshaw nel 1661:
“Uno degli aspetti più interessanti del gibbeting è che non era un’usanza comune, ma quando veniva adoperata era grandemente impressionante per tutta la popolazione” afferma la Tarlow.
In Inghilterra le esecuzioni mediante gabbia sospesa non furono numerose, ma fra il 1752 e il 1832 vennero così uccisi 134 uomini. Nel 1834 l’esecuzione mediante gabbia sospesa venne ufficialmente abolita. Quando veniva eretta una gabbia, al di sotto si radunava una folla di centinaia o migliaia di persone, in festa per l’occasione. Una volta che il condannato moriva, di stenti o massacrato dagli oggetti che gli lanciava la folla, oppure il corpo già senza vita veniva esposto a monito per la popolazione, il puzzo di putrefazione poteva rendere insopportabile la vita nelle sue vicinanze. Quando soffiava il vento, soprattutto nei primi mesi quando i tessuti molli dovevano ancora distruggersi, abitare nei pressi di una gabbia sospesa poteva diventare un vero supplizio.
Oltre al puzzo, le gabbie facevano anche inquietanti rumori, si contorcevano e spostavano con il vento
Le gabbie rimanevano sospese a tempo indefinito, spesso per decenni, ed i cadaveri si trasformavano presto in scheletri, presenze terrificanti ai margini della strada. Rimuovere le gabbie era vietato, e sarebbe stato comunque molto difficile. I condannati si trovavano infatti sospesi a 10 metri altezza circa, fissati a terra mediante grossi pali in legno.
Sotto, lo scheletro di Marie-Josephte Corriveau terrorizza alcuni viaggiatori:
Poiché il “Gibbeting” era un’esecuzione rara e terribile, i fabbri ogni volta eseguivano dei lavori completamente diversi dai precedenti. Non esisteva ovviamente una produzione standard per le gabbie, e quindi ogni pezzo è unico nel proprio genere.
Sotto, la gabbia del museo di Leicester Guildhall, fotografia di Lee Haywood:
“Ogni volta che ne realizzavano una la reinventavano da capo, cominciando da zero” afferma la Tarlow. Alcune gabbie erano grosse e pesanti, mentre altre erano molto più leggere o flessibili, e altre ancora erano regolabili. In alcuni casi la gabbia teneva fermo solo il tronco, permettendo alle gambe e alle braccia di muoversi abbastanza liberamente.
Sotto, esecuzione di Joseph Süss a Stoccarda, il 4 Febbraio del 1738, fonte immagine Wikipedia:
Dopo che una gabbia sospesa veniva rimossa o cadeva per l’usura del tempo, le sue parti diventavano dei souvenir, trasformandosi in altri oggetti. E’ da notare come, in genere, le donne non venissero condannate all’esecuzione per gibbeting, che veniva considerata una punizione estremamente brutale. I cadaveri delle donne uccise erano peraltro una merce preziosa, usate da chirurghi e anatomisti per i propri esperimenti.
L’ingabbiamento era tipico delle condanne per pirateria, e a Londra l’Execution Dock fu il luogo deputato alle condanne per i corsari.
Moltissimi si opposero all’esecuzione tramite gabbia sospesa, una punizione brutale che terrorizzava anche gli abitanti limitrofi alle gabbie. I giuristi ritenevano che il terrore provocato dal questo metodo fosse un ottimo deterrente alla criminalità, ma probabilmente era solo una convinzione errata.
Sotto, la gabbia del museo della tortura di Freiburg im Breisgau, in Germania. Fonte immagine Wikipedia:
Nel 1834 nei paesi anglosassoni l’esecuzione mediante “Gibbeting” venne ufficialmente abolita, così come la macabra esposizione dei cadaveri nelle gabbie. Di loro rimangono soltanto i nomi delle strade, come la vecchia “Old Parr Lane”.
In Italia, a Mantova e a Piacenza, le gabbie erano anche una particolare forma di detenzione, dove i condannati venivano lasciati esposti alle intemperie nelle torri della piazza cittadina.
Sotto, la torre della gabbia a Mantova, fotografia di FranzK condivisa in licenza CC BY-SA 3.0:
Sempre nel nostro paese di particolare interesse fu la chèba, una gabbia sospesa al Campanile di Piazza San Marco che esponeva gli ecclesiastici colpevoli di sodomia, omicidio, falso e bestemmia. I condannati trascorrevano un periodo di tempo nella gabbia, e poi venivano liberati.
Sotto, l’unica raffigurazione della chèba del campanile di Piazza San Marco, tratta dalla collezione dell’abate Jacopo Morelli (1745-1819), per quarant’anni Prefetto della Biblioteca Marciana (illustrazione riportata in “Giustizia Veneta” di Edoardo Rubini, Venezia 2004):
Si registrò un solo caso di condannato mediante la chéba a Venezia (gabbia, in veneto): Jacopo Tanto, colpevole dell’omicidio di un prete, che il 24 Dicembre del 1394 entrò nella gabbia e ne uscì cadavere. La cheba non ebbe vita lunga, fu abolita nel XV secolo.