Scrisse Pirandello:
Prima di giudicare la mia vita o il mio carattere, mettiti le mie scarpe, percorri il cammino che ho percorso io. Vivi i miei dolori, i miei dubbi, le mie risate. Vivi gli anni che ho vissuto io e cadi là dove sono caduto io. Ognuno ha la propria storia, solo allora mi potrai giudicare
Con quest’affermazione Luigi Pirandello lasciava intendere quanto del suo vissuto tormentato avesse inciso e alterato il suo carattere, già molto introverso e fragile, e quanto fosse sensibile alle critiche superficiali di chi non sapeva e non comprendeva le ragioni di un’indole molto sensibile, schiva e trattenuta.

Pirandello fu per anni vittima di un disagio psicologico, che non amava rivelare, e che logorò l’intera famiglia, il dramma della malattia della moglie Maria Antonietta Portulano, affetta da un delirio paranoide, degenerato in schizofrenia.
Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:
Maria perse la madre alla nascita nel 1871, il padre Calogero Portulano, uomo estremamente geloso, si rifiutò di far visitare la moglie da un medico, preferendo una levatrice che non arrivò in tempo, lasciando che la donna in assenza di cure morisse di parto. Sembra un paradosso, ma nell’Italia di metà/fine ‘800 succedeva anche questo.

La piccola Maria, che il padre affidò ancora neonata alle suore del convento di San Vincenzo, dimostrò sin dai primi anni l’ossessione di non essere amata. Calogero Portulano, sempre dedito al lavoro, stipulò circa vent’anni dopo un accordo con Stefano Pirandello, suo socio e padre di Luigi. Così, prima di partire per il nord lasciò, oltre al suo testamento, una dote di 70mila lire, cospicua per l’epoca, che il padre di Luigi investì nel commercio dello zolfo.
Luigi, a cui era stato imposto il matrimonio con Maria, intuì da subito che la sua Antonietta non sarebbe stata in grado di capirlo e di accompagnarlo nel suo percorso letterario. Mancava fra loro un’intesa intellettuale, ma la ragazza di Girgenti (oggi Agrigento) era molto bella con lunghi capelli corvini, e ne fu subito attratto, anche per via della sua compostezza. Nonostante le fugaci occasioni d’incontro, tra i due promessi nacque un’intensa passione, le visite avvenivano sotto la rigida sorveglianza del padre, o altrimenti in presenza di almeno tre accompagnatori. Luigi e Antonietta dovevano evitare una conversazione a bassa voce, ed era concessa loro solo una leggera stretta di mano. Luigi le scrisse lunghe lettere passionali, a cui Antonietta non rispose mai.

Il matrimonio ebbe luogo il 27 gennaio 1894, presso la chiesa della Madonna Dell’Itria, e nei primi tempi tra loro il rapporto si mantenne molto tenero. Antonietta seppe rapire dolcemente il cuore del suo sposo, anche se la loro si mantenne sul piano di “un’intesa fisica molto passionale”, secondo la descrizione che ne fa Andrea Camilleri nella Biografia dedicata al figlio di Pirandello, Stefano.

Dalla loro unione nacquero tre figli, Stefano, nel 1897, Fausto, nel 1899, e Linetta nel 1901, a cui Antonietta si dedicò intensamente, nonostante il disagio che provava nell’ambientarsi nella grande città di Roma, dove Luigi assunse la cattedra di linguistica e stilistica del magistero femminile. Con il suo impiego e grazie ai proventi degli investimenti commerciali del padre, che aveva ben amministrato la dote dei Portulano, vissero una certa tranquillità economica.
Ma nel 1903, in seguito al disastroso allagamento della miniera di Aragona, la famiglia Pirandello perse l’intera dote nuziale e i relativi interessi; e fu proprio Antonietta a scoprire direttamente da una missiva del suocero l’esistenza dei debiti accumulati, poiché il marito non era in casa. Il terrore di cadere in condizioni di precarietà fu la causa scatenante che portò la donna, già più vulnerabile dopo la nascita del figlio Fausto per un’iniziale riduzione della motilità, ad una vera paralisi prima, e poi ad un progressivo dissociarsi sempre più dalla realtà, a cui la sua identità cercava di aggrapparsi, finendo per smarrirsi del tutto.

