Il Generale Inverno che sconfisse Napoleone e Hitler

Lo studio della storia è una pratica nata anche per dare la possibilità di comprendere le tappe fondamentali del lungo cammino dell’umanità, per poi fungere da monito a non ripetere gli errori del passato. La storia è piena di corsi e ricorsi, di eventi che si ripetono per moventi e modalità, e uno dei suoi più famosi dejà vu ha per protagonisti due abili strateghi, con grandi mire espansionistiche, che non seppero far tesoro dei fallimenti altrui e sottovalutarono il temutissimo inverno russo.

Sul finire del primo decennio dell’Ottocento, Napoleone Bonaparte aveva posto sotto la sua sfera d’influenza quasi tutta l’Europa. Nel 1809 la sua Grande Armata sbaragliò la Quinta Coalizione e l’imperatore consolidò la divisione del vecchio continente in numerosi stati vassallo e cuscinetto.

L’Inghilterra era l’ultima grande potenza che ancora gli si opponeva ed era intenzionato a logorarla bloccandone il traffico marittimo e gli scambi commerciali.

Il 7 luglio 1807 lo zar Alessandro I aveva firmato la pace di Tilsit, un armistizio che poneva fine alle ostilità fra Russia e Francia e ne sanciva l’alleanza.

L’incontro a Tilsit tra Napoleone e lo zar Alessandro – Immagine di pubblico dominio

Fra le varie condizioni che l’imperatore aveva imposto ai vinti vi era l’obbligo dell’adesione al blocco continentale contro l’Inghilterra: nessun porto russo avrebbe potuto intrattenere scambi commerciali, sia in entrata sia in uscita, con l’isola britannica. La Russia aveva bisogno d’importare alcuni beni di prima necessità e di esportare grano, canapa e legname, i prodotti del suo vasto territorio. Con l’Inghilterra tagliata fuori, però, l’economia subì ingenti perdite e rischiò un grave collasso. Lo zar scelse di reagire e si erse a monarca designato a sconfiggere il grande Bonaparte.

Doveva smuovere la coscienza europea

Lo zar Alessandro I di Russia – Immagine di pubblico dominio

In una lettera del 1812 alla sorella Caterina scrisse: “Guido la Russia in un momento di terribile crisi e contro un avversario diabolico, il quale unisce a una spaventosa malvagità un genio straordinario”.

Il 31 dicembre del 1810 la Russia violò il blocco continentale e riaprì i porti alle navi britanniche. Inizialmente, Napoleone tentò una mediazione, ma, visti i numerosi inviti alla guerra da parte di Alessandro, decise di sottomettere la Russia con una spedizione punitiva.

Napoleone Bonaparte ai tempi della campagna di Russia – Immagine di pubblico dominio

La Grande Armata francese era un esercito formidabile, che poteva contare sulle strategie del suo brillante condottiero e su una perfetta amalgama tra le nuove reclute e i veterani. Per la campagna in Russia, l’Impero armò circa settecentomila uomini, di cui solo trecentomila francesi. Dopo aver sconfitto a più riprese tutti i suoi oppositori, Napoleone disponeva dell’appoggio, controvoglia o meno, del Regno d’Italia (da non confondere con quello nato nel ’61), del Regno di Napoli, del Granducato di Varsavia, della Confederazione del Reno, dell’Austria e della Prussia. A livello numerico la nuova Armata non era inferiore a nessuno, ma la presenza di soldati di nazioni e lingue diverse la rese meno compatta e più difficile da coordinare.

L’Imperatore ultimò i preparativi fra il 23 e il 25 giugno del 1812 e diede il via alle ostilità. Attraversò il fiume Niemen, ma non incontrò alcuna resistenza, le truppe varcarono il suolo nemico e avanzarono indisturbate.

Alessandro aveva svolto un eccellente lavoro di propaganda per far sì che il popolo e i dignitari di corte si convincessero dell’inevitabilità della guerra anche a costo di numerosi sacrifici. D’altro canto, nei primi anni dell’Ottocento l’esercito zarista aveva cercato di modernizzarsi al meglio delle sue possibilità, ma sul piano bellico e tecnologico era ancora molto indietro rispetto alle altre potenze europee. Per ovviare al problema, lo zar spinse per una tattica attendista: mentre l’Armata si addentrava nelle vaste e sconfinate steppe russe, era necessario ritardare un confronto diretto. Sul fronte opposto, Napoleone era certo che la campagna sarebbe stata rapida e indolore e prevedeva un trionfo già a partire dalla prima grande battaglia.

Fatta eccezione per pochi e brevi combattimenti, la Grande Armata marciò indisturbata per circa un mese. Il clima non era certo favorevole e si trattava di un caldo torrido che favorì il sorgere delle prime difficoltà nell’approvvigionarsi. Le truppe erano abituate a saccheggiare e sfruttare le risorse delle terre conquistate, ma, nel caso della Russia, milizie e cittadini evacuavano i villaggi, abbattevano il bestiame per non consegnarlo al nemico e attuavano l’antica tecnica della terra bruciata.

Anche se il suo ottimismo non vacillava, Napoleone cominciò a dar segni d’irritazione per la codardia dello zar, che non sembrava affatto intenzionato ad affrontarlo faccia a faccia.

Intuì che le ostilità sarebbero durate più del previsto e, insieme ai suoi subalterni, dovette interrogarsi su dove porre l’accampamento per trascorrere l’inverno e aspettare la primavera, e sull’opportunità di continuare o meno l’avanzata.

I francesi avevano tre possibilità: dirigersi verso Kiev, nei territori ucraini pieni di risorse per rifornirsi, sferrare un’offensiva contro Pietroburgo, o tentare la conquista di Mosca, la capitale religiosa simbolo della Russia zarista.

Napoleone optò per quest’ultima soluzione e si convinse che la presa di Mosca sarebbe stata uno smacco tanto umiliante da costringere i russi a smettere di fuggire e imbracciare le armi.

Mentre il rivale meditava sul da farsi, il 20 agosto lo zar aveva affidato tutte le operazioni militari a Michail Kutuzov, un attempato, ma esperto, generale russo, che fomentò ancora di più il popolo con discorsi patriottici e confermò l’attesa come unica tattica da perseguire.

Il generale Michail Kutuzov – Immagine di pubblico dominio

Nella corte dello zar, però, non tutti erano favorevoli a una strategia simile e, per tenere a bada i suoi detrattori, Kutuzov inviò buona parte dell’esercito a combattere in difesa di Mosca.

Il 25 agosto la Grande Armata riprese il suo cammino verso oriente e, nei pressi del villaggio di Borodino, constatò la presenza di un ingente numero di truppe nemiche. Kutuzov si era dimostrato molto prudente: aveva pianificato uno scontro difensivo su un territorio ostile e ben preparato per insidiare i francesi.

Napoleone ignorava i piani russi e credeva che, finalmente, ci sarebbe stato l’evento decisivo per le sorti della guerra, ma non fu così.

La battaglia di Borodino, “la più terribile delle mie battaglie”, come affermò lo stesso imperatore, ebbe luogo il 7 settembre e fu tra le più sanguinose dell’era napoleonica. Francia e Russia persero rispettivamente trentacinquemila e quarantaquattromila soldati. Nel momento cruciale del confronto, Kutuzov ordinò la ritirata e concesse al rivale un trionfo momentaneo, ma non definitivo.

La battaglia di Borodino – Immagine di pubblico dominio

La guerra era ancora aperta. I francesi uscirono molto indeboliti da quella battaglia, l’inverno era alle porte e Napoleone entrò a Mosca.

Quando ne varcò le porte, la mattina del 15 settembre, si ritrovò dinanzi a una città fantasma che era stata evacuata. Nonostante la sorpresa iniziale, decise di stabilirsi all’interno del Cremlino, la storica dimora dei Romanov, e di accampare l’esercito per pianificare le mosse successive. La tregua fu breve: alle quattro di mattina del 16 settembre qualcuno appiccò un enorme incendio. Ogni tentativo di domare le fiamme fu vano e Mosca bruciò fino al 18 settembre.

Napoleone osserva l’incendio dalle mura del Cremlino – Immagine di pubblico dominio

A quel punto, Napoleone si mostrò preoccupato per la sua lontananza dalla Francia. Era evidente che la guerra sarebbe andata per le lunghe e temeva che in patria potessero nascere insurrezioni per spodestarlo dal trono. Per questo cercò a più riprese di convincere Alessandro a scendere a patti, ma lo zar rifiutò ogni negoziato perché sapeva che era pressoché imminente l’arrivo del suo più fedele alleato: il Generale Inverno.

Napoleone lasciò Mosca con le truppe il 19 ottobre e, dopo aver dapprincipio meditato di proseguire la caccia a Kutuzov, optò per la ritirata e percorse a ritroso la strada fatta in estate. La Grande Armata aveva subito notevoli perdite, ma poteva ancora contare su un numero enorme di uomini. Tuttavia, la sua marcia assunse presto i connotati di una lunga carovana costretta a trascinarsi in condizioni climatiche avverse. Oltre ai soldati vi erano anche i civili, i cannoni da trasportare, i bottini di guerra razziati e i prigionieri; non fu facile coordinare un convoglio che si estendeva per numerosi chilometri. Inoltre il tragitto era lo stesso dell’andata e si trattava di ripercorrere zone martoriate dalle battaglie precedenti, già saccheggiate e/o bruciate. L’Armata marciò con temperature disumane, che andavano dai -5° ai -26°C, accompagnate da frequenti e fitte bufere.