Pirandello cadde in depressione, pensò spesso al suicidio, ma il pensiero di abbandonare i figli lo trattenne dal farlo. Iniziò cosi ad impartire lezioni private di italiano e tedesco a stranieri per poche lire l’ora, e a collaborare col Corriere della Sera.
Luigi era spesso costretto a mangiare con i figli fuori casa, non solo per tenersi lontano da imprevedibili incidenti, ma soprattutto per evitare di assumere una domestica che avrebbe dovuto imbattersi nelle crisi violente di Antonietta.
Nonostante le enormi difficoltà, vissute da un uomo del primo ‘900, Pirandello non abbandonò mai la moglie, la cui instabilità finì per incrinare l’unione coniugale e l’armonia familiare. Il drammaturgo era assillato da forti sensi di colpa, poiché riconosceva il suo narcisismo. Era noto a tutti, infatti, quanto fosse adulato dalle studentesse molto suscettibili al carisma del loro professore, perciò l’angoscia di alimentare inconsapevolmente la follia della moglie lo tormentò giorno e notte.
Tutto però pian piano degenerò
Ad Antonietta fu diagnosticata la sindrome di Otello, un’ossessione psicopatologica delirante, aggravata da attitudini alla violenza, ossessiva soprattutto verso altre donne che sorprendeva accanto al marito. Antonietta arrivò a detestare e tormentare anche la figlia Linetta, riconoscendo in lei una rivale, inducendola al tentativo di suicidio e successivamente ad abbandonare la casa paterna.

Il grave ferimento del figlio Stefano nel campo di Boemia, volontario durante il primo conflitto mondiale, e la sua successiva prigionia per mano degli austriaci a Mauthausen, determinò un ulteriore aggravamento della madre.
Una notte Luigi trovò la moglie in piedi e armata di coltello davanti al letto; era abituato a trovarla sveglia con lo sguardo fisso verso il vuoto, ma a quella visione lo assalì paura che la donna potesse diventare un pericolo per i figli, e si convinse che il ricovero fosse necessario.
Così nel 1919 i figli Fausto e Stefano accompagnarono Antonietta in clinica; Luigi no, non fu presente, il rancore verso il marito maturò in lei un’ostilità tale da rifiutare per sempre di rivederlo.

Il dolore sofferto per la malattia di Antonietta segnò il pessimismo cupo e disarmante del letterato siciliano, ispirando un dramma che si rintraccia in tutte le sue opere e che lo avvicinerà a tematiche psicologiche che ispireranno la sua famosa produzione teatrale, a cui si dedicò assiduamente e che lo portò al successo (ne sono un esempio “Il Fu Mattia Pascal” ed “Enrico IV”).
Luigi Pirandello si interessò fortemente agli studi di psicanalisi di Freud, è forse tra gli autori letterari il più coinvolto e appassionato ai primi approcci con i disturbi psicologici, che riteneva acutizzati dalla rigidità e dall’oppressività che la stessa società del tempo sviluppava.

Una società con una quotidianità alienante e opprimente, dove la follia rimane la sola via di fuga per salvarsi dalla trappola in cui cadono irrimediabilmente le nostre vite tormentate da un ossessivo razionalismo, da un rigore alla perfezione, da una realtà in perenne mutamento e movimento, un lento e progressivo morire.
L’essere umano in preda alla follia è colui che, nell’ottica di Pirandello, non si piega alla falsità imposta dagli schemi sociali e familiari, si allontana lentamente, e se ne distacca, assumendo una prospettiva di totale estraneità e di assenza del dolore. Come nella vita personale, nelle opere pirandelliane “Passione e Pazzia” si intrecciano fino al desiderio ultimo, la morte come fine di un lungo tormento.
Maria Antonietta non uscì mai più dalla clinica psichiatrica romana in via Nomentana, dove rimase ricoverata sino alla sua morte, che avvenne il 17 dicembre del 1959, più di vent’anni dopo del marito Luigi, il quale non superò mai la tragedia che colpì la sua famiglia.