Attorno ai soldati non vi era che neve e campi devastati

La Grande Armata nella tormenta – Immagine di pubblico dominio

Come se non bastasse, Kutuzov ordinò la tattica della guerriglia per tendere continue imboscate ai francesi sulla via del ritorno. I valorosi uomini di Napoleone patirono la fame e il freddo, si ammalarono, morirono di stenti e, addirittura, furono protagonisti di ripetuti episodi di cannibalismo:

Dei settecentomila iniziali tornarono indietro poco meno di centomila

L’esercito francese subì un vero e proprie supplizio e le parole di Joseph de Maistre, ambasciatore del regno di Sardegna a Pietroburgo, sono abbastanza esplicative per comprendere il grave errore di valutazione commesso dall’imperatore:

“I francesi hanno fatto i più grandi sforzi di coraggio e di resistenza, […] ma cosa può l’uomo contro le armi, la fame e il freddo messi assieme. […] Si immagini un deserto dove non si vede che la neve, i corvi, i lupi e i cadaveri; ecco lo scenario da Mosca alla frontiera, e l’umanità non può nulla. Il prigioniero muore di fame e di freddo, ed è ucciso dalla mancanza di calore e di cibo. […] Vivendo da più di due mesi di cibo abominevole, di carogne d’animale e persino di uomini […], la maggior parte ha un odore così fetido che bastano tre o quattro di questi sventurati per rendere una casa inaccessibile. […] A Mosca, dove ogni casa ha il suo pozzo, come a Torino, ogni pozzo era ingombro di cadaveri francesi”. (J. de Maistre, Napoleone, la Russia, l’Europa. Dispacci da Pietroburgo 1811-1813, Donzelli editore, Roma, 1994)

La ritirata di Napoleone da Mosca – Immagine di pubblico dominio

Come si è visto, l’intervento del Generale Inverno fu una delle cause principali della disfatta napoleonica, ma nel caso di Hitler, sebbene abbia influenzato le sorti della guerra, non fu il diretto responsabile della caduta del Führer. Tuttavia, è indubbio che apportò un considerevole cambiamento alle strategie dei tedeschi, anche loro certi di riportare un rapido successo in Russia.

Prima di scatenare la Seconda Guerra Mondiale, il 23 agosto del 1939 Hitler compì un’azione diplomatica di facciata e sottoscrisse un accordo di non belligeranza con Stalin. In un protocollo segreto i due capi di stato si accordarono anche per la spartizione della Polonia. Tale mossa, astuta ai fini delle mire espansioniste del Reich, poteva apparire alquanto incoerente con la filosofia personale del Führer, che nel suo libro, il Mein Kampf, aveva esposto la teoria del Lebensraum. Stando all’ideologia politica del dittatore nazista, il popolo tedesco doveva aspirare alla conquista di uno spazio vitale necessario a farlo crescere e affermare come razza superiore. I territori atti a tale scopo erano le sconfinate terre della Russia, ricche di risorse da sfruttare e da sottrarre a un popolo indegno di possederle. L’accordo fra URSS e Germania, pertanto, era solo un escamotage per aprire le ostilità in Polonia senza l’opposizione di Stalin.

Col progredire della guerra, con Polonia e Francia cadute nelle mani del Reich e l’impossibilità di sbarcare in Inghilterra, ovvero l’unica grande potenza europea rimasta a dar battaglia al dittatore, Hitler decise che i tempi erano maturi per invadere la Russia.

Direttrici d’attacco dell’operazione Barbarossa – Immagine di pubblico dominio

La campagna assunse il nome in codice di Operazione Barbarossa e prese il via il 22 giugno del 1941. Il piano di Hitler aveva una duplice funzione: a breve termine voleva conquistare le risorse del territorio e sfruttarle per la guerra contro l’Inghilterra; a lungo termine, i tedeschi avrebbero finalmente ottenuto il tanto agognato Lebensraum.

L’intero comando tedesco era convinto di poter vincere l’Armata Rossa con una guerra lampo e di entrare a Mosca prima che giungesse l’inverno. Così facendo, non solo avrebbero ottenuto una posizione strategica, ma lì avrebbero atteso la primavera per poi riprendere le offensive con temperature meno rigide.

Inizialmente l’Operazione Barbarossa fu un successo: le truppe di Stalin non riuscirono a contrastare l’armata nazista, che penetrò nel territorio russo per circa 800 chilometri. Ai primi di ottobre, però, accadde qualcosa di inaspettato: i tedeschi giunsero alle porte di Mosca per assediarla, ma il 7 di quel mese il Generale Inverno decise di offrire all’invasore un assaggio di ciò di cui era capace. Cominciarono improvvise e abbondanti nevicate e, siccome il clima era ancora mite, ci fu il fenomeno della Rasputitsa: la neve non ghiacciò, si sciolse e impantanò le strade, rendendole pressoché impraticabili.

Il terreno fangoso a causa delle piogge autunnali compromise l’avanzata tedesca verso Mosca – Bundesarchiv, Bild 101I-268-0157-17A licenza CC-BY-SA 3.0

Camion e Panzer riscontrarono grandi difficoltà nel proseguire e anche gli aerei della Luftwaffe ebbero problemi nel decollare, viste le condizioni disastrose delle piste. Ma un po’ di fango non poteva fermare i piani del Führer, quindi, seppur con notevoli rallentamenti, i tedeschi perseverarono nel loro intento di prendere Mosca.

A quel punto giunse il famigerato inverno russo. Dapprincipio, lo scontro sembrò volgere a favore dei tedeschi, ma il caso volle che nel dicembre del 1941 si ebbe la stagione con le temperature più basse di sempre. Il freddo calò sul campo di battaglia e i termometri arrivarono a registrare addirittura -40°.

L’alto comando tedesco aveva mal rifornito i suoi uomini delle attrezzature necessarie a sopravvivere in condizioni estreme e, da quel momento, l’Operazione Barbarossa mutò la propria natura in una guerra di logoramento, con le forze dell’Asse impossibilitate a bissare l’incredibile forza d’urto degli esordi, e le truppe di Stalin intente a sferrare numerose controffensive accompagnate dalla tattica della terra bruciata. I mezzi di trasporto tedeschi non poterono più operare con efficacia: accadde non di rado che il carburante si congelasse e i soldati dovettero marciare a lungo sulla neve con cappotti improvvisati o rubati, ma sempre inefficaci a sopportare il clima eccessivamente rigido; talvolta le armi risultarono inutilizzabili a causa del freddo.

Soldati tedeschi tentano di sbloccare dalla neve un panzer, slittato a lato della carreggiata – Bundesarchiv, Bild 101I-215-0354-14  licenza CC-BY-SA 3.0

Anche l’Italia prese parte alle ostilità in Russia e, sulla falsariga di Hitler, Mussolini sottovalutò il possibile scenario della campagna bellica. L’esercito italiano aveva affiancato quello tedesco ai tempi della guerra civile spagnola con l’intento di supportare Francisco Franco e l’apparato bellico ne era uscito molto indebolito, ma, nonostante l’inadeguatezza a un conflitto su larga scala, il Duce scelse di entrare nella Seconda Guerra Mondiale.

Combattimenti di soldati italiani nella città di Gorlovka – Immagine di pubblico dominio

Le truppe italiane avevano già dimostrato la loro inferiorità contro i greci, la cui sconfitta fu determinata solo dal repentino intervento di Hitler (tale operazione di supporto ritardò di circa due mesi l’invasione della Russia), eppure, Mussolini era convinto che il successo tedesco sarebbe stato rapido e indolore e condannò ugualmente i suoi uomini a un tragico destino. Proprio come i tedeschi, anche gli italiani patirono la fame e il freddo, perché non sufficientemente equipaggiati per l’inverno, e furono costretti a lunghe e logoranti marce.

Colonna di prigionieri italiani – Immagine di pubblico dominio

Esemplare è il caso della ritirata dal Don, quando nel dicembre del 1942 i sovietici respinsero le forze dell’Asse e le obbligarono a ripiegare verso ovest, in un tragitto di circa 120 chilometri dove imperarono morte e stenti.

Un’emblematica immagine della sterminata colonna di fanti, in ritirata attraverso la steppa russa – Immagine di pubblico dominio

Oltre ai caduti, l’Operazione Barbarossa ebbe un numero altissimo di uomini dati per dispersi nelle vaste lande innevate del territorio sovietico. Tante famiglie italiane videro mariti, figli e nipoti partire per la Russia senza averne mai più notizie.

Cadaveri di soldati abbandonati nella neve – Immagine di pubblico dominio

Ancora una volta, il Generale Inverno aveva svolto egregiamente il suo dovere.


